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La rilevanza penale del metodo mafioso (Tesi di laurea)

Prof. relatore: Maria Teresa Collica

Ateneo: Università degli Studi di Messina

Anno accademico: 2017-2018

Quando si affronta il delitto di associazione mafiosa, previsto e punito dall’art. 416-bis c.p., si fanno i conti con un aspetto da sempre discusso, vale a dire quello relativo al cosiddetto “metodo mafioso”, che il legislatore del 1982, anno di ingresso della fattispecie in esame, ha provveduto a definire nel terzo comma dell’art. 416-bis, dal quale si evince che tale metodo è caratterizzato fondamentalmente da tre elementi, ossia: la forza di intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà che ne derivano.

Il metodo mafioso è stato storicamente modellato dal legislatore sulla necessità di distinguere i tradizionali sodalizi mafiosi dalle comuni associazioni per delinquere, ed infatti, il problema riguardante il metodo mafioso si incentra proprio sulla necessità o meno di un effettivo impiego di tale metodo da parte del sodalizio criminale nello svolgimento della sua attività.

Ed è proprio su quella forza di intimidazione, richiamata dalla norma, che viene posto l’accento, perché alcuni, interpretando la fattispecie come un reato meramente associativo, hanno considerato tale forza di intimidazione come momento intenzionale da collocare, appunto, nell’ambito dello scopo che gli associati perseguono, mentre altri, ritenendo la fattispecie come reato a struttura mista, hanno richiesto, ai fini della configurazione di un sodalizio mafioso, un parziale inizio di esecuzione dell’attività dell’associazione mafiosa.

La tesi, partendo proprio dalla definizione di metodo mafioso contenuta nella norma e attraverso la disamina di dottrina e giurisprudenza, arriva alla conclusione circa la necessità, da parte dell’associazione mafiosa. di far uso di tale metodologia nello svolgimento delle sue attività illecite.

La questione del metodo è stata affrontata, non solo analizzando l’art. 416-bis, ma anche in relazione ad altra fattispecie associativa, quella cioè concernente il reato di scambio elettorale politico-mafioso ex art. 416-ter c.p., che, essendo stato oggetto di riforma da parte del legislatore del 2014, è stato analizzato sia nella previgente che nell’attuale formulazione normativa.

Mentre nell’originario testo della norma, il metodo mafioso non veniva richiamato, e quindi, da più parti, non veniva riconosciuta  ad esso particolare rilevanza nell’ambito della fattispecie; invece, dopo la riforma della norma, il metodo mafioso acquista maggiore rilevanza nell’economia della fattispecie, essendo divenuto elemento centrale e strutturale del delitto di scambio elettorale politico-mafioso.

Infine, nella tesi il problema del metodo mafioso è stato esteso anche alle c.d. “nuove mafie”, analizzando in particolar modo, il fenomeno delle mafie straniere presenti e operanti sul suolo italiano, quello delle mafie tradizionali esportate al Nord Italia, per poi considerare, infine, la vicenda di Mafia Capitale, che testimonia, chiaramente, le difficoltà di applicare l’art. 416-bis a fenomeni diversi da quello che il legislatore del 1982 ha elevato a paradigma della fattispecie normativa; vicenda che, nel momento in cui si scrive, considerato l’esito del giudizio di primo grado, non può che lasciar insoluto l’interrogativo circa la presenza e l’operatività di sodalizi mafiosi in un contesto come quello della Capitale, ben diverso dai tradizionali contesti mafiosi.