ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANOResponsabilità degli enti

Responsabilità degli enti ex d. lgs. 231/2001: il Tribunale di Bari ammette una società alla messa alla prova

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Tribunale di Bari, Sez. I, Ordinanza, 22 giugno 2022
Giudice dott. Antonio Donato Coscia

In tema di responsabilità degli enti ex. d. lgs. 231/2001, segnaliamo ai lettori la pronuncia con cui il Tribunale di Bari ha ritenuto ammissibile l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova.

Sul tema – su cui, su questa Rivista, abbiamo già segnalato i provvedimenti dei Tribunali di Milano, Modena, Bologna e Spoleto – il Tribunale di Bari ha preso posizione ritenendo l’istituto compatibile con il sistema di responsabilità ex d. lgs. 231/2001, non derivando da ciò «alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, dal momento che il divieto di analogia opera soltanto quanto genera effetti sfavorevoli per l’imputato: la messa alla prova per l’ente determinerebbe, invece, un ampliamento del ventaglio di procedimento speciali a sua disposizione, consentendogli una miglior definizione della strategia processuale»

Ad avviso del Tribunale, «il difetto di coordinamento tra la disciplina della messa alla prova e il d. lgs. 231/2001 non può essere ritenuto espressione della volontà del legislatore di escludere gli enti dall’istituto: la sua ratio, infatti, va ricondotta alla finalità, da un lato, di deflazionare il carico giudiziario e, dall’altro, di perseguire un reinserimento sociale “anticipato” dell’imputato, nella consapevolezza che il fenomeno, molto frequente, della condanna e della applicazione della pena a distanza di tempo solleva problemi non soltanto sotto il profilo della prevenzione generale, ma anche per quanto riguarda la funzione di prevenzione speciale».

L’introduzione del sistema di responsabilità da reato ex d. lgs. 231/2001 – si legge nel provvedimento – «risponde ad una logica di prevenzione del crimine, da perseguire proprio attraverso la rieducazione dell’ente: il d. lgs. 231/2001, cioè, tende a imporre all’ente che svolge una attività economica l’adozione di Modelli Organizzativi idonei alla prevenzione del rischio di reati commessi da persone fisiche legate all’ente che abbiano agito nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo. La ratio di politica criminale che ispira il d. lgs. 231/2001 non è la retribuzione fine a se stessa, né la mera prevenzione generale, ma la prevenzione speciale in chiave rieducativa: si vuole, cioè, indurre l’ente ad adottare comportamenti riparatori dell’offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instaurato con l’illecito, nonché idonei, concreti ed efficaci modelli organizzativi che, incidendo strutturalmente sulla cultura dell’impresa, possano consentirgli di continuare ad operare sul mercato nel rispetto della legalità o, meglio, di rientrarvi con una nuova prospettiva di legalità».

Neppure è stata ritenuta significativa «la circostanza che le previsioni specifiche per i procedimenti speciali nei confronti dell’ente non menzionino la messa alla prova: essa, infatti, può essere interpretata nel senso tanto della volontà del legislatore di disporre l’integrale applicazione della disciplina della messa alla prova, tanto più verosimilmente di una mera svista legislativa».

L’ammissibilità della messa alla prova per l’ente – prosegue il Tribunale – «non determinerebbe nemmeno l’elusione dell’art. 17 d. lgs. 231/2001, atteso che l’ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prova: l’art. 17, infatti, stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente realizzi le cd. condotte riparatorie; la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l’affidamento al servizio sociale per un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale nonché la prestazione di pubblica utilità».

Quanto, infine, alla necessità di dotarsi o meno di un Modello organizzativo al fine di accedere alla messa alla prova, secondo il Tribunale «la finalità rieducativa dell’ente non è pregiudicata laddove quest’ultimo si doti del Modello prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quand’anche ciò avvenga dopo la commissione del reato presupposto».

Redazione Giurisprudenza Penale

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