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Non basta il mero deposito di denaro su carta prepagata per integrare il delitto di autoriciclaggio

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 11 – ISSN 2499-846X

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Cassazione Penale, Sezione II, 28 luglio 2016 (ud. 14.07.2016), n. 33074
Presidente Fiandanese, Relatore Pardo, P.G. Viola

Con la pronuncia in commento, una delle prime in argomento sull’art. 648 ter 1 c.p.[1], il Giudice di Legittimità comincia a delineare con maggior determinatezza i requisiti oggettivi per integrare il delitto di autoriciclaggio, introdotto in Italia dalla legge n. 186 del 2014.

In particolare la Suprema Corte di Cassazione statuisce come il mero deposito di denaro su una carta prepagata non possa costituire né l’attività economica o l’attività finanziaria richieste dall’elemento oggettivo di fattispecie, né sia in grado di ostacolare concretamente la provenienza delittuosa di simile denaro come invece richiede la stessa previsione legislativa.

I fatti. Il tribunale del Riesame di Torino respingeva l’appello del Procuratore della Repubblica riguardante l’applicazione della custodia cautelare in carcere e dell’obbligo di presentazione per due soggetti indagati di furto ed utilizzo abusivo di carta bancomat, rigettando però la richiesta con riguardo al delitto di autoriciclaggio.

Per il Tribunale, invero, la condotta dei soggetti agenti, i quali versano su carta prepagata il denaro ottenuto dal furto di una carta bancomat, rinvenuta all’interno di una borsa rubata, non poteva integrare la fattispecie di cui al 648 ter 1 c.p.. Avverso tale provvedimento ricorreva il Procuratore della Repubblica, chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza in ordine alla errata qualificazione dei fatti, costituenti, secondo la sua ricostruzione ermeneutica, anche il delitto di autoriciclaggio.

Il Giudice di legittimità respinge il ricorso per due ordini di motivi. In primis ritiene che il mero deposito di una somma su carta prepagata non possa coincidere con il concetto di attività economica o finanziaria. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, sarebbe “attività economica”, secondo l’indicazione fornita dal 2082 c.c., soltanto quella finalizzata alla produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi.[2] Quanto, invece, all’“attività finanziaria” il riferimento è ad ogni attività rientrante nell’ambito della gestione del risparmio ed individuazione degli strumenti per la realizzazione dello scopo. In assenza di una precisa definizione dei codici penale e civile, la definizione può ricavarsi dal Testo Unico delle Leggi in materia Bancaria e Creditizia (in particolare l’art. 106).

Come affermato nella pronuncia in commento, la condotta degli imputati non può integrare nessuna di queste due attività, essendosi gli stessi limitati a fare un deposito su carta prepagata.

In secundis la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle condotte di impiego, sostituzione o trasferimento di beni o altre utilità[3] commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano, però, la caratteristica specifica di essere “idonee ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.

Il legislatore, pertanto, richiede che la condotta tipica sia dotata di particolare capacità dissimulatoria: l’autore del delitto presupposto deve aver voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, ipotesi che, per l’arresto in commento, non può essere ravvisabile nel versamento di una somma su una carta prepagata intestata allo stesso autore del reato.

Un simile approccio interpretativo sembra cogliere appieno lo sforzo del legislatore nell’“afferrare” la tipicità delle condotte ed il suo ancorarne il disvalore ad un obbiettivo pericolo per i beni giuridici tutelati. Proprio in tale tipizzazione si coglie la rottura con il passato, andando a ridurre e selezionare la tipicità sconfinata dell’art. 648 bis c.p..

Infatti il delitto di cui all’art. 648 ter 1 c.p., oltre ad aver eliminato il riferimento alle “altre operazioni” del delitto di riciclaggio[4], aggiunge l’avverbio “concretamente” che permette la tipizzazione al livello di pericolo concreto dell’offesa penale. Sotto questo ultimo profilo, pertanto, le condotte vengono circoscritte a quei comportamenti che “seppur non necessariamente artificiosi (integrativi, cioè, dell’archetipo degli artifici e raggiri), esprimano un contenuto decettivo capace cioè di rendere obbiettivamente difficoltosa la identificazione della provenienza delittuosa del bene”.[5]

Viene dunque sovvertita la precedente giurisprudenza in tema di riciclaggio che si accontentava di comportamenti di modesta o inesistente idoneità ostacolante e che, proprio nei casi analoghi di mero versamento di denaro in banca, “stante la fungibilità del bene” riteneva integrato l’elemento tipico della fattispecie poiché “automaticamente sostituito con denaro pulito”.[6]

In tal senso la stessa pronuncia, quale chiosa delle sue motivazioni, ricorda come il legislatore abbia limitato la rilevanza penale delle condotte ai soli casi di sostituzione che avvengano attraverso la re-immissione nel circuito economico finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita finalizzata, per l’appunto, ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio, che costituisce un quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di occultamento del profitto illecito (e perciò punibile).

In conclusione, deve apprezzarsi lo sforzo della statuizione in commento che si pone in linea di continuità con la scelta legislativa di dare un forte connotato di disvalore alla condotta, mediante l’assegnazione di rilevante offensività alle modalità esecutive con la quale si esplicita la stessa Pertanto l’aggiunta dell’avverbio “concretamente”, oltre a pretendere accertamenti in termini oggettivi, impone all’interprete un’esegesi rigorosa, attribuente al termine “ostacolare” la pienezza del suo valore semantico. Infatti “diversamente la disposizione subirà una torsione interpretativa che (…) rischierà di esporla a censure di legittimità costituzionale sul versante del principio di legalità e forse anche sul canone del ne bis in idem”.[7]


[1] Degna di segnalazione è, altresì, Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-09-2015) 29-01-2016, n. 3991 in banca dati Pluris, la quale ha affermato l’applicabilità del delitto di cui al 648 ter 1 c.p. anche nei casi in cui il delitto presupposto sia stato commesso prima dell’entrata in vigore del nuovo dettato normativo. Per tale pronuncia, infatti, non vi sarebbero spazi logici per poter invocare la violazione del principio di irretroattività della legge penale, posto che i reati presupposti sarebbero stati commessi durante la vigenza delle rispettive norme. In Dottrina, tuttavia, l’argomento è ancora oggetto di discussioni: per una soluzione in favore della violazione dell’art. 2 c.p. si veda D. BRUNELLI, Autoriciclaggio e divieto di retroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in Diritto Penale Contemporaneo, 10 gennaio 2015, in particolare pp. 6 – 11; per un approccio non dissimile a quello del Giudice di Legittimità si confronti con A. GULLO, Voce per “Il libro dell’anno del diritto Treccani 2016”, in Diritto Penale Contemporaneo, 31 marzo 2016, pp. 13 – 14.
[2] Per parte della Dottrina il concetto di “attività economica” dovrebbe avere un’accezione più ampia, non solo limitata all’attività produttiva in senso stretto ma anche allo scambio e alla distribuzione dei beni di consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare all’interno di quelle indicate nel codice civile. Si veda per approfondire A. D’AVIRRO, M. GIGLIOLI, Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. Pen. Proc., 2015, 2, pp. 143 ss.
[3] Interessante notare come il legislatore abbia costruito la fattispecie condensando le condotte previste dall’art. 648 bis e ter c.p., in una sorta di “ibrido”. Quanto alla condotta di “impiego” essa fa riferimento ad ogni forma di re-immissione della disponibilità delittuosa nel circuito economico e legale. Quanto, invece, alla condotta di “sostituzione” e “trasferimento” esse costituiscono il risultato perseguito dalla condotta, tramite modalità causalmente orientate. Il primo dei due concetti è integrato da ogni condotta di immutazione in altro bene/utilità dello stesso o di altro genere; il secondo consiste, invece, in un qualsiasi spostamento di titolarità o disponibilità. Per approfondire di veda R. GAROFOLI, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, Nel Diritto Editore, 2015, pp. 342 ss.
[4] Cfr. L. TROYER, S. CAVALLINI, Apocalittici o integrati? Il nuovo delitto di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del vicino ingombrante, in Diritto Penale Contemporaneo, 23 gennaio 2015, p. 6
[5] Cfr. e si veda per il virgolettato F. MUCCIARELLI, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Diritto Penale contemporaneo, 10 dicembre 2014, p. 9
[6] Si veda, ex multis, Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-04-2012) 09-11-2012, n. 43534, in baca dati Pluris.
[7] Per il virgolettato F. MUCCIARELLI, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit., p. 10

Come citare il contributo in una bibliografia:
S. Casetta, Non basta il mero deposito di denaro su carta prepagata per integrare il delitto di autoriciclaggio, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 11