ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PENALELegilsazione speciale

Sul risarcimento del danno ambientale da parte dei soggetti singoli o associati, compresi gli enti pubblici territoriali – Cass. Pen. 633/2012

Cassazione Penale, Sez. III, 12 gennaio 2012 (ud. 29 novembre 2011), n. 633
Presidente De Maio, Relatore Franco, P. G. Baglione

La massima

Spetta esclusivamente allo Stato (e, in particolare, al Ministero dell’Ambiente) la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati contro l’ambiente per ottenere il risarcimento del danno ambientale, inteso come interesse alla tutela dell’ambiente in sé considerato. Tutti gli altri soggetti  (singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni) possono agire, in forza dell’art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico, collettivo e generale, alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale.

Il commento

Ancora una volta l’intervento della Suprema Corte giunge a far luce in un momento ed in una vicenda alquanto drammatica, visti anche i recenti fatti di cronaca che il problema dello smaltimento dei rifiuti ha sollevato.
Giova ricordare che il 27 marzo 2007 il Parlamento Italiano ha provveduto ad effettuare un modifica al codice penale, introducendo al Titolo VI del Libro II, il Titolo VI-bis, dedicato ai reati contro l’ambiente, ciò quanto meno per cercare di arginare il fenomeno dello sversamento illecito dei rifiuti. Ma non è tutto. Interrogata a più riprese in merito alla riconoscibilità del danno ambientale, la Suprema Corte, (si veda : Cass.Pen., Sez.III, sent. 29 maggio 2013, n. 23091; Cass. Pen., Sez. III, sent.16 maggio 2013, n. 21147; Cass. Pen., Sez. III, sent. 16 maggio 2013, n. 21138) ha risposto richiamando un orientamento ben consolidato negli anni, stabilendo in modo perentorio la responsabilità di coloro che si avvalgono di terzi per lo smaltimento dei rifiuti, omettendo di esercitare il controllo voluto dall’art. 2049 cod. civ.
In altra occasione, la Sez. III della Cassazione Penale ha stabilito che : «Attualmente, l’art. 311 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, riserva allo Stato, ed in particolare al ministro dell’ambiente e della tutela del territori o, il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l’azione civile in sede penale. Le regioni e gli enti locali, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale, in forza dell’art. 309, comma 1, possono ora presentare denunce ed osservazioni nell’ambito di procedimenti finalizzati all’adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l’intervento statale a tutela dell’ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del danno ambientale. La giurisprudenza di questa Corte successiva all’appena ricordato mutamento legislativo ha poi rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al ministro dell’ambiente, ai sensi dell’art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma anche all’ente pubblico territoriale (come la provincia) ed ai soggetti privati che per effetto della condotta illecita abbiano subito un danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (Sez. III, 28.10.2009, n. 755/10, Ciarloni, m. 246015) ».
Ha poi precisato la Corte che il risarcimento del danno ambientale, considerato come lesione diretta dell’interesse collettivo all’ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall’art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sicché il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell’ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell’art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico, collettivo e generale, alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale ».
Pertanto urge una precisazione. Mentre la legge riconosce nella persona del ministro dell’ambiente il soggetto legittimato alla tutela di interessi collettivi, quale è appunto l’ambiente, allo stesso tempo autorizza i terzi interessati, i cui diritti siano stati lesi da un danno prodotto all’ambiente, ad intervenire per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ponendo a base della loro domanda l’art. 2043 cod. civ. Ciò è senza dubbio giusto e sensato, in primo luogo perché per il disposto dell’art. 2 della Cost., la Carta Costituzionale riconosce a tutti i cittadini la sacralità dei diritti inviolabili e quindi è opportuno che vi siano due o più distinti soggetti legittimati, perché mentre s’identifica nello Stato la massima autorità di tutela in tema di danno all’ambiente, è oltremodo giusto che anche lo Stato venga ad essere sollecitato dai privati, sebbene attraverso una diversa argomentazione logica. Così, per il danno all’ambiente la legge 152 del 2006 riconosce solo nello Stato il soggetto legittimato ad agire, ma la Cassazione ha precisato che tale potere spetta anche al privato il quale vedendosi menomato di un diritto costituzionalmente garantito, può agire in giudizio ponendo a base della sua domanda il danno previsto dall’art. 2043 cod. civ.
In proposito e a corroborare la posizione assunta dalla Cassazione, si fa presente altro obiter dictum, risalente a Cass. Pen. Sez. III n. 47805 del 2013 secondo cui : «Le associazioni ambientaliste, sono legittimate a costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, in quanto in tal caso l’interesse all’ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato».
Ciò significa che quando un’associazione o un comitato esercita sul territorio interessato una funziona talmente meritoria da essere fatta propria dai suoi cittadini, allora alla stessa associazione o comitato è riconosciuta la legittimazione ad agire in giudizio per la salvaguardia degli interessi della sua comunità.
Circa il modo attraverso il quale il danno all’ambiente trova ristoro, c’è da spiegarsi. Da negarsi è il riconoscimento dei punitive damage, istituto di origine anglossassone, ma utilizzato principalmente negli States, che dà luogo a risarcimenti finalizzati a punire i responsabili di fatti illeciti particolarmente odiosi e riprovevoli, per prevenire il ripetersi di comportamenti analoghi e, sempre più spesso, con lo scopo di azzerare i guadagni ed i successi economici che operatori professionali scorretti e senza scrupoli conseguono illecitamente. Sull’ammissibilità dei punitive damage nel nostro ordinamento sia la dottrina, sia la giurisprudenza sono divise, sia perché essendo l’istituto de quo estraneo alla nostra cultura giuridica, mancano gli strumenti necessari per il suo riconoscimento, sia perché la loro ammissibilità diverrebbe possibile solo a seguito di una decisa apertura del nostro ordinamento verso altri orizzonti. Se debba ammettersi l’esistenza di un simile istituto è compito del potere legislativo, in primis e della magistratura in secondo luogo, qualora la strada si riveli effettivamente percorribile.
In ogni caso, giova qui precisare che a proposito di danni punitivi la nostra dottrina e giurisprudenza si sono di recente interrogate in merito al loro riconoscimento, ammettendone l’ammissibilità.
In Italia, con spinte più decise rispetto al resto d’Europa, si è soliti parlare di risarcimenti sanzionatori, partendo dal presupposto che l’effetto che si mira ad ottenere è il ristoro integrale della vittima dell’illecito. In effetti, il problema del riconoscimento dei danni punitivi si pone solo allorquando l’evento si sia verificato in altro Stato ed abbia avuto come vittime o parti necessarie del processo cittadini italiani che nello Stato Italiano ora chiedono al giudice di delibare la sentenza straniera. Per effetto del disposto dell’art. 11 della Costituzione, un principio contrario all’ordinamento italiano non può trovare accoglimento nel nostro Stato, a meno che non si tratti di valori e principi che attraverso la cessione di sovranità vengano ad essere così meglio salvaguardati e protetti; l’Italia, pertanto, non ha detto di no al riconoscimento dei risarcimenti sanzionatori, solo ha voluto precisare, attraverso la giurisprudenza della Corte Costituzionale, come disciplinare caso per caso le questioni che si prospettavano. Fra tutte si veda la sentenza n. 184 del 1986 della Corte Costituzionale, la quale ha così stabilito : «è impossibile negare o ritenere irrazionale che la responsabilità civile da atto illecito sia in grado di provvedere non soltanto alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato ma fra l’altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad ulteriormente prevenire e sanzionare l’illecito, come avviene appunto per la riparazione dei danni non patrimoniali da reato. Accanto alla responsabilità penale la responsabilità civile ben può assumere compiti preventivi e sanzionatori».
Il riconoscimento del diritto alla salute, cui fa espresso richiamo l’art. 32 Cost. e più in particolare la legge 30 luglio 1998 n. 281, difetta infatti un definito interlocutore ed al momento l’unica strada percorribile, sembra essere il ricorso alla class action ovvero una sollecitazione all’Ente ed al ministro competente, al fine di dar concreta attuazione ad una domanda la cui prova risulta ardua in dibattimento. In Italia, lo sversamento illecito di rifiuti, vede perpetrarsi da diversi anni uno scempio ambientale ai danni della popolazione colpita, e sul punto la giurisprudenza della Cassazione più avuto occasione di esprimersi, ora riconoscendo nello Stato la massima autorità garante in tema di ambiente, ora ravvisando nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni, nonché in associazioni e comitati i soggetti legittimati a promuovere giudizi dinanzi la magistratura competente.
Pertanto, il riconoscimento dei danni, a maggior ragione dei danni punitivi, coincide con il pretium doloris, ossia con le sofferenze patite dalla vittima per mezzo del comportamento illecito attuato dal danneggiante, nel quale va individuato il soggetto responsabile tenuto a risarcire il danno. Risarcimento che, considerato come risposta al male subito, potrà comprendere tanto il danno emergente, quanto il lucro cessante e concentrarsi ora sull’aspetto patrimoniale ora su motivi di natura più strettamente esistenziali e dovendosi leggere il danno esistenziale «come un terzium genus all’interno della responsabilità civile, quale insieme ben distinto sia dal tronco del danno patrimoniale, sia da quello del danno morale; una realtà incentrata sul “fare non reddituale” delle persone, affidata sotto il profilo disciplinare al governo dell’art. 2043 e delle altre norme ordinarie sull’illecito, non escluse verosimilmente quelle sull’inadempimento contrattuale » (Rubrica settimanale di dottrina, Le Nuove Voci del Diritto, direttore editoriale Giuseppe Cassano, a cura di Paolo Cendon, – Esistere o non esistere).
Quindi, ai fini di una corretta valutazione dei danni è necessario innanzitutto darne prova certa, tenendo presente il disposto degli artt. 1223, 1226 e 2043 cod. civ., fornendo al giudicante prova del nesso eziologico tra causa ed effetto, all’occorrenza basandosi anche sul disposto degli artt. 40, 41, 185 e 635 c.p. che, in certe circostanze, potranno tornare utili per una quantificazione meglio rispondente alle sofferenze ed ai patimenti subiti dalla vittima.