ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro la fede pubblicaParte speciale

Sostituzione di persona nel web: risponde del reato di cui all’art. 494 c.p. chi crea un falso profilo in chat, associandolo all’altrui recapito telefonico – Cass. Pen. 18826/2013

Cassazione Penale, Sez. V, 29 aprile 2013, n. 18826
Presidente Zecca, Relatore Guardiano, P.M. Mazzotta (conf.), Celotti ricorrente

Massima

Nell’ottica di una interpretazione meramente estensiva dell’art. 494 cod. pen., deve ritenersi integrare il delitto di sostituzione di persona la condotta di chi inserisca nel sito di una “chat line” a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un “nickname” di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla medesima, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale.

Il commento

Nella sentenza in nota, la Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi sul reato di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p., con particolare riferimento a nuove forme di aggressione, nel caso di specie per via telematica, del bene oggetto di tutela della norma richiamata.
La pronuncia è di scottante attualità se si considera che l’avvento di internet, permettendo l’interconnessione globale tra reti informatiche, ha creato una nuova comunità sociale in cui è possibile riprodurre tutte le forme dell’agire umano, ivi comprese quelle penalmente rilevanti. Diretta conseguenza del fenomeno è la necessità di porre regole giuridiche idonee a consentire il rispetto dei diritti dei soggetto coinvolti e a predisporre un sistema di repressione nel caso in cui vengano commessi reati (per una visione generale sui reati realizzati attraverso la rete si vedano Galdieri, Internet e illecito penale, in Giurisprudenza di merito, nn. 4-5, 1998, 856 ss; Pica, Diritto penale delle tecnologie informatiche, Utet, Torino, 1999, 249 ss.).
Focalizzando l’attenzione sull’ambito penalistico, la questione non è di poco conto, se si considera che essa si scontra necessariamente con il rispetto del principio di tassatività delle norme penali e del divieto di analogia. Quanto detto era ben presente agli operatori del mondo del diritto che ebbero ad occuparsi del fenomeno: nella discussione sorta introno alle modalità di contrasto alle attività illecite realizzabili in rete vi fu, infatti, una spaccatura tra chi auspicava l’introduzione di norme ad hoc, mirate a disciplinare le ipotesi non previste e chi, invece, riteneva sufficiente adattare quelle previgenti ai casi che via via sarebbero venuti in rilievo. Alla fine è prevalso un orientamento mediano: si è così optato per il mantenimento della normativa vigente dove possibile, predisponendo, invece, una disciplina mirata per le ipotesi in cui, nell’impossibilità di procedere ad interpretazioni estensive delle norme esistenti, bisognava intervenire positivamente per colmare le lacune (a testimonianza di quanto detto si veda, ad esempio, la legge 23 dicembre 1993 n. 547 di modifica al codice penale e al codice di rito in tema di criminalità informatica, volta appunto ad introdurre nuove fattispecie da affiancare a quelle presenti).
Ciò premesso, punto di partenza della nostra analisi non può che essere il disposto normativo.
Come noto, il reato contemplato dall’art. 494 c.p. reprime la condotta di chi, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, induce taluno in errore, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno. Tale norma, non contenuta nel codice Zanardelli, ma introdotta solo nel codice Rocco, ha dato luogo a molteplici discussioni in dottrina, sia per quel che riguarda la sua collocazione nell’ambito dei delitti di falso, sia per quel che attiene al bene giuridico oggetto di tutela. Nello specifico, autorevole dottrina (Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, Giuffrè, II, XV ed., 2008, 163 ss.) ha evidenziato uno stravolgimento della ratio sottesa al tradizionale criterio di classificazione delle fattispecie penali: se infatti in generale questa è effettuata avuto riguardo all’oggetto dell’azione (valori pubblici, documenti, contrassegni), per la sostituzione di persona a venire in considerazione non è l’oggetto materiale dell’azione ma la specie dell’inganno ordito dal soggetto e lo scopo cui questo è teso. Le critiche alla collocazione si saldano, inoltre, con quelle aventi ad oggetto il bene giuridico oggetto di tutela, ritenendo parte della dottrina che la condotta di cui all’art. 494 c.p. non sempre sia idonea a ledere la fede pubblica (per un quadro della situazione si vedano De felice, Le falsità personali, Napoli, 1983; Nappi, voce Falsità personale, in Enc. Giur., vol. XIV, Roma, 1989; Pagliaro, voce Falsità personale, in Enc. Dir., vol. XVI, Milano, 1967, 646).   
Tornando alla pronuncia che ci occupa, nel valutare la legittimità della sentenza di appello che condannava la ricorrente per la divulgazione del numero di utenza cellulare altrui su una chat telematica erotica, la Corte si è soffermata alcuni punti cruciali.
In prima battuta si trattava di stabilire se, in via generale, la commissione via internet delle condotte descritte nella norma potesse farsi rientrare nell’art. 494 c.p., senza per ciò solo sfociare nell’interpretazione analogica, vietata in ambito penale.
