ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEImpugnazioni

Concessione della sospensione condizionale della pena in appello: una questione alle Sezioni Unite

Cassazione Penale, Sez. III, 9 agosto 2018 (ud. 17 aprile 2018), n. 38398 
Presidente Savani, Relatore Aceto

Si segnala l’ordinanza con cui la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite una questione di diritto relativa alla cognizione del giudice di appello.

La questione intorno alla quale si registra un contrasto giurisprudenziale attiene, in particolare, al potere di applicare d’ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi del comma 5 dell’art. 597 c.p.p., in base al quale «con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell’articolo 69 del codice penale».

Il contrasto – si legge nell’ordinanza – verte sull’esistenza dell’obbligo del giudice dell’appello di motivare la mancata applicazione d’ufficio del beneficio della sospensione condizionale della pena anche in assenza di specifica richiesta:

  • secondo un indirizzo, il giudice d’appello non è tenuto a concedere d’ufficio la sospensione condizionale della pena né a motivare specificamente sul punto, quando l’interessato si limiti, nell’atto di impugnazione e in sede di discussione, ad un generico e assertivo richiamo dei benefici di legge, senza indicare alcun elemento di fatto astrattamente idoneo a fondare l’accoglimento della richiesta;
  • un diverso indirizzo sostiene, invece, che il giudice d’appello deve, sia pure sinteticamente, dare ragione del concreto esercizio, positivo o negativo, del potere-dovere attribuitogli dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., qualora ricorrano le condizioni previste dalla legge per l’applicazione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, tanto più quando una delle parti (anche il pubblico ministero nell’interesse dell’imputato) ne abbia fatto esplicita richiesta, con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della richiesta stessa.

I due orientamenti – conclude la Corte – «convergono sulla necessità della astratta sussistenza delle condizioni di applicazione della sospensione condizionale della pena e, dunque, in buona sostanza sulla sussistenza del concreto interesse dell’imputato a lamentarsi dell’omessa motivazione; ove tali condizioni non sussistono (e comunque non vengono nemmeno dedotte in sede di legittimità), il giudice dell’appello non è tenuto a giustificare l’omesso esercizio delle prerogative che l’art. 597, u.c., cod. proc. pen., gli assegna d’ufficio. Al contrario, se le condizioni per la astratta applicazione del beneficio sussistono, è comunque necessario, secondo alcune pronunce, l’impulso proveniente dall’imputato ai fini dell’esercizio del potere di applicare d’ufficio la sospensione condizionale della pena, con conseguente obbligo di motivare la decisione solo in presenza della richiesta dell’imputato stesso; secondo altre, invece, tale impulso non è richiesto sicché il giudice dell’appello è obbligato a motivare comunque le ragioni della propria decisione, qualunque essa sia».

Alla luce di tale contrasto, la Corte ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «se il giudice dell’appello deve rendere conto del concreto esercizio, positivo o negativo, del dovere attribuitogli dall’art. 597 c. 5 c.p.p., di applicare d’ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena in assenza di specifica richiesta».

Redazione Giurisprudenza Penale

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