ARTICOLICONTRIBUTIDalle Sezioni UniteDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANOMisure cautelari

L’attesa pronuncia delle Sezioni Unite sulle conseguenze dell’indisponibilità del braccialetto elettronico

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 7-8 – ISSN 2499-846X

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Cassazione Penale, Sezioni Unite, 19 maggio 2016 (ud. 28 aprile 2016), n. 20769
Presidente Canzio, Relatore Piccialli

Le Sezioni Unite con la sentenza del 28 aprile 2016, n. 20769 si sono pronunciate su una questione particolarmente spinosa che ha diviso tanto la giurisprudenza di legittimità quanto quella di merito.

La problematica riguarda l’art. 275 bis c.p.p., che prevede l’adozione di particolari modalità di controllo – il c.d. braccialetto elettronico – nel caso in cui venga disposta dal giudice la misura cautelare degli arresti domiciliari, anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere.

La questione ermeneutica si è posta in tutti quei casi, peraltro molto frequenti, in cui il dispositivo di controllo non sia disponibile, ovvero non possa essere installato nell’abitazione designata. Infatti, in tali ipotesi si è presentato il problema se l’assenza del congegno elettronico giustifichi da sola l’applicazione da parte del giudice della misura della custodia cautelare in carcere ovvero quella degli arresti domiciliari “semplici” (senza braccialetto elettronico).

In merito, la giurisprudenza, pur escludendo unanimemente che l’art. 275 bis c.p.p. abbia introdotto una nuova e ulteriore misura coercitiva rispetto a quelle già esistenti, si è divisa in due opposti orientamenti in relazione conseguenze derivanti dalla mancanza degli strumenti tecnici previsti dalla norma.

Secondo un primo indirizzo, nel caso di accertata indisponibilità del mezzo di controllo elettronico, il giudice è obbligato ad adottare la misura della custodia cautelare in carcere: infatti, se ritiene che le esigenze cautelari, nel caso concreto, possano essere salvaguardate solo attraverso l’uso del dispositivo elettronico, le stesse esigenze, in assenza di quest’ultimo, potranno essere tutelate unicamente attraverso l’applicazione della custodia cautelare in carcere (ex multis, Cass. pen., Sez. II, 19 giugno 2015, Rv. 264230). In questi casi, inoltre, non vi sarebbe un vulnus degli artt. 3 e 13 della Costituzione, poiché l’impossibilità di concedere gli arresti domiciliari semplici dipenderebbe solamente dall’intensità delle esigenze cautelari e sarebbe pertanto ascrivibile alla persona.

Per l’opposto orientamento, invece, l’impossibilità di reperire il congegno non può condizionare l’effettività della misura prescelta dal giudice, che è basata su una valutazione di pericolosità dell’indagato. Per tale motivo, occorre escludere che la scarcerazione possa essere sospesa – e quindi che al soggetto debba essere applicata ovvero mantenuta la custodia cautelate in carcere – solo per la materiale indisponibilità del braccialetto elettronico. Ne consegue che, qualora manchi lo strumento tecnico e il giudice abbia autonomamente valutato l’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari, il detenuto – o l’indagato ancora in libertà – dovrà essere controllato con i mezzi ordinari: deve essere quindi escluso che in questa ipotesi possa essere giustificata la sua permanenza in carcere (Cass. pen., Sez. 1, 10 settembre 2015, Quici, Rv. 264943).

Le Sezioni Unite hanno avallato quell’impostazione, peraltro messa in dubbio solamente dalla dottrina, in base alla quale l’art. 275 bis c.p.p. non costituisce nuova misura cautelare ma una modalità di esecuzione della stessa, che infatti risulta applicabile non solo alla misura degli arresti domiciliari, ma anche a quella disposta dall’art. 282 bis comma 6 c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare).

Secondo la Corte, la posizione della dottrina, secondo cui gli arresti domiciliari con particolari modalità di controllo formerebbero una nuova misura cautelare pensata per tutelare situazioni intermedie tra quelle che giustificano la custodia in carcere e quelle che consentono i solo arresti domiciliari semplici, non può essere sostenuta se si considera quanto disposto dal disegno di legge relativo alla conversione del decreto n. 341 del 2000 che ha introdotto l’art. 275 bis c.p.p., che espressamente esclude tale ipotesi. A sostegno di tale assunto, inoltre, è significativa anche la collocazione sistematica della norma, che è stata inserita a ridosso delle “disposizioni generali” in tema di misure e cautelari e subito dopo l’art 275 c.p.p. che disciplina i criteri di scelta di tali misure.

