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Arresti domiciliari e braccialetto elettronico: è il momento delle Sezioni Unite?

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Oramai è evidente: sulla questione del braccialetto elettronico esistono e vanno consolidandosi due orientamenti nettamente contrapposti in seno alla Corte di Cassazione; prova ne sono alcune recenti sentenze depositate negli ultimi sei mesi.

La norma di riferimento è l’art. 275 bis c.p.p. che disciplina le particolari modalità di controllo che possono essere adottate dal Giudice nel disporre gli arresti domiciliari. Tale disposizione fu introdotta nel 2000, ma fino alle modifiche apportate D.L. 146/2013 conv. con la L. 10/2014 ha avuto un’applicazione limitatissima. Le ragioni sono essenzialmente due: da una parte la cronica mancanza di dispositivi idonei (1) e dall’altra una formulazione legislativa assolutamente blanda. Invero, il ricorso a tali strumenti di controllo era rimesso alla scelta del giudice “se lo ritiene necessario”. Le modifiche apportate dal D.L. 146/2013 hanno però ribaltato tale prospettiva, di fatto imponendo al Giudice di ricorrere a tali dispositivi sempre in caso di applicazione della misura degli arresti domiciliari “salvo che le ritenga non necessarie”. Tale volontà del Legislatore, che poteva causare degli imbarazzi interpretativi attesa una formulazione piuttosto infelice (anche per sistemazione), è testimoniata incontrovertibilmente dai lavori preparatori nei quali si legge “La disposizione in commento stabilisce che il giudice deve ordinariamente prescrivere queste particolari modalità di controllo, a meno che, a seguito della valutazione del caso concreto, non ne escluda la necessità. La novella prevede dunque che la prescrizione degli strumenti elettronici di controllo deve rappresentare la regola. Peraltro, lo stesso comma 1 dell’articolo 275-bis continua a prevedere che il giudice applica le particolari modalità di controllo “quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria”.

Sul (discutibile) punto che, alla luce della novella del 2013-2014, gli arresti domiciliari possano essere disposti di regola ricorrendo al controllo mediante strumento elettronico pare esserci concordanza di idee anche fra le singole Sezioni della Corte di Cassazione. Meritano di essere citate in tal senso Cass. Sez. II nr. nr. 28115/2015 e 46328/2015, Cass. Sez. I, nr. 39259/2015 nonché Cass. Sez. IV, nr. 35571/2015. Altro punto di contatto che emerge dalle sentenze citate, pare essere il principio di diritto per il quale tale regola, non abbia introdotto un nuovo tipo di misura cautelare diversa e ulteriore rispetto agli arresti domiciliari disciplinati dall’art. 284 c.p.p. bensì abbia precisato una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari. Essa è necessaria ai fini della concedibilità degli stessi ed è adottata non al fine di adeguare la misura meno afflittiva ad un maggior controllo dell’indagato ma ai fini del giudizio sulla capacità effettiva dell’indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, il quale accetta l’installazione del dispositivo e si impegna a rispettare le prescrizioni.

Le comunanze di vedute, tuttavia, paiono fermarsi qui. Il punctum dolens che spesso, per ragioni anche pratiche, viene affrontato dalla Corte di Legittimità e che ha creato i due opposti orientamenti giurisprudenziali riguarda il caso in cui il Giudice abbia ritenuto adeguata la misura degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico ma l’apparato non sia disponibile.

Un primo orientamento, consolidatosi nella giurisprudenza della II sezione della Corte di Cassazione, stabilisce che la mancata disponibilità del dispositivo di controllo “seppure non ascrivibile all’indagato, deve essere valutata ai fini del giudizio di adeguatezza della misura degli arresti domiciliari” (Sez II, n.28115/2015, ud. 19/06/2015; pres. Gentile, rel. Gallo); il risultato della indisponibilità del “braccialetto” sarà la momentanea permanenza in carcere, situazione che non genera “alcun vulnus(…) né alcuna violazione dei diritti di difesa, perché l’impossibilità della concessione degli arresti domiciliari senza controllo elettronico a distanza dipende pur sempre dall’intensità delle esigenze cautelari e pertanto è ascrivibile alla persona dell’indagato” (così: Sez. II, n.46328/2015, udienza 10/11/2015,Pres.Fiandanese, rel. Carrelli Palombi di Montrone).