Sul punto, i giudici di legittimità, prendendo atto dell’assenza di organici interventi legislativi in grado di dare risposta ai molteplici problemi posti dall’avvento delle nuove tecnologie nella quotidianità e nelle relazioni sociali, hanno avallato ed anzi hanno auspicato il ricorso a tecniche di interpretazione estensiva delle fattispecie di reato esistenti nel codice, laddove ciò sia rispettoso del divieto di analogia e del principio di tassatività. Tale modo di procedere è stato poi ritenuto doveroso, dagli ermellini, quando ci si trovi in presenza di condotte che non risultano espressamente previste dalla norma sol perché, come nel caso di specie, non potevano essere contemplate dal legislatore nel momento storico in cui la disposizione è stata emanata (per un’attenta analisi sulla nozione di interpretazione estensiva nel diritto penale e sui confini tra questa e interpretazione analogica si veda Pagliaro, Testo e interpretazione nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 433 ss.). Ed in effetti un ragionamento di tal fatta pare doversi avallare ogni qual volta si riscontrino, non già nuovi interessi da tutelare ma soltanto di nuove modalità di aggressione di beni giuridici già tutelati. Significative, a tal riguardo, precedenti pronunce di legittimità, richiamate nel provvedimento in nota, che, ricorrendo gli altri elementi costitutivi di fattispecie (induzione in errore, vantaggio o altrui danno), hanno ricondotto nell’ambito di operatività del 494 alcune condotte realizzate attraverso l’utilizzo della rete internet, come ad esempio la partecipazione ad aste on-line con un pseudonimo nonché la creazione e l’utilizzo di un falso account di posta elettronica associato alle generalità di altri soggetti (per quest’ultima ipotesi si veda Cass. pen., sez. V, 8 novembre 2007, n. 46674, in Dir. internet, 2008, 3, 249 ss., con nota di Catullo).
Risolto positivamente l’interrogativo sulla possibilità di realizzare la sostituzione di persona anche in via telematica, la Corte è passata ad affrontare la seconda questione, id est se, nel caso di specie, l’utilizzo in chat di un nickname e non, dunque, del nome di battesimo, associato però all’altrui numero di telefono, dia luogo a sostituzione di persona. Il ragionamento dei giudici di legittimità prende le mosse da una breve disamina sulla natura giuridica del reato in questione che, come anticipato poco sopra, ha dato luogo a dispute dottrinali. La Corte, rifacendosi all’orientamento consolidato in seno alla propria giurisprudenza (si vedano, ex multis, Cass. pen., sez. V, 27 marzo 2009, n. 21574, in C.E.D. Cass., 2009; Cass. pen., Sez. V., 8 novembre 2007, n. 46674, in Riv. pen., 2008, 258, secondo cui «oggetto della tutela penale è l’interesse riguardante la pubblica fede in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica»; Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2007, n. 46982, in Dir. pen. proc., 2008, 1128 con nota di De Flammineis secondo cui i reato di falso hanno in comune la protezione di un bene giuridico strumentale-intermedio, la fede pubblica, in vista della tutela di beni finali ulteriori, di natura patrimoniale, personale; nella giurisprudenza costituzionale si segnala Corte Cost., 23 novembre 2006, n. 394, in Dir. pen. proc., 2007, 324 con nota di La Rosa)  ha riaffermato la natura plurioffensiva della figura criminosa, desumendola, in particolare, dalla sua collocazione nell’ambito dei delitti contro la fede pubblica: la condotta di cui all’art. 494 c.p. oltre a ledere i diritti del soggetto privato nella cui sfera giuridica l’atto è destinato ad incidere concretamente, è certamente idonea a ledere la fede pubblica, come anche evidenziato nella Relazione del Guardasigilli sul progetto definitivo del codice penale. Se è dunque vero che la norma è volta a tutelare anche l’identità dei terzi, è innegabile che nella vicenda posta all’attenzione della Corte si è in presenza di una vera e propria sostituzione di persona. Tutelare l’identità dei terzi vuol dire, infatti, non solo evitare possibili usurpazioni ma anche impedire che ai terzi vengano attribuiti falsi contrassegni di identità, tra cui è possibile far rientrare, accanto agli pseudonimi e ai nomi di fantasia, anche i nicknames (il discorso imporrebbe una riflessione, che qui non compete, sulle definizioni di identità personale, identità virtuale e rapporto di queste con l’identificazione personale; sia dunque dato rimandare, sul punto, all’esaustivo contributo di Resta, Identità personale e identità digitale, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 3, 2007, 511 ss., di cui si segnala, in particolare, la riflessione sulla complessiva revisione dell’apparato di tutela civile della persona intrapresa a partire dagli anni ’70 e sull’emersione dell’identità personale come bene giuridico autonomamente tutelato, nonché sulla valenza relazionale del controllo sulla definizione di propria identità, con particolare riguardo alla reinterpretazione delle regole di attribuzione di utilizzo dei segni distintivi proprio alla luce del precetto di tutela dell’identità personale).
Non colgono nel segno, allora, le censure di parte ricorrente, secondo cui la mera divulgazione di un numero telefonico, associato ad un nome di fantasia, non sarebbe idoneo ad ingannare i terzi né a dar luogo a sostituzione di persona. Ed invero, come ribadito dalla Corte in conclusione, l’utilizzo nella chat erotica del nickname corredato dal recapito telefonico di un’altra persona può ben valere come contrassegno identificativo, nella specie, di una persona fisica disposta ad incontri e comunicazioni di tipo sessuale con i frequentatori della chat stessa. È evidente, dunque, che l’alterazione di un contrassegno identificativo, operato allo scopo di procurarsi un vantaggio ovvero arrecare un danno alla persona offesa, unitamente all’induzione in errore dei terzi, integri il reato di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p..

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