ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro il patrimonioParte speciale

Estorsione: è minaccia anche quella implicita, purchè idonea a coartare il volere della vittima – Cass. Pen. 11922/2013

Cassazione Penale, Sez. II, 14 marzo 2013 (ud. 12 dicembre 2012), n. 11922
M. Cammino, Presidente – G. Diotallevi, Relatore – A. Mura, P.M. – Lavitola, ricorrente

Massima

La minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera.

Il Commento

Nella pronuncia in esame, la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso contro la sentenza del Tribunale del Riesame che aveva confermato la misura cautelare precedentemente disposta, torna a pronunciarsi sul concetto di “minaccia” nel delitto di estorsione, ribadendo alcuni assunti fondamentali.
Com’è noto, la minaccia si manifesta con la prospettazione ad una persona di un male futuro, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’autore; essa deve essere idonea a raggiungere l’effetto di coartazione della volontà del soggetto passivo ed il conseguente ingiusto profitto con altrui danno.
Nella specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretta e dotata di apprezzabile sviluppo logico la ricostruzione della vicenda effettuata dal Tribunale del Riesame, confermando che integra gli estremi del tentativo di estorsione la condotta di colui che rivolga ad un soggetto, indagato, reiterate richieste di ingenti somme di danaro per rendere all’Autorità Giudiziaria dichiarazioni a quest’ultimo favorevoli, non conseguendo però, per cause esterne ed indipendenti dalla sua volontà, il risultato di costringerlo al facere ingiunto.
La Corte ha confermato l’orientamento ormai consolidato, relativamente alle forme estrinseche della minaccia, in virtù del quale la minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere fatta direttamente o a mezzo di intermediario, per posta o per telefono, dovendosi coerentemente considerare “minaccia” ai sensi dell’art. 629 c.p. anche quella perpetrata via mail o via fax come nel caso in esame.
La minaccia, inoltre, non deve essere necessariamente diretta, palese, esplicita e determinata, potendo integrare la condotta estorsiva anche la minaccia implicita, larvata, indiretta, figurata, purché idonea ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima (v. Cass., Sez. II, 5 marzo 2013, n. 24917 in D&G 2013, 7 giugno; Cass., Sez. II, 22 marzo 2012, n. 16045, F.F., ivi, 2012, 2 maggio; Cass., Sez. II, 20 maggio 2010, n. 19724, Pistoiesi, in CED Cass. n. 247117; Cass., Sez. II, 23 aprile 2008, n. 19711, in Guida dir. 2008, 25, 92; Cass., Sez. II, 16 giugno 2004, n. 37526, Giorgetti, in Cass.pen. 2006, 516; Cass., Sez. III, 10 aprile 2001, n. 20382, Massaro, ivi, 2002, 2361; Cass., Sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 3298, Savian, ivi, 2000, 1957).
In questo senso è stata ritenuta integrata la condotta minacciosa nell’invio a persona indagata, da parte di soggetto latitante, della copia del biglietto aereo con cui si paventava il ritorno in Italia – e dunque l’intenzione di rendere all’autorità giudiziaria dichiarazioni sfavorevoli al coimputato destinatario della missiva – accompagnata da una frase minacciosamente icastica.
La coartazione realizzata con la minaccia non deve essere assoluta, dovendo pur sempre consentire un margine di scelta, ovvero lasciare in chi la subisce la possibilità di optare tra l’accettare la richiesta dell’agente e il subire il male minacciato (v. per tutti, Fiandaca-Musco, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, Delitti contro il patrimonio, II, Bologna, 2012, 2, 151; Cerase, Art. 629 c.p., in C.p. Lattanzi-Lupo, XII, Milano, 2010, p. 172; in giurisprudenza, v. Cass., Sez. un., 22 gennaio 2009, n. 5941, P., in Guida dir. 2009, 16, 97; Cass., Sez. II, 19 dicembre 2008, n. 12749, Grandone, in CED Cass. n. 244046 secondo le quali non è configurabile il delitto di estorsione se il destinatario della pretesa vessatoria non si trovi nelle condizioni di dover adempiere a quanto richiesto come unico modo per evitare un pregiudizio diretto ed immediato; contra, nel senso che la minaccia debba essere assoluta e privare il destinatario di qualsiasi spazio di autodeterminazione, Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, I, Milano, 2003, 420).
In forza di tale caratteristica, il delitto di estorsione, oltre ad essere ritenuto plurioffensivo – tutelando la norma incriminatrice il patrimonio, ma anche la libertà personale (rectius, di autodeterminazione) della persona offesa (Marini, voce Estorsione, in Dig. Pen., Torino, 1990, 387) – si fa comunemente rientrare nella categoria dei delitti contro il patrimonio con cooperazione artificiosa della vittima: delitti, cioè, in cui l’atto di disposizione patrimoniale che risulta pregiudizievole è pur sempre posto in essere dalla persona offesa in modo cosciente e volontario, ma il suo facere è coartato dalla condotta (violenta e/o) minacciosa del soggetto agente (Mantovani, Diritto penale, Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, II, Padova, 2009, 167 ss).
Ciò che conta, dunque, è la finalizzazione della condotta minacciosa all’ottenimento di un profitto ingiusto con altrui danno. È tuttavia necessario che la minaccia sia seria, ovvero credibile come verosimile da parte della vittima, non rilevando a quel punto se il male minacciato possa in concreto verificarsi o che la vittima sia stata effettivamente intimidita o, ancora, che la stessa si sia rivolta formalmente alle autorità (Fiandaca-Musco, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, Delitti contro il patrimonio, cit., 151; Mantovani, voce Estorsione, in Enc. Giur., XIII, Roma, 1990, 2).
La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretesa, la proporzione della stessa rispetto al male minacciato, le particolari condizioni soggettive della vittima (in questo senso, Cass., Sez. II, 7 marzo 2013, n. 16397, R.G., in D&G, 2013, 12 aprile; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2013, n. 9848, M.C., ibidem, 4 marzo; Cass., Sez. II, 27 settembre 2012, n. 2833, in CED Cass. n. 254297; Cass., Sez. V, 22 settembre 2009, n. 41507, B. e altro, in Cass. pen. 2010, 10, 3483; Cass., Sez. III, 10 aprile 2001, n. 20382, Massaro, cit.; Cass., Sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 3298, Savian, cit.; nello stesso senso, ma in un’ipotesi di tentativo, Cass., Sez. II, 10 aprile 2008, n. 26819, Dell’Utri, in CED Cass. n. 240950).
Orbene, nel caso di specie, i giudici, di merito prima e di legittimità poi, hanno ritenuto che le reiterate e pressanti richieste di ingenti somme di danaro in cambio di dichiarazioni favorevoli di fronte all’Autorità Giudiziaria, relativamente alle numerose vicende oggetto d’indagine, rivestissero il carattere della minaccia, idonea a porre il soggetto passivo nella condizione di dover subire la volontà dell’agente per evitare il paventato verificarsi di un grave pregiudizio: e ciò non solo per le modalità sempre più incalzanti delle richieste e la pretesa di somme, seppur ingenti, comunque compatibili con le condizioni economiche della vittima, ma anche e soprattutto perché dirette ad un uomo pubblico (anche per mezzo di intermediari), con un incarico politico-istituzionale di primo piano e, per ciò tale, caratterizzato da una importante esposizione mediatica.

Per scaricare il testo della sentenza clicca qui