Il secondo orientamento che, allo stato, accomuna il pensiero (e le conclusioni) delle sezioni I e IV è diametralmente opposto: L’indisponibilità dello strumento di controllo tecnico a distanza non può comportare la momentanea permanenza in carcere dell’indagato poiché non si tratta di “una prescrizione che inasprisce la misura “ ma solo di una mera modalità di controllo; conseguentemente una volta ritenuta idonea la misura degli arresti domiciliari “la applicazione ed esecuzione di detta misura non può essere condizionata da eventuali difficoltà di natura tecnica e/o amministrativa” (così: Sez. I n.39529/2015; udienza del 30/09/2015; Pres. Chieffi, rel. La Posta).

Insomma, una volta che il Giudice riconosce adeguata la misura degli arresti domiciliari ha già, di fatto, escluso che la permanenza in carcere sua in qualche modo giustificata e giustificabile. Poco conta, allora, se sia disponibile o meno lo strumento di controllo; di fatto non esiste ragione per vincolare l’interessato alla permanenza in carcere in mancanza dello stesso. La decisione (favorevole) sulla proporzionalità della misura comunque attenuata non può essere sottoposta ad una sorta di sospensiva in attesa della disponibilità del presidio elettronico; ne conseguirà l’immediata scarcerazione con l’applicazione del regime attenuato non monitorato elettronicamente (IV sez. n.35571/15, udienza del 3/2/2015; Pres. Brusco, rel. Grasso).

Com’è agevole constatare la differenza di impostazione (e di conclusioni) tra le sezioni semplici è di tutta evidenza e non appare ricomponibile in via mediata. A noi pare preferibile il secondo degli orientamenti.

Partendo dal principio, non contestabile, che la custodia cautelare in carcere sia misura estrema, apicale, una volta che il Giudice abbia comunque deciso per la sua attenuazione con quella della detenzione domestica ha conseguentemente escluso che il carcere sia scelta inevitabile. La disponibilità o meno del presidio elettronico non servirà ad intaccare il giudizio circa “l’evitabilità del carcere” che il giudice ha già compiuto (favorevolmente) nel momento in cui ha ritenuto adeguata la misura meno afflittiva rispetto a quella apicale (art.275 n.3 C.p.p.).

E’ a seguito di questo giudizio avvenuto ed acquisito che occorrerà dopo, conseguentemente, affermare che l’indisponibilità momentanea del presidio elettronico non può far rivivere una “assoluta indispensabilità” che di fatto era stata esclusa, superata, vinta.

L’auspicio è che le Sezioni Unite possano, quanto prima, superare una contrapposizione evidente tra le sezioni semplici, la cui risultante è (anche) un disorientamento tra gli stessi operatori, chiamati a cimentarsi con una materia così delicata, viste le conseguenze pratiche che la prevalenze dell’uno o dell’altro degli orientamenti sta comportando.


(1) Il Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha concluso nel 2001 una convenzione con Telecom Italia, definita sperimentale e limitata a sole cinque province: Milano, Torino, Roma, Napoli e Catania. Nel 2003 il servizio è stato prorogato al 31 dicembre 2011 ed esteso a tutto il territorio nazionale e Telecom Italia si è impegnata a fornire e gestire 400 dispositivi elettronici di controllo. Negli anni tra il 2001 e il 2010 i dispositivi effettivamente utilizzati sono stati 14. Fonte: Dossier del Servizio Studi sull’ A.S. n. 1288 del Senato della Repubblica.

A cura di Francesco Antonio Maisano e Alberto Bernardi (Avvocati in Bologna)