Le Sezioni Unite, al fine di fornire la soluzione al quesito, si soffermano sull’evoluzione della norma in questione e sulla recente riforma legislativa (l. 47 del 2015) in tema di misure cautelari personali, finalizzata a dare attuazione alla pronuncia della Corte EDU Torreggiani dell’8 gennaio 2013.

Sulla base di questa evoluzione normativa, il giudice deve considerare obbligatoriamente gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico quale alternativa alla misura custodiale in carcere, al fine di ridurre l’utilizzo di quest’ultima. Anzi, in questa ottica, a seguito della modifica dello stesso art. 275 bis c.p.p. operata dal d.l. 146 del 2013, il giudice deve disporre gli arresti con le modalità particolari di controllo “salvo che le ritenga non necessarie”, dovendo dare esplicita motivazione in tal senso.

La lettura complessiva della norma – in particolare al punto in cui prevede che il giudice adotti la misura degli arresti con gli strumenti tecnici “quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria”- conduce le Sezioni Unite ad affermare che la verifica da parte del giudice sulla disponibilità o meno dell’istituto degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico debba necessariamente avvenire prima della scelta della misura da applicare, proprio in quanto funzionale alla medesima valutazione.

Per determinare quali siano le conseguenze pratiche nel caso di indisponibilità del braccialetto elettronico, la Corte ha rilevato come il legislatore non abbia preso in considerazione questa opzione; l’art. 275 bis c.p.p. va a disciplinare solamente l’ipotesi in cui l’indagato non rilasci il proprio consenso all’applicazione degli strumenti tecnici di controllo, disponendo nel caso di diniego l’applicazione da parte del giudice della misura della custodia cautelare in carcere (art. 275 comma 1 c.p.p.).

La norma, dunque, nulla prevede nel caso in cui gli arresti cautelari con particolari modalità di controllo non possano essere disposte per motivi tecnici o per mancanza degli strumenti necessari. Anzi, va rilevato che la disposizione di cui all’art. 97 bis disp. att. c.p.p., che al comma 3 prevedeva la possibilità per il giudice di differire l’esecuzione immediata della scarcerazione, quale effetto dell’esecuzione del provvedimento di sostituzione della misura della custodia in carcere, è stata eliminata in sede di conversione del d.l. 92 del 2014.

Secondo il legislatore, pertanto, l’unica condizione ostativa all’applicazione degli arresti domiciliari con l’uso del braccialetto elettronico è rappresentata dal mancato consenso dell’imputato all’adozione di tale strumento.

Ciononostante, secondo la Corte deve essere comunque evitato in materia di misure cautelari qualsiasi tipo di automatismo in un senso o nell’altro.

Depongono in questa direzione nono solo le recenti riforme legislative, volte a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, ma anche le sentenze della Corte costituzionale che, a partire dalla sent. n. 265 del 2000, hanno progressivamente smantellato la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, ispirandosi al principio del “minor sacrificio necessario” e al modello della “pluralità graduata”, imponendo al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari nel caso concreto.

Corollario di tale percorso ermeneutico risulta il dovere del giudice, nel caso accerti l’indisponibilità dello strumento tecnico di controllo, di scegliere tra la misura custodiale in carcere e quella degli arresti domiciliari “sulla scorta di un giudizio di bilanciamento che, dato atto della possibilità di applicare la misura più idonea, ossia gli arresti domiciliari “elettronici”, metta a confronto l’intensità delle esigenze cautelari e la tutela della libertà personale dell’imputato”

Ciò significa che la mancata reperibilità del dispositivo elettronico impone al giudice una rivalutazione della fattispecie concreta secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità, escludendo qualsiasi forma di automatismo.

Ciò premesso, le Sezioni Unite hanno espresso il seguente principio di diritto: “il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con il c. d. braccialetto elettronico o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, escluso ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato l’indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, deve valutare, ai fini dell’applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.

La conseguenza pratica della posizione assunta dalle Sezioni Unite potrebbe pertanto essere riassunta nei seguenti termini: se il giudice motivatamente e ragionevolmente ritiene che l’imputato non offra sufficienti garanzie di affidabilità in relazione al rispetto delle prescrizioni connesse agli arresti domiciliari, tenuta in considerazione l’indisponibilità di attivazione del braccialetto elettronico, allora potrà disporre o mantenere la misura cautelare della custodia in carcere. In questo caso, invero, l’assenza dello strumento tecnico costituisce una constatazione rafforzativa dell’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari “semplici”.

Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Ciervo, L’attesa pronuncia delle Sezioni Unite sulle conseguenze dell’indisponibilità del braccialetto elettronico, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 7-8