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La prescrizione alle prese con la riforma del processo: un anno di tempo (?) per evitare l’incostituzionalità di un giudizio senza fine

in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 11 – ISSN 2499-846X

A distanza di nemmeno un anno dalle modifiche introdotte dal governo precedente (L. 103/2017) in relazione alla sospensione dei termini, per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, nei casi di condanna in primo grado e in appello, si paventa un’ambiziosa riforma della prescrizione, stavolta di sistema, in grado di uniformare una disciplina che, anche per ragioni di successione di leggi nel tempo operanti con aumenti o persino raddoppiamenti dei relativi termini (si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle diverse modifiche dell’art. 157 comma 6 c.p. come all’intervento del DL 138/2011 in materia di delitti tributari), appare oggi del tutto disomogenea.

L’emendamento al DDL Anticorruzione (n. 1189) che approda ora in aula ne propone infatti il blocco a partire dall’emissione della sentenza di primo grado o del decreto di condanna, oltre alla rideterminazione del dies a quo dalla cessazione della continuazione nel caso previsto dall’art. 81 cpv. c.p. (come era prima dell’intervento operato dalla legge ex Cirielli (251/2005).

Anzitutto, a dispetto della formulazione testuale non si tratta tecnicamente di una sospensione in quanto, in tali casi, i termini non riprenderanno mai più a decorrere, sino all’esecutività della decisione che definisce il processo[1].

In secondo luogo, va rilevato come tale proposta non sia del tutto nuova, essendosi già esplorata nell’ambito dei lavori svolti dalla commissione ministeriale precedentemente insediata, oltre che da tempo prevista con riguardo all’illecito amministrativo dipendente da reato degli enti collettivi (art. 22 comma 4 d.lgs. 231/2001). Né – mutatis mutandis e sia pur col necessario grado di approssimazione derivante dal differente inquadramento (processuale e non sostanziale) della prescrizione – essa appare isolata a comparazione con altri sistemi, primo fra tutti quello tedesco (§ 78b, comma 3, del codice penale).

Quanto alla ratio, se l’estinzione del reato per mero decorso del tempo si giustifica col venir meno dell’interesse dello Stato a punirlo e con la tendenziale difficoltà di reperirne le prove ma anche di esercitare il diritto di difesa[2], dovrà pur ammettersi che il blocco trova un suo fondamento razionale posto che, dopo l’intervento di una sentenza di primo grado, entrambe le motivazioni perdono di plausibilità. A condizione si distingua – come in effetti ha fatto la riforma Orlando che pure ha potenziato il giudizio di inammissibilità in sede di impugnazione per scoraggiarne il ricorso a mero scopo dilatorio – l’ipotesi della condanna da quella del proscioglimento, in quanto in quest’ultimo caso permane, anzi aumenta, la difficoltà col tempo di modificare il quadro probatorio per ribaltarne l’esito.

Come noto, nell’immediato, la levata di scudi contro la riforma deriva, essenzialmente ma non esclusivamente, dal timore di un processo senza fine, in contrasto col vincolo costituzionale della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.): tutto fa pensare cioè che, salvo lo stimolo dei termini di fase della custodia cautelare, il giudice di primo grado si affretti a pronunciare sentenza poco prima dello scadere dei termini in modo che poi quello dell’impugnazione possa dormire sonni tranquilli, compromettendo l’onorabilità dell’imputato per un tempo indefinito[3].

Al riguardo, benché il timore sia ampiamente fondato (come può constatarsi dalla prassi giudiziaria, realisticamente tendente a orientare la tempistica della trattazione dei processi sulla base proprio dei termini di prescrizione dei reati che li riguardano), si rischia di sovrapporre piani diversi presupponendosi che, a fronte del fallimento di un processo troppo lungo, l’unica garanzia debba consistere per l’imputato nel diritto a beneficiare dell’estinzione del reato, magari solo per effetto, come spesso avviene, di impugnazioni in appello o in cassazione[4]. Vero è, allora, che un processo simile non lo meritano sia l’imputato sia le vittime del reato, ma la soluzione, fermo il blocco della prescrizione a seguito di sentenza di condanna, dovrebbe piuttosto rinvenirsi – oltre che nel coraggioso, per quanto forse impopolare, proseguimento di attività di depenalizzazione ben più incisive di quelle attuate con i dd.lgs. 7 e 8 del 2016 – in una riforma complessiva del rito che sappia finalmente farsi carico, con visione sistemica, delle sue tante disfunzioni operative (specie con riguardo a quelle che indicono sui tempi come, ad esempio, la disciplina delle notifiche, degli avvisi alla persona offesa nel caso di richiesta di archiviazione o degli atti introduttivi del dibattimento, l’eventuale escussione di testi a distanza o, per restare in tema, l’interruzione della prescrizione oggi connessa ad un invito a rendere interrogatorio come alla corrispondente delega alla polizia giudiziaria, ma non all’avviso di conclusione delle indagini preliminari)[5].

Da questo punto di vista assume un’indubbia centralità la proposta, caldeggiata in diversi disegni di legge e ora dall’Associazione tra gli studiosi del processo penale[6], di prevedere accanto alla prescrizione del reato, una prescrizione del processo, quale tempo massimo di durata dell’accertamento giurisdizionale: questa sì, in grado di ricondurre il tema dei tempi del processo nella appropriata sedes materiae.

