I discorsi di Papa Francesco alla Associazione Internazionale di Diritto Penale (2014 e 2019)
Pubblichiamo i discorsi di Papa Francesco alla delegazione dell’Associazione Internazionale di diritto penale (23 ottobre 2014) e ai partecipanti al XX congresso mondiale dell’Associazione Internazionale di diritto penale (15 novembre 2019).
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA DELEGAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DI DIRITTO PENALE
Sala dei Papi
Giovedì, 23 ottobre 2014
Illustri Signori e Signore!
Vi saluto tutti cordialmente e desidero esprimervi il mio ringraziamento personale per il vostro servizio alla società e il prezioso contributo che rendete allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni.
Vorrei condividere con voi alcuni spunti su certe questioni che, pur essendo in parte opinabili – in parte! – toccano direttamente la dignità della persona umana e dunque interpellano la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione, di promozione umana, di servizio alla giustizia e alla pace. Lo farò in forma riassuntiva e per capitoli, con uno stile piuttosto espositivo e sintetico.
Introduzione
Prima di tutto vorrei porre due premesse di natura sociologica che riguardano l’incitazione alla vendetta e il populismo penale.
a) Incitazione alla vendetta
Nella mitologia, come nelle società primitive, la folla scopre i poteri malefici delle sue vittime sacrificali, accusati delle disgrazie che colpiscono la comunità. Questa dinamica non è assente nemmeno nelle società moderne. La realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti.
La vita in comune, strutturata intorno a comunità organizzate, ha bisogno di regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata. Tuttavia, viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge.
b) Populismo penale
In questo contesto, negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale.
Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici:figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste.
I. Sistemi penali fuori controllo e la missione dei giuristi.
Il principio guida della cautela in poenam
Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte. C’è il rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative.
In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società. Coloro che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno bisogno di essere curate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia nell’espletamento delle proprie funzioni.
II. Circa il primato della vita e la dignità della persona umana. Primatus principii pro homine
a) Circa la pena di morte
È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone.
San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. Evangelium vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (N. 2267).
Tuttavia, può verificarsi che gli Stati tolgano la vita non solo con la pena di morte e con le guerre, ma anche quando pubblici ufficiali si rifugiano all’ombra delle potestà statali per giustificare i loro crimini. Le cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale della forza per far applicare la legge. In questo modo, anche se tra i 60 Paesi che mantengono la pena di morte, 35 non l’hanno applicata negli ultimi dieci anni, la pena di morte, illegalmente e in diversi gradi, si applica in tutto il pianeta.
Le stesse esecuzioni extragiudiziali vengono perpetrate in forma sistematica non solamente dagli Stati della comunità internazionale, ma anche da entità non riconosciute come tali, e rappresentano autentici crimini.
Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore giudiziario, e l’uso che di tale pena fanno i regimi totalitari e dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”. Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. Da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta.
b) Sulle condizioni della carcerazione, i carcerati senza condanna e i condannati senza giudizio. – Queste non sono favole: voi lo sapete bene –
La carcerazione preventiva – quando in forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto commesso – costituisce un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità.
Questa situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi e regioni del mondo, dove il numero dei detenuti senza condanna supera il 50% del totale. Questo fenomeno contribuisce al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive, situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato. Inoltre è causa di un uso indebito di stazioni di polizia e militari come luoghi di detenzione.
Il problema dei detenuti senza condanna va affrontato con la debita cautela, dal momento che si corre il rischio di creare un altro problema tanto grave quanto il primo se non peggiore: quello dei reclusi senza giudizio, condannati senza che si rispettino le regole del processo.
Le deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà.
c) Sulla tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e degradanti. – L’aggettivo “crudele”; sotto queste figure che ho menzionato, c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera passione! –
Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza. Con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio.
Questo fenomeno, caratteristico delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altri generi di penitenziari, insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica la cui pratica si è diffusa. Le torture ormai non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato fine, come la confessione o la delazione – pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale – ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena.
La stessa dottrina penale ha un’importante responsabilità in questo, con l’aver consentito in certi casi la legittimazione della tortura a certi presupposti, aprendo la via ad ulteriori e più estesi abusi.
Molti Stati sono anche responsabili per aver praticato o tollerato il sequestro di persona nel proprio territorio, incluso quello di cittadini dei loro rispettivi Paesi, o per aver autorizzato l’uso del loro spazio aereo per un trasporto illegale verso centri di detenzione in cui si pratica la tortura.
Questi abusi si potranno fermare unicamente con il fermo impegno della comunità internazionale a riconoscere il primato del principio pro homine, vale a dire della dignità della persona umana sopra ogni cosa.
d) Sull’applicazione delle sanzioni penali a bambini e vecchi e nei confronti di altre persone specialmente vulnerabili
Gli Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono essere imputabili. Essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri.
