ARTICOLIDIRITTO PENALETesi di laurea

Il crimine del colletto bianco. Dagli scandali bancari alla criminalità transnazionale. (Tesi di laurea)

Prof. relatore: Dario Melossi

Ateneo: Università di Bologna

Anno accademico: 2015/2016

Il primo studio significativo sul tema del crimine dei colletti bianchi – white collar –  si deve a Edwin Sutherland. Di Sutherland è la teoria delle “associazioni differenziali”, un processo di apprendimento di tecniche devianti, motivazioni, razionalizzazioni, atteggiamenti “morali” dell’individuo, riscontrabili grazie ai quattro parametri di frequenza, durata, priorità e intensità. Tale tesi è finalizzata a invalidare le teorie che spiegavano la criminalità sulla base di cause biologiche o sociali (deficit psicologici, povertà, degrado).

Non è un caso che Sutherland scriva di criminalità economica dopo la crisi del ’29: i grandi scandali economico-finanziari e le più gravi accuse mosse al mondo economico-finanziario sono sempre riferite ad un periodo storico in cui la fiducia tra popolazione e alte sfere della società è profondamente messa in discussione. Nasce il concetto di “associazione differenziale”: l’effettiva partecipazione al comportamento criminale è il risultato dell’interazione tra due associazioni, una criminale e l’altra no. La componente individuale è in relazione causale col comportamento delittuoso solo se condiziona anche un’associazione di persone.

Il punto di partenza di questo progetto rischia di essere anche un punto di arrivo. Oggi si parla di una criminalità transnazionale e globalizzata, dove i giochi di potere e i delitti dei potenti assumono proporzioni globali e non riconducibili a una singola categoria o ad una sola normativa. Si parla di colletti bianchi in qualsiasi attività criminale che metta in gioco o coinvolga alte cariche istituzionali, imprenditoriali ecc. La prospettiva delineata da studiosi come Ruggiero e Martucci sta nella preparazione degli attori preposti a combattere questi fenomeni: una preparazione che non può più essere settoriale, ma deve investire terreni che spaziano dalla psicologia alla criminologia, dal diritto penale e penitenziario al diritto tributario, dall’economia al diritto d’impresa, dal diritto commerciale all’informatica.

Questo tipo di crimine non costituisce comportamento eccezionale, non deriva dal rilassamento dei legami sociali, ma dal loro rafforzamento. Esso non è causato dall’ingordigia, ma dalla ricchezza delle opportunità. E questo riporta, inevitabilmente, alle considerazioni di Sutherland: sia la povertà sia la ricchezza possono dar luogo a condotte criminali. È necessario iniziare a considerare questa criminalità come un vero e proprio lavoro, nell’analisi del mercato globale deve essere riconosciuta come una variabile fondamentale e determinante, per poter essere affrontata con preparazione e consapevolezza. Questi criminali, inoltre, non possono essere “semplicemente puniti”. Proprio per la particolare caratteristica del reato in questione, il reo deve essere anche, incisivamente, rieducato. Forse il vero limite, nella lotta contro i criminali economici, è la possibilità di rieducare gli stessi. La sola pena detentiva non può più assolvere questo compito, o almeno non è più in grado di assolverlo.

Il percorso non è stato facile, ma le massime autorità nazionali e internazionali sembrano aver riconosciuto la gravità e la pericolosità della criminalità economica e dei fenomeni ad essa collegati (Convenzioni europee di Bruxelles e Parigi del 1997, Convenzione Nazioni Unite di Palermo del 2000…). Queste prese di posizione, salva la necessaria verifica dei fatti, rivestono in ogni caso un grandissimo valore, poiché per contrastare questa particolare tipologia di reati l’atteggiamento delle istituzioni è di primaria importanza. È chiaro che se professionalità e specifiche competenze tecniche sono qualità necessarie per portare a termine i reati economici, coloro che sono preposti a combatterli debbono possedere i medesimi requisiti.