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Diritto di critica: consentiti anche giudizi aspri sull’operato dei destinatari – Cass. Pen. 38971/2013

Cassazione Penale, Sezione V, 20 settembre 2013 (ud. 5 luglio 2013), n. 38971
Presidente Zecca, Relatore Sabeone, P. G. Scardaccione 

Depositata il 20 settembre scorso un’interessante pronuncia della quinta sezione penale in tema di diffamazione a mezzo stampa.

Il ricorso che ha portato alla decisione in esame era stato presentato da Antonio Ricci, creatore del programma tv “Striscia la notizia”, il quale si era costituito parte civile lamentando di essere stato diffamato da un comunicato diffuso da Giovanni Panunzio – a sua volta fondatore del Telefono antiplagio – nel quale si affermava: “la trasmissione dimentica di denunciare i ciarlatani appartenenti alla sua parrocchia, pubblicizzati in ben 200 pagine di teletext di Mediaset” e che “non era azzardato affermare che parte dei compensi degli autori e conduttori di ‘Striscia’ derivi da compensi di sedicenti maghi“.
Dopo aver perso in appello, Antonio Ricci ha proposto ricorso per cassazione ai soli effetti civili, lamentando quale unico motivo una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’affermazione della sussistenza dell’esimente del diritto di critica, sia sotto il profilo della verità dei fatti che della liceità delle espressioni adoperate.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso non fondato.
Prendendo le mosse dalla libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 Cost. nonché dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e di come tale libertà includa la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee o critiche su temi d’interesse pubblico, i giudici di Piazza Cavour hanno osservato come l‘esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione delle idee rende pienamente legittime anche forme di disputa polemica, nel corso di dibattiti politici, storici e scientifici nonchè nelle campagne giornalistiche, che pure risultino caratterizzate dall’uso di espressioni di dura disapprovazione o riprovazione e dall’asprezza dei toni usati, purchè l’esercizio della critica non trasmodi in attacchi personali, con i quali s’intenda esclusivamente colpire la sfera privata dell’offeso e non sconfini nell’ingiuria, nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

E’ nota la differenza tra il diritto di cronaca, che si concreta nella narrazione di fatti che come tali non possono che essere obbiettivamente riferiti e riportati, ed il diritto di critica, che si esplica nell’espressione di un giudizio o di un’opinione personale dell’autore, che non può che essere, invece, inevitabilmente soggettiva: ne deriva che, in tema di diffamazione i limiti sostanziali del diritto di critica e di quello di cronaca non sono coincidenti ma risultano invece differenziati, essendo i primi meno elevati dei secondi; con la precisazione che, quanto più è eminente la posizione o la figura pubblica del soggetto, quanto più è socialmente, storicamente o scientificamente rilevante la materia del contendere, tanto più ampia deve essere la latitudine della critica.
Per quanto riguarda, in particolare, l’ambito di operatività della scriminante del diritto di critica – osservano i giudici –  essa non può essere limitata a quella politica ma che può riguardare, altresì, l’esercizio della giurisdizione ovvero un’attività scientifica o, ancora, un avvenimento sportivo o, infine, la diffusione di trasmissioni televisive o radiofoniche, che deve essere inquadrata la fattispecie di cui al presente procedimento.
Quanto al requisito della continenza, tale limite, nel diritto di critica, è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato: il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica; ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale.

In conclusione, il riconoscimento del diritto di critica tollera, in altre parole, giudizi anche aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, purchè gli stessi colpiscano quest’ultimo con riguardo a modalità di condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce; ma non consente che, prendendo spunto da dette circostanze, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata.

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Redazione Giurisprudenza Penale

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