Gli anziani, per parte loro, sono coloro che a partire dai propri errori possono offrire insegnamenti al resto della società. Non si apprende unicamente dalle virtù dei santi, ma anche dalle mancanze e dagli errori dei peccatori e, tra di essi, di coloro che, per qualsiasi ragione, siano caduti e abbiano commesso delitti. Inoltre, ragioni umanitarie impongono che, come si deve escludere o limitare il castigo di chi patisce infermità gravi o terminali, di donne incinte, di persone handicappate, di madri e padri che siano gli unici responsabili di minori o di disabili, così trattamenti particolari meritano gli adulti ormai avanzati in età.
III. Considerazioni su alcune forme di criminalità che ledono gravemente la dignità della persona e il bene comune
Alcune forme di criminalità, perpetrate da privati, ledono gravemente la dignità delle persone e il bene comune. Molte di tali forme di criminalità non potrebbero mai essere commesse senza la complicità, attiva od omissiva, delle pubbliche autorità.
a) Sul delitto della tratta delle persone
La schiavitù, inclusa la tratta delle persone, è riconosciuta come crimine contro l’umanità e come crimine di guerra, tanto dal diritto internazionale quanto da molte legislazioni nazionali. E’ un reato di lesa umanità. E, dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale.
Si può parlare di un miliardo di persone intrappolate nella povertà assoluta. Un miliardo e mezzo non hanno accesso ai servizi igienici, all’acqua potabile, all’elettricità, all’educazione elementare o al sistema sanitario e devono sopportare privazioni economiche incompatibili con una vita degna (2014 Human Development Report, UNPD). Anche se il numero totale di persone in questa situazione è diminuito in questi ultimi anni, si è incrementata la loro vulnerabilità, a causa delle accresciute difficoltà che devono affrontare per uscire da tale situazione. Ciò è dovuto alla sempre crescente quantità di persone che vivono in Paesi in conflitto. Quarantacinque milioni di persone sono state costrette a fuggire a causa di situazioni di violenza o persecuzione solo nel 2012; di queste, quindici milioni sono rifugiati, la cifra più alta in diciotto anni. Il 70% di queste persone sono donne. Inoltre, si stima che nel mondo, sette su dieci tra coloro che muoiono di fame, sono donne e bambine (Fondo delle Nazioni Unite per le Donne, UNIFEM).
b) Circa il delitto di corruzione
La scandalosa concentrazione della ricchezza globale è possibile a causa della connivenza di responsabili della cosa pubblica con i poteri forti. La corruzione è essa stessa anche un processo di morte: quando la vita muore, c’è corruzione.
Ci sono poche cose più difficili che aprire una breccia in un cuore corrotto: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,21). Quando la situazione personale del corrotto diventa complicata, egli conosce tutte le scappatoie per sfuggirvi come fece l’amministratore disonesto del Vangelo (cfr Lc 16,1-8).
Il corrotto attraversa la vita con le scorciatoie dell’opportunismo, con l’aria di chi dice: “Non sono stato io”, arrivando a interiorizzare la sua maschera di uomo onesto. E’ un processo di interiorizzazione. Il corrotto non può accettare la critica, squalifica chi la fa, cerca di sminuire qualsiasi autorità morale che possa metterlo in discussione, non valorizza gli altri e attacca con l’insulto chiunque pensa in modo diverso. Se i rapporti di forza lo permettono, perseguita chiunque lo contraddica.
La corruzione si esprime in un’atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si crede un vincitore. In quell’ambiente si pavoneggia per sminuire gli altri. Il corrotto non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità e l’inimicizia. Il corrotto non percepisce la sua corruzione. Accade un po’ quello che succede con l’alito cattivo: difficilmente chi lo ha se ne accorge; sono gli altri ad accorgersene e glielo devono dire. Per tale motivo difficilmente il corrotto potrà uscire dal suo stato per interno rimorso della coscienza.
La corruzione è un male più grande del peccato. Più che perdonato, questo male deve essere curato. La corruzione è diventata naturale, al punto da arrivare a costituire uno stato personale e sociale legato al costume, una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato. È la vittoria delle apparenze sulla realtà e della sfacciataggine impudica sulla discrezione onorevole.
Tuttavia, il Signore non si stanca di bussare alle porte dei corrotti. La corruzione non può nulla contro la speranza.
Che cosa può fare il diritto penale contro la corruzione? Sono ormai molte le convenzioni e i trattati internazionali in materia e hanno proliferato le ipotesi di reato orientate a proteggere non tanto i cittadini, che in definitiva sono le vittime ultime – in particolare i più vulnerabili – quanto a proteggere gli interessi degli operatori dei mercati economici e finanziari.
La sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare. Le forme di corruzione che bisogna perseguire con la maggior severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale – come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione – come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle di terzi.
