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Il ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi nella normativa antinfortunistica

Cassazione Penale, Sezione IV, 16 ottobre 2013 (ud. 7 maggio 2013), n. 42493
Presidente D’Isa, Relatore Esposito, P.M. Gaeta 

La massima

Al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur spettando all’interno della struttura aziendale un ruolo non operativo, ma di consulenza, compete l’obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri.

Il commento

Con la pronuncia numero 42493 del 2013 la Suprema Corte si è pronunciata in merito al ruolo assunto dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi all’interno della struttura aziendale sotto il profilo della salvaguardia della sicurezza sul luogo di lavoro.
Prima di affrontare il tema trattato nella pronuncia in oggetto, è opportuno accennare brevemente alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi (RSPP).
La rilevanza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi (RSPP) è attestata dalla circostanza che tale figura, unitamente a quella del datore di lavoro e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, eriga la cd. <<triade gestionale>> della sicurezza aziendale (P. SOPRANI, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Milano, 2001, 104).
L’art. 2, co. 1, lett. f), del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 definisce il RSPP come <<persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi>>, al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Il servizio di prevenzione e protezione riveste un ruolo nevralgico all’interno dell’azienda, in quanto i molteplici compiti previsti ex art. 33 del d.lgs. n. 81 del 2008 rappresentano un’estrinsecazione delle misure generali di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, attraverso cui si tenta di favorire il momento della prevenzione dei rischi.
Segnatamente, le funzioni del servizio di prevenzione e protezione non si dissolvono nella fase iniziale di valutazione dei fattori di rischio e di programmazione delle misure preventive e protettive, ma toccano anche la fase successiva, in quanto il responsabile e gli addetti a tale servizio sono tenuti a partecipare alle consultazioni in tema di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e alle riunioni contemplate dall’art. 35 del d.lgs. n. 81 del 2008.
Un nodo problematico che ruota attorno alla figura del RSPP risiede nell’esatto inquadramento del rapporto sussistente tra funzioni, mansioni e attività propri del RSPP e il titolo di imputazione della responsabilità penale. La figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione è <<perennemente in bilico tra ruolo consulenziale verso il datore di lavoro, quello di candidato permanente alla condivisione colposa delle responsabilità dell’ultimo, e quello di autonomo garante della sicurezza>> (V. MASIA, Servizio prevenzione e protezione (SPP) e organismo di vigilanza (ODV), tra obbligatorietà e autodeterminazione dell’ente nella nuova dimensione prevenzionale, in Resp. amm.  soc. e enti, 2009, 110).
In particolare, partendo dalla valutazione dello status legale dei componenti del servizio di prevenzione e protezione di semplici ausiliari del datore di lavoro e dei compiti ad essi conferiti di mera consulenza, cioè compiti tendenzialmente programmatici, privi di un’autonomia decisionale e operativa, la giurisprudenza è giunta ad asserire che la collaborazione resa da tali soggetti al datore di lavoro non genera di per sé delle responsabilità penali (Cass. pen., IV, 10 novembre 2005, in Guida al diritto, 2006, 95; Id., IV, 18 maggio 2001, in Dir. e prat. lav., 2001, 1688).
Infatti, partendo dal presupposto che la legge impone al RSPP un mero obbligo di sorveglianza, che non comprenderebbe quello ben più pregnante di impedire il fatto penalmente rilevante altrui, ne consegue che tale obbligo non potrebbe fondare una responsabilità derivante dal combinato disposto tra l’art. 40 c.p. e l’art. 113 (o, in caso di dolo, l’art. 110 c.p.).
Assumendo tale prospettiva, si è consolidato sia in dottrina (N. PISANI, Posizioni di garanzia e colpa d’organizzazione nel diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir. Pen. econ., 2009, 153) che in giurisprudenza (Cass. pen., IV, 23 aprile 2008, Maciocia ed altri, in Guida al diritto, 2008, 100; Cass. pen., IV, 6 dicembre 2007, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2008, 801) l’orientamento per cui il responsabile per la sicurezza non riveste alcuna posizione di garanzia.
Tale assunto è stato corroborato dalla nuova disciplina delle posizioni di garanzia in tema di sicurezza delineata dagli artt. 16 e 299 del t. u. sulla sicurezza, che prevede che solo il conferimento di poteri di <<intervento risolutivo>> sul bene tutelato caratterizza la figura del soggetto in posizione di garanzia: ne consegue che il difetto di tali poteri giuridici esclude la qualifica di garante (N. PISANI, ibid., 153). Nello specifico caso del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il legislatore non gli attribuisce alcun potere di organizzazione, gestione, controllo che tipicamente contraddistinguono la figura del garante (G. DE SANTIS , Il regime della responsabilità penale in materia di sicurezza del lavoro dopo il “correttivo” (d.lgs. 106/2009) al T.U.S. (d.lgs. 81/2008), in Resp. amm. soc. e enti, 2010, 145).
Tuttavia, il fatto che il legislatore non abbia previsto delle responsabilità prevenzionali a carico dei componenti del servizio di protezione  e prevenzione, non implica che tali soggetti non debbano rispondere dell’inosservanza dei compiti che il t. u. sulla sicurezza loro conferisce, soprattutto in caso di infortunio sul lavoro.
La Suprema Corte di Cassazione ha in molte occasioni asserito che <<il fatto che il d.lgs. 626/1994, prima, e il d.lgs. 81/2008, poi, abbia escluso la sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti (interni ed esterni) del servizio aziendale di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell’ambito dell’incarico ricevuto>> (Cass. pen., IV, 20 aprile 2005, Stasi ed altro, in C.E.D. Cass., n. 233657).
Recentemente l’atteggiamento della giurisprudenza è incline a distinguere il piano delle responsabilità prevenzionali, discendenti dalla specifica violazione di norme di puro pericolo poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quali lesioni o omicidio colposo (Cass. pen., IV, 4 aprile 2007, Aimone in C.E.D. Cass., n. 237770).
Assumendo tale prospettiva nella pronuncia numero 42493 del 2013, la Suprema Corte focalizza l’attenzione sulle funzioni cui è preposto il servizio di prevenzione e protezione, in virtù della previsione di cui all’art. 9 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 – normativa previgente al d.lgs. n. 81 del 2008 –, ed in particolare su  quelle attinenti <<all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale>>. La rilevanza assunta da tali funzioni nell’ambito della sicurezza sul lavoro implica una revisione in chiave interpretativa della figura del RSPP.
Ed invero la Cassazione nella sentenza oggetto di analisi, mutuando le cadenze argomentative della  Suprema Corte assunte con la pronuncia n. 49821 del 23/11/2012, rileva che pur rivestendo il responsabile per la sicurezza un incarico di consulenza, in capo ad esso incombe <<l’obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri>>.
Ne discende l’imputazione della responsabilità per l’evento lesivo in capo al RSPP laddove tale figura, procedendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza delle leggi e discipline, abbia negletto di segnalare una situazione di rischio, conducendo il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura di sicurezza.
In tale modo, la Suprema Corte osserva che la ragione giustificativa di tale assunto è da ravvisare nella <<delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico>> conferita al responsabile del servizio di prevenzione e protezione nell’ambito della cooperazione con le diverse figure cardine del sistema antinfortunistico, ciascuno secondo le proprie attribuzioni e le proprie responsabilità.

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