ARTICOLIDelitti contro l’amministrazione della giustiziaDIRITTO PENALEParte generaleParte speciale

Ancora sulla causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. – Cass. Pen. 9727/2014

Cassazione Penale, Sez. VI, 27 febbraio 2014 (ud. 18 febbraio 2014), n. 9727
Presidente Agrò, Relatore Capozzi

Depositata il 27 febbraio 2014 la pronuncia numero 9727 in tema di falsa testimonianza e causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p.

“Il testimone ha l’obbligo di presentarsi al giudice di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte. 2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (art. 198 c.p.p.)”.
“Chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni” (art. 372 c.p.).
Ebbene, non vi è dubbio, che l’obbligo per il testimone sia quello di presentarsi in giudizio e rispondere secondo verità, pena la commissione del reato di falsa testimonianza; reato che sistematicamente il legislatore ha inserito tra i delitti contro l’amministrazione della Giustizia.
La ratio è certamente quella di garantire, attraverso la veridicità e la completezza delle dichiarazioni, il normale e corretto funzionamento della attività giudiziaria, la quale, al contrario, potrebbe essere compromessa da dichiarazioni false o reticenti. E, come tale, esso è inquadrabile nella categoria dei  “reati di pericolo”.

Orbene, se tutto ciò è vero, c’è da domandarsi: cosa accade se il testimone, chiamato a deporre dinanzi alla Autorità giudiziaria, dica il falso perché animato da timore di ripercussioni gravi e inevitabili alla propria incolumità fisica, da parte dell’autore del reato?
È questo il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in annotazione.
E’ costante insegnamento di questa Corte – affermano i giudici ermellini – che la esimente della necessità di salvare se stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alle libertà o all’onore (ipotizzabile in taluni reati contro l’amministrazione della giustizia) va applicata, in appello o in Cassazione, dai giudici anche in assenza di uno specifico motivo di gravame (v. Sez. 6, Sentenza n. 2623 del 12/11/1980).
Ciò premesso va altresì osservato che, in tema di falsa testimonianza, ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen., rileva non solo il pericolo di un nocumento alla libertà o all’onore dell’autore del reato o di un suo prossimo congiunto, ma altresì quello di un nocumento all’incolumità fisica (Sez. 6, Sentenza n. 26061 del 08/03/2011) essendo necessario che il pericolo non sia genericamente temuto ma sia collegato a circostanze obiettive, attuali e concrete che ne delimitino con precisione contenuto ed effetti, (Sez. 6, Sentenza n. 8638 del 26/04/1999) in quanto l’esimente implica un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile conseguenzialità e non di semplice supposizione (Sez. 6, Sentenza n. 10271 del 15/11/2012)».
Ebbene, nella specie il giudice di merito ha ritenuto la condotta dell’imputato esito di verosimili pressioni esercitate su di lui da soggetti appartenenti ad ambienti della criminalità organizzata ed ha specificamente rimarcato la pericolosità e l’efferatezza di tale contesto in relazione al timore di rappresaglie da parte di chi aveva, come il ricorrente, assistito all’omicidio. Si è ritenuto, dunque, che a tale accertamento di fatto, ed in applicazione del richiamato orientamento di legittimità, consegua la sua qualificazione sub specie della invocata esimente ex art. 384 co. 1 c.p. in ragione del fondato, attuale e concreto timore dell’imputato di pericolo di nocumento al bene della sua vita e della sua incolumità personale che, come detto, sorregge la esimente in parola la quale, quindi, deve essere nella specie riconosciuta.

Art. 384 – Casi di non punibilità
Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.
Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione.