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Non punibilità nella voluntary disclosure: la Procura di Milano chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
Sost. Proc. dott. Paolo Filippini e dott. Giovanni Polizzi

Segnaliamo ai lettori la memoria con cui la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano – tramite i Sostituti Procuratori dott. Paolo Filippini e dott. Giovanni Polizzi – ha chiesto al Tribunale di Milano di sollevare questione di legittimità costituzionale in tema di non punibilità nell’ambito della cd. procedura di voluntary disclosure.

Le norme di riferimento sono:

  • l’art. 5-quater comma 2 D.L. 28-6-1990 n. 167 (convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227) secondo cui «la collaborazione volontaria non è ammessa se la richiesta è presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria indicato al comma 1 del presente articolo. La preclusione opera anche nelle ipotesi in cui la formale conoscenza delle circostanze di cui al primo periodo è stata acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da soggetti concorrenti nel reato. La richiesta di accesso alla collaborazione volontaria rimane irrevocabile e non può essere presentata più di una volta, anche indirettamente o per interposta persona»;
  • l’art. 5-quinquies commi 1 e 2 D.L. 28-6-1990 n. 167 (convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227) secondo i quali «nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria ai sensi dell’articolo 5-quater: a) è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e successive modificazioni; b) è altresì esclusa la punibilità delle condotte previste dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a) del presente comma; b-bis)  si applicano le disposizioni in materia di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, ad eccezione di quanto previsto dall’articolo 58, comma 6, del medesimo decreto. Le disposizioni del comma 1 si applicano limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria».

1. Quanto al primo profilo, la Procura di Milano prospetta l’illegittimità costituzionale della norma sopra richiamata nella parte in cui non prevede che la preclusione operi anche nelle ipotesi in cui la formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento o di procedimenti penali per violazione delle norme tributarie sia acquisita dagli autori delle condotte di cui agli artt. 648bis e 648ter c.p., in relazione ai delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10bis e 10ter D.lgs. 74/2000 commessi da chi ha fatto domanda di collaborazione volontaria o dagli autori del reato di cui all’art. 416 c.p. finalizzato ad assicurare il deposito, la gestione delle utilità e del denaro proveniente dai reati fiscali commessi da chi ha fatto domanda di collaborazione volontaria.

Come è noto, per beneficiare degli effetti della voluntary disclosure – ricordano i Pubblici Ministeri – «è necessario essere ignari dell’esistenza di attività accertativa (amministrativa o penale) sul patrimonio occultato al Fisco in quanto detenuto fuori dal territorio dello Stato e tale requisito soggettivo della “formale conoscenza” dell’indagine in capo all’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione è ulteriormente temperato, in una dimensione oggettiva, dalla previsione che la preclusione ad avvalersi della Voluntary disclosure “opera anche nelle ipotesi  in  cui la  formale conoscenza  delle circostanze di cui al primo periodo è stata  acquisita  da  soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da soggetti concorrenti nel reato».

Nel caso oggetto di attenzione, tuttavia, «sebbene i gestori e custodi dei patrimoni occultati al Fisco siano stati arrestati o indagati per il delitto di riciclaggio e associazione per delinquere, geneticamente connessi ai reati fiscali commessi dai loro clienti (come evidenziato nelle sopraindicate imputazioni), applicando alla lettera le disposizioni normative fin qui esposte, non opererebbe la preclusione di avvalersi della procedura di collaborazione volontaria per gli autori della violazione degli obblighi dichiarativi. Infatti, nonostante le indagini penali siano giunte ad eseguire anche una misura cautelare nei confronti di chi ha occultato, gestito e reimpiegato le attività finanziarie e patrimoniali oggetto dell’evasione fiscale, accertando altresì l’esistenza degli stessi patrimoni esteri e dei loro titolari, poiché gli autori di tali condotte non rientrano formalmente nella dizione normativa di  “concorrenti nel reato o coobbligati fiscali”, resterebbe consentito l’accesso alla Voluntary disclosure ad ai benefici conseguenti».

Ne consegue – continua la memoria – che «chi ha commesso riciclaggio, senza compiere alcun ravvedimento, autodenuncia o pagamento di sanzioni amministrative, beneficia della Voluntary disclosure fatta da chi ha omesso gli obblighi dichiarativi. Ciò posto, sarebbe assolutamente incoerente, nell’architettura dei principi ispiratori della normativa in esame, da una parte estendere gli effetti favorevoli della Voluntary a chi si è reso responsabile del delitto di cui all’art.648bis c.p., mentre dall’altra ritenere non ostativa l’esistenza di un’indagine di riciclaggio e/o di associazione per delinquere finalizzata ad avvantaggiare coloro che hanno occultato al Fisco le proprie attività finanziarie».

