ARTICOLIDIRITTO PENALEParte speciale

E’ vilipendio alla nazione italiana dire «Italia paese di m…» – Cass. Pen. 28730/2013

Cass. Pen., Sez. I, 4 luglio 2013 (ud. 21 marzo 2013), n. 28730
Presidente Bardovagni, Relatore Mazzei

Depositata oggi la sentenza numero 28730 della prima sezione penale della Suprema Corte in tema di vilipendio alla nazione punito dall’art. 291 cod. pen.
Nella vicenda in questione l’imputato, nel contestare una multa elevatagli per aver condotto l’autovettura con un solo faro funzionante, aveva pronunciato la frase «invece di andare ad arrestare i tossici pensate a fare queste stronzate. In questo schifo di Italia di m..
Ad avviso dei giudici di legittimità, tale affermazione costituisce reato di vilipendio alla nazione.
In motivazione la Suprema Corte ha osservato che «il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva»: per integrare il reato, previsto dall’articolo 291 del codice penale, infatti, «è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente».
Per aversi vilipendio alla nazione, prosegue la Suprema Corte, «non si necessita di atti di ostilità, di violenza o manifestazioni di odio: basta l’offesa alla nazione, cioè un’espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall’autore».
La frase pronunciata dall’imputato – sia pure nel contesto di un’accesa contestazione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un’autovettura con un solo faro funzionante – integra, pertanto, il delitto di vilipendio previsto dall’articolo 291 cod. pen., sia nel profilo oggettivo, per la grossolana brutalità delle parole pronunciate pubblicamente, tali da ledere oggettivamente il prestigio o l’onore della collettività nazionale, sia nel profilo soggettivo, integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di proferire, al cospetto dei verbalizzanti e dei numerosi cittadini presenti sulla pubblica via nel medesimo frangente, le menzionate espressioni di disprezzo, a prescindere dai veri sentimenti nutriti dall’autore e dal movente, nella specie di irata contrarietà per la contravvenzione subita, che abbia spinto l’agente a compiere l’atto di vilipendio.

 

Redazione Giurisprudenza Penale

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