Altro rimedio, sia pur parziale, potrebbe essere quello già adombrato dalla Commissione Gratteri nel 2014 e mutuato dal sistema tedesco e spagnolo, della riduzione della pena proporzionale al pregiudizio legato alla eccessiva durata del procedimento penale, al pari dello sconto corrispondente al pre-sofferto in custodia cautelare, da affidarsi al giudice dell’esecuzione sulla base dei medesimi criteri indicati oggi dalla Legge Pinto n. 89/2001 (con non trascurabili risparmi sugli indennizzi e sui costi del regime carcerario) che, salve ipotesi eccezionali, resterebbe applicabile soltanto nei confronti di chi, invece, alla fine risulti prosciolto[7].

Ecco, allora, che, ove approvata dal Parlamento, la scelta di posticipare l’entrata in vigore del nuovo regime di prescrizione al 1° gennaio 2020 (per condizionarla sostanzialmente, anche mediante futuribili proroghe dell’ultimo minuto, all’entrata in vigore della riforma del processo), sembra rispondere ad un atteggiamento di sano realismo in cui si avverte la necessità, previa inderogabile confronto con gli addetti ai lavori (magistrati, avvocati e professori), di ponderare le scelte, bilanciando al meglio l’esigenza di garantire giustizia con quella di non allungarne i tempi ad infinitum. In poche parole, al riparo dagli estremi di un populismo penale senza ritorno, occorre confezionare un processo giusto nei tempi, nel quale si garantiscano a pieno i diritti di difesa, possibilmente tali da non esaurirsi nella mera invocazione della prescrizione, ma sempre partendo dall’idea che mai e poi mai l’efficienza del processo possa tradursi in una sorta di occulta presunzione di colpevolezza[8].

Nel contempo, una riflessione approfondita consentirà di rivalutare l’opportunità o meno di alcuni interventi, come quello sulla prescrizione del reato continuato che indubbiamente dischiude ampi margini di discrezionalità giudiziale a discapito dell’imputato, della esclusione del rito abbreviato per reati puniti con l’ergastolo e, soprattutto, dell’abolizione del divieto di reformatio in peius dalle evidenti ripercussioni negative per la difesa (come attesta la dura posizione assunta dall’Unione delle Camere Penali Italiane) e magari puntare sull’introduzione, all’opposto, del divieto di impugnazione per il pubblico ministero in caso di assoluzione.

Certo è che, a valle del noto caso Taricco, a livello comunitario si avverte ormai la necessità di una riforma del nostro sistema, pur nella varietà delle scelte operate dagli ordinamenti europei e ferma la natura sostanziale e non processuale dell’istituto a più riprese ribadita, proprio nella medesima occasione, dalla nostra Corte Costituzionale[9]: ciò da cui discende inesorabilmente che, al di là dei proclami, ogni intervento con effetti in malam partem come quello de quo, potrà applicarsi solo a reati commessi dopo l’entrata in vigore della riforma i cui frutti, pertanto, potranno essere apprezzati a distanza di diversi anni.


[1] Lo hanno rilevato, nell’immediatezza, Padovani, Fine- processo mai: e la costituzione?, in Il dubbio, 1 novembre 2018; Alessandri, Una proposta a forte rischio di incostituzionalità, in Il sole 24 ore, 3 novembre 2018; Gatta, Prescrizione bloccata dopo il primo grado: una proposta di riforma improvvisa ma non del tutto improvvisata, in penalecontemporaneo.it, 5 novembre 2018; Insolera, La riforma giallo-verde del diritto penale: adesso tocca alla prescrizione, ivi, 9 novembre 2018.
[2] Da tempo lo segnala Viganò, Riflessioni de lege lata e ferenda su prescrizione e tutela della ragionevole durata del processo, in penalecontemporaneo.it, 18 dicembre 2012.
[3] Di “processo eterno” parla Padovani, Fine- processo mai: e la costituzione?, cit.
[4] Lo sottolineano Chiavario, Salvare la prescrizione facendo giustizia, in L’Avvenire, 3 novembre 2018; Gatta, Prescrizione bloccata dopo il primo grado: una proposta di riforma improvvisa ma non del tutto improvvisata, cit.
[5] Prendendo spunto dalle Proposte di riforma dell’Associazione Nazionale Magistrati in materia di diritto e processo penale, come approvate dal Comitato Direttivo Centrale in data 10 novembre 2018.
[6] Cfr. il Comunicato dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “G.D. Pisapia” dell’8 novembre 2018.
[7] Il richiamo è anche in Gatta, Prescrizione bloccata dopo il primo grado: una proposta di riforma improvvisa ma non del tutto improvvisata, cit.
[8] Insolera, La riforma giallo-verde del diritto penale: adesso tocca alla prescrizione, cit.
[9] Ord. n. 24/2017 e sent. n. 115/2018.

Come citare il contributo in una bibliografia:
D. Piva, La prescrizione alle prese con la riforma del processo: un anno di tempo (?) per evitare l’incostituzionalità di un giudizio senza fine, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 11