Ad avviso della Procura, «la dizione normativa che fa rinvio al “concorrente nel reato” deve essere letta in chiave sostanziale, sia perché all’inizio di un’ indagine in materia fiscale i ruoli degli autori delle condotte  possono essere ancora non definiti e le imputazioni non cristallizzate, sia perché soltanto all’esito della promozione dell’azione penale o addirittura del processo potrà essere stabilito il ruolo di concorrente o meno di chi è stato coinvolto nella indagine in quanto legato alla gestione di quelle attività finanziarie occultate al fisco su cui gli accertamenti si sono concentrati. Pertanto, la nozione  di “concorrente nel reato” deve essere letta in relazione alle condotte illecite, oggetto di accertamento, che incidono sulle  attività  finanziarie poi dichiarate in Voluntary disclosure. Diversamente, l’accesso o meno alla procedura di “emersione volontaria” sarebbe determinata, non sulla base di un fatto oggettivo e cioè l’esistenza di accertamenti sul patrimonio illecito ed occulto, ma dalla momentanea o interinale attribuzione di un fatto reato operata dalla Polizia Giudiziaria o dal Pubblico Ministero al momento in cui l’istanza amministrativa viene inoltrata».

2. Quanto al secondo profilo, da parte della Procura di Milano si prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-quinquies sopra citato nella parte in cui esclude la punibilità delle condotte previste dagli art. 648-bis e 648-ter c.p., commesse in relazione ai delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10bis e 10ter D.lgs. 74/2000, nel caso in cui la procedura di collaborazione volontaria sia stata avviata dal contribuente in data successiva alla formale conoscenza del procedimento penale da parte dell’autore dei reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p.  

L’art. 5-quinquies lett. b) – ricordano i Pubblici Ministeri – «estende gli effetti premiali della procedura di collaborazione volontaria anche all’autore delle condotte di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ex art. 648ter c.p., geneticamente connesse ai sopra citati reati tributari. Ne consegue che l’autore dei delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p. non risponderà penalmente delle proprie condotte a condizione che l’autore dei reati cd. “coperti” abbia autodenunciato al Fisco le somme evase nei termini di legge».

Tuttavia, tale esenzione di responsabilità opererebbe – si legge nella memoria – «anche nel caso in cui la voluntary sia stata presentata dal contribuente dopo la presa di consapevolezza dell’avvio di un procedimento penale a carico del riciclatore, qui in evidente contraddizione con il criterio della “formale conoscenza dell’indagine” quale  condizione impediente all’accesso ai benefici derivanti dalla procedura di collaborazione volontaria».

Ove fosse possibile presentare la domanda anche dopo aver avuto conoscenza dell’attività accertativa a carico del riciclatore gestore delle attività finanziarie, «verrebbe meno il senso stesso della voluntary disclosure poiché dello spontaneo ravvedimento rimarrebbe ben poco: si tratterebbe di una procedura “provocata” dall’azione di controllo dell’ente impositore; ma l’aporia normativa diverrebbe assoluta ove anche il riciclatore potesse beneficiare quale soggetto “terzo” della causa di non punibilità prevista dalla procedura in esame persino nel caso in cui l’autodenuncia al Fisco venisse presentata dal contribuente successivamente alla sua piena consapevolezza dello status di indagato, atteso che in questa ipotesi non solo verrebbe frustata l’intera attività investigativa, avendo l’Autorità giudiziaria già individuato i patrimoni oggetto di evasione, ma vi sarebbe anche l’estensione dell’effetto premiale ad un soggetto che addirittura potrebbe essere inconsapevole della voluntary presentata dal contribuente, ma certamente non è inconsapevole dell’indagine a suo carico».

Tale norma – si conclude nella memoria – «stride con il principio di ragionevolezza e parità di trattamento sancito dall’art. 3 della Costituzione, atteso che consente al riciclatore di sottrarsi alle proprie responsabilità penali alla sola condizione che il contribuente, terzo rispetto al proprio fatto reato, abbia presentato la domanda di collaborazione e persino  nel caso in cui la procedura sia stata avviata successivamente all’inizio del procedimento penale a carico dei responsabili dei reati di cui agli artt. 648bis e 648ter c.p., in palese frustrazione del principio di “non formale conoscenza” del procedimento, predicato dall’art.5-quater. In altre parole l’autore della condotta di riciclaggio, anche se già individuato dall’A.G., potrebbe usufruire dei medesimi effetti premiali già riconosciuti al contribuente, anche senza aver posto in essere alcuna condotta riparatoria o comunque collaborativa, quindi in assenza di qualunque causa giustificatrice, ma solo in forza di quella che potrebbe essere definita come una vera e propria “osmosi” originata dall’autodenuncia presentata dall’autore dei reati fiscali».

Redazione Giurisprudenza Penale

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