Conclusione
La cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto, a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità sociale. Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana.
Cari amici, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, e vi assicuro che continuerò ad essere vicino al vostro impegnativo lavoro al servizio dell’uomo nel campo della giustizia. Non c’è dubbio che, per quanti tra voi sono chiamati a vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo è un campo privilegiato di animazione evangelica del mondo. Per tutti, anche quelli tra voi che non sono cristiani, in ogni caso, c’è bisogno dell’aiuto di Dio, fonte di ogni ragione e giustizia. Invoco pertanto per ciascuno di voi, con l’intercessione della Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo. Vi benedico di cuore e per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL XX CONGRESSO MONDIALE
DELL’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DI DIRITTO PENALE
Sala Regia
Venerdì, 15 novembre 2019
Illustri Signori e Signore,
prima di tutto voglio chiedere scusa per il ritardo. Scusatemi, è stato un errore di calcolo: due appuntamenti grossi che si prolungano… È successo il contrario di ciò che è accaduto nel Libro di Giosuè: lì il sole è andato indietro; qui l’orologio, il sole, è andato avanti. Scusatemi, e grazie della vostra pazienza.
Vi saluto cordialmente e, come nel nostro precedente incontro, esprimo la mia riconoscenza per il vostro servizio alla società e per il contributo che offrite allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana. Vorrei condividere con voi alcune riflessioni circa questioni che interpellano anche la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione e di servizio alla giustizia e alla pace. Ringrazio la Prof.ssa Paola Severino per le sue parole.
Circa lo stato attuale del diritto penale
Da vari decenni, il diritto penale ha incorporato – soprattutto da contributi di altre discipline – diverse conoscenze circa alcune problematiche legate all’esercizio della funzione sanzionatoria. Ad alcune di esse mi sono riferito nell’incontro precedente[1].
Tuttavia, malgrado questa apertura epistemologica, il diritto penale non è riuscito a preservarsi dalle minacce che, ai nostri giorni, incombono sulle democrazie e la piena vigenza dello Stato di diritto. D’altro canto, il diritto penale spesso trascura i dati della realtà e in questo modo assume la fisionomia di un sapere meramente speculativo.
Vediamo due aspetti rilevanti del contesto attuale.
1. L’idolatria del mercato. La persona fragile, vulnerabile, si trova indifesa davanti agli interessi del mercato divinizzato, diventati regola assoluta (cfr Evangelii gaudium, 56; Laudato si’, 56). Oggi, alcuni settori economici esercitano più potere che gli stessi Stati (cfr Laudato si’, 196): una realtà che risulta ancora più evidente in tempi di globalizzazione del capitale speculativo. Il principio di massimizzazione del profitto, isolato da ogni altra considerazione, conduce a un modello di esclusione – automatico! – che infierisce con violenza su coloro che patiscono nel presente i suoi costi sociali ed economici, mentre si condannano le generazioni future a pagarne i costi ambientali.
La prima cosa che dovrebbero chiedersi i giuristi oggi è che cosa poter fare con il proprio sapere per contrastare questo fenomeno, che mette a rischio le istituzioni democratiche e lo stesso sviluppo dell’umanità. In concreto, la sfida presente per ogni penalista è quella di contenere l’irrazionalità punitiva, che si manifesta, tra l’altro, in reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni, arbitrio e abusi delle forze di sicurezza, espansione dell’ambito della penalità, la criminalizzazione della protesta sociale, l’abuso della reclusione preventiva e il ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali.
2. I rischi dell’idealismo penale. Una delle maggiori sfide attuali della scienza penale è il superamento della visione idealistica che assimila il dover essere alla realtà. L’imposizione di una sanzione non può giustificarsi moralmente con la pretesa capacità di rafforzare la fiducia nel sistema normativo e nella aspettativa che ogni individuo assuma un ruolo nella società e si comporti secondo ciò che da lui ci si attende.
Il diritto penale, anche nelle sue correnti normativiste, non può prescindere da dati elementari della realtà, come quelli che manifesta l’operatività concreta della funzione sanzionatoria. Ogni riduzione di questa realtà, lungi dall’essere una virtù tecnica, contribuisce a nascondere i lineamenti più autoritari dell’esercizio del potere.
Il danno sociale dei delitti economici
Una delle frequenti omissioni del diritto penale, conseguenza della selettività sanzionatoria, è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporazioni. Non esagero con queste parole. Apprezzo che il vostro Congresso abbia preso in considerazione questa problematica.
Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti non solo contro la proprietà ma anche contro le persone e l’ambiente. Si tratta di criminalità organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento degli Stati e del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta.
Il diritto penale non può rimanere estraneo a condotte in cui, approfittando di situazioni asimmetriche, si sfrutta una posizione dominante a scapito del benessere collettivo. Questo succede, per esempio, quando si provoca la diminuzione artificiale dei prezzi dei titoli di debito pubblico, tramite la speculazione, senza preoccuparsi che ciò influenzi o aggravi la situazione economica di intere nazioni (cfr Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, 17).
Si tratta di delitti che hanno la gravità di crimini contro l’umanità, quando conducono alla fame, alla miseria, alla migrazione forzata e alla morte per malattie evitabili, al disastro ambientale e all’etnocidio dei popoli indigeni.
La tutela giuridico-penale dell’ambiente
È vero che la risposta penale arriva quando il delitto è stato commesso, che con essa non si ripara il danno né si previene la reiterazione e che di rado ha effetti dissuasivi. È vero pure che, per la sua selettività strutturale, la funzione sanzionatoria ricade solitamente sui settori più vulnerabili. Non ignoro neanche che c’è una corrente punitivista che pretende di risolvere attraverso il sistema penale i più svariati problemi sociali.
Invece, un elementare senso della giustizia imporrebbe che alcune condotte, di cui solitamente si rendono responsabili le corporazioni, non rimangano impunite. In particolare, tutte quelle che possono essere considerate come “ecocidio”: la contaminazione massiva dell’aria, delle risorse della terra e dell’acqua, la distruzione su larga scala di flora e fauna, e qualunque azione capace di produrre un disastro ecologico o distruggere un ecosistema. Dobbiamo introdurre – ci stiamo pensando – nel Catechismo della Chiesa Cattolica il peccato contro l’ecologia, il “peccato ecologico” contro la casa comune, perché è in gioco un dovere.
In questo senso, recentemente, i Padri del Sinodo per la Regione Panamazzonica hanno proposto di definire il peccato ecologico come azione oppure omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente. È un peccato contro le future generazioni e si manifesta negli atti e nelle abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia dell’ambiente, nelle trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella rottura delle reti di solidarietà tra le creature (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 340-344)[2].
Come è stato segnalato nei vostri lavori, per “ecocidio” si deve intendere la perdita, il danno o la distruzione di ecosistemi di un territorio determinato, in modo che il suo godimento per parte degli abitanti sia stato o possa vedersi severamente pregiudicato. Si tratta di una quinta categoria di crimini contro la pace, che dovrebbe essere riconosciuta tale dalla comunità internazionale.
In questa circostanza, e per vostro tramite, vorrei fare appello a tutti i leader e referenti nel settore perché contribuiscano con i loro sforzi ad assicurare un’adeguata tutela giuridica della nostra casa comune.
Circa alcuni abusi di potere sanzionatorio
Per concludere questa parte, vorrei riferirmi ad alcuni problemi che si sono aggravati negli anni trascorsi dal nostro precedente incontro.
1. L’uso improprio della custodia cautelare. Avevo segnalato con preoccupazione l’uso arbitrario della carcerazione preventiva. Purtroppo la situazione si è aggravata in diverse nazioni e regioni, dove il numero di detenuti senza condanna già supera ampiamente il cinquanta per cento della popolazione carceraria. Questo fenomeno contribuisce al deteriorarsi delle condizioni di detenzione ed è causa di un uso illecito delle forze di polizia e militari per questi fini[3]. La reclusione preventiva, quando è imposta senza che si verifichino le circostanze eccezionali o per un periodo eccesivo, lede il principio per cui ogni imputato dev’essere trattato come innocente fino a che una condanna definitiva stabilisca la sua colpevolezza.
2. L’involontario incentivo alla violenza. In diversi Paesi sono state attuate riforme dell’istituto della legittima difesa e si è preteso di giustificare crimini commessi da agenti delle forze di sicurezza come forme legittime del compimento del dovere[4]. È importante che la comunità giuridica difenda i criteri tradizionali per evitare che la demagogia punitiva degeneri in incentivo alla violenza o in uno sproporzionato uso della forza. Sono condotte inammissibili in uno Stato di diritto e, in genere, accompagnano i pregiudizi razzisti e il disprezzo verso le fasce sociali di emarginazione.
3. La cultura dello scarto e quella dell’odio. La cultura dello scarto, combinata con altri fenomeni psico-sociali diffusi nelle società del benessere, sta manifestando la grave tendenza a degenerare in cultura dell’odio. Si riscontrano episodi purtroppo non isolati, certamente bisognosi di un’analisi complessa, nei quali trovano sfogo i disagi sociali sia dei giovani sia degli adulti. Non è un caso che a volte ricompaiano emblemi e azioni tipiche del nazismo. Vi confesso che quando sento qualche discorso, qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi di Hitler nel ’34 e nel ’36. Oggi. Sono azioni tipiche del nazismo che, con le sue persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari, le persone di orientamento omossessuale, rappresenta il modello negativo per eccellenza di cultura dello scarto e dell’odio. Così si faceva in quel tempo e oggi rinascono queste cose. Occorre vigilare, