ARTICOLIDelitti contro il patrimoniodelitti contro la pubblica amministrazioneDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANOParte speciale

Turbata libertà degli incanti, confini giuridici e rapporti con il reato di estorsione

in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. II, 28 giugno 2017 (ud. 28 aprile 2017), n. 28388
Presidente Diotallevi, Relatore Ariolli, PG Lori

Con la sentenza in commento la Seconda Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sul reato di cui all’art. 353 c.p. affermando che il reato di turbata libertà degli incanti è integrato da tutte le condotte tipiche che si inseriscono nella procedura di incanto, anche se intervenute successivamente alla chiusura dell’asta e ribadendo che tra questa fattispecie e il reato di estorsione non sussiste un concorso apparente di norme.

1. Il fatto storico.

Alla base della pronuncia le condotte turbative di una gara indetta per l’aggiudicazione di un bene immobile pignorato (nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare).

Secondo la ricostruzione operata in sentenza i tre imputati, ossia la debitrice esecutata, il marito e il fratello della stessa, con minacce e richieste “sollecitavano” l’aggiudicatario a rinunciare al trasferimento dell’immobile – impedendogli di versare la restante parte del prezzo di cui all’asta – con l’intento di far rientrare nel possesso del bene la debitrice. Intento poi realizzato a seguito di un nuovo incanto aggiudicato, ad un prezzo inferiore rispetto a quello precedente, dalla madre della debitrice esecutata.

Per tali condotte i tre imputati sono stati condannati in primo grado (sentenza poi confermata in appello), per i reati di estorsione e di turbata libertà degli incanti.

2. Confine giuridico del reato di turbata libertà degli incanti

Confermando la pronuncia della Corte territoriale, la sentenza in commento individua il confine giuridico del reato di cui all’art. 353 c.p. partendo dall’interpretazione del concetto di “gara” indicato nella norma.

La difesa degli imputati aveva infatti sostenuto un’interpretazione restrittiva facendo coincidere il concetto di “gara” solo con il momento partecipativo dell’asta, escludendo quindi il reato nelle ipotesi in cui – analogamente al caso di specie – le condotte fossero state poste successivamente all’aggiudicazione, configurandole stesse un post factum non punibile.

La Corte di Cassazione ha escluso tale interpretazione, affermando che la fattispecie di cui all’art. 353 c.p. è a formazione progressiva che si sviluppa attraverso la creazione di un vincolo di indisponibilità del bene, e procede, mediante indizione della gara, con l’aggiudicazione provvisoria dello stesso a seguito della formulazione delle offerte (e il successivo ed eventuale l’incanto) e la successiva vendita, che sostanzia e perfeziona la vicenda traslativa. È proprio alla vendita definitiva che – secondo la Corte – deve aversi riguardo per determinare il confine giuridico della “gara” tipizzata dalla norma.

L’art. 353 c.p. punisce, così, non solo le turbative materiali allo svolgimento dell’asta e delle procedure di incanto, ma tutte le condotte tipiche che si inseriscono nella procedura, falsandone l’esito. Quindi anche quelle che riguardano la fase di trasferimento del bene, come nel caso di specie.

La Corte fonda tale interpretazione, in sostanza, su due argomenti: le disposizioni relative alle fasi dell’incanto, dell’aggiudicazione provvisoria e della successiva assegnazione definitiva sono contenute nel medesimo alveo di norme del codice di procedura civile e le opposizioni all’aggiudicazione possono essere avanzate fino all’aggiudicazione definitiva, quindi fino all’effetto traslativo che individua la conclusione della procedura. Tali argomenti appaiono però non del tutto convincenti.

Tuttavia, l’interpretazione estensiva avvallata dalla Cassazione risulta esattamente in linea con la profonda attenzione che da sempre è stata data alla tutela dei pubblici incanti, anzitutto proprio dal legislatore. Si pensi, infatti, alle fattispecie di cui agli artt. 353 bis e 354 c.p., ma anche dalla Giurisprudenza di Legittimità che ha avuto modo di individuare confini piuttosto ampi del reato di turbata libertà, ritenendo configurabile “la turbativa illecita di cui all’art. 353 cod. pen. (…) anche nella procedura che precede la indizione della gara, purché essa abbia idoneità ad alternarne il risultato finale”, con ciò determinandone tra l’altro il confine iniziale (cfr. Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 653 del 14/10/2016 Ud. (dep. 10/01/2017 ) Rv. 269525).

Sebbene siano evidenti i rischi di tali interpretazioni estensive (in termini di tassatività della norma penale), non può non rilevarsi come limitare l’applicazione dell’art. 353 c.p. soltanto al momento dell’asta vanificherebbe le finalità di tutela perseguite dal legislatore che pervadono tutte le fasi della procedura, quindi anche quella finale con effetto traslativo, ove si ritiene essere prevalente l’interesse di carattere pubblicistico, volto alla soddisfazione dei crediti nel rispetto della par conditio creditorum (al fine di realizzare compiutamente ed autoritativamente la responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c.).

3. I rapporti con l’estorsione

Le considerazioni di cui sopra assumono maggior criticità in relazione alla seconda questione affrontata dalla Corte in sentenza: configurabilità di un concorso formale tra il reato di estorsione e quello di turbata libertà degli incanti.

Dopo aver ricordato e avvallato l’impostazione di tipo teleologico sul tema, per cui le due norme concorrono tutelando beni giuridici diversi (l’art. 629 c.p. tutela il patrimonio, attraverso la repressione di atti diretti a coartare la volontà di autodeterminazione del soggetto negli atti di disposizione patrimoniale, l’art. 353 c.p. tutela l’interesse della pubblica amministrazione a che la gara, che deve precedere la stipulazione del contratto dal quale deriva una entrata oppure una spesa, si svolga nella più ampia libertà e regolarmente sotto ogni aspetto, garantendo una contrattazione giusta e conveniente)[1] la Corte effettua un confronto tra gli elementi costitutivi delle due fattispecie escludendo che possa esservi un concorso apparente difettando gli elementi psicologi dei reati in esame.

La Suprema Corte prosegue e individua un elemento del tutto nuovo di divergenza tra le due norme – che desta tuttavia qualche perplessità –: se la turbata libertà degli incanti può configurarsi con una semplice condotta intimidatoria (o la violenza) che turbi o impedisca la gara, il reato di estorsione richiede un quid pluris tra la condotta e l’evento, costituito da un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto coartato, che deve essere causalmente legato alla violenza o minaccia.

Tale ultima considerazione valutata rispetto al peculiare caso di specie relativo ad una procedura esecutiva immobiliare “turbata” nella fase di trasferimento del bene solleva dubbi circa una possibile violazione del c.d. ne bis in idem sostanziale.

Si osservi, infatti, che, secondo questa impostazione, gli imputati con minacce (che costituiscono la condotta) hanno impedito che l’aggiudicatario provvisorio corrispondesse il prezzo mancante (e con ciò realizzando l’evento del reato di cui all’art. 353 c.p., vale a dire il turbamento della gara); allo stesso tempo però questo evento – il non aver versato il prezzo – secondo la Corte costituirebbe anche l’atto di disposizione patrimoniale dell’aggiudicatario “provvisorio” del bene, causalmente legato alle minacce, da cui discende la configurabilità anche del delitto di estorsione.

È evidente come, in fattispecie analoghe a quella del caso in esame, la configurabilità di un concorso formale tra gli artt. 353 e 629 c.p. sia, quantomeno, un po’ forzata. Le norme finirebbero, infatti, per condannare un idem factum il cui disvalore avrebbe, forse, potuto trovare integrale tutela sotto l’art. 353 c.p. interpretato quale reato plurioffensivo, posto a tutela sia dell’interesse della pubblica amministrazione sia del privato. Diversamente si rischia di duplicare la punibilità per il medesimo fatto con conseguente violazione del ne bis in idem sostanziale.

[1] Invero la Corte non ignora l’impostazione che inquadra la fattispecie di turbata libertà degli incanti tra i reati plurioffensivi che tutelano altresì “la libertà di chi partecipa alle gare di influenzarne l’esito, secondo la libera concorrenza” ma tale aspetto non viene considerato, come invece intendeva la difesa, ai fini dell’identità tra i beni giuridici.

Come citare il contributo in una bibliografia:
R. Lugli, Turbata libertà degli incanti, confini giuridici e rapporti con il reato di estorsione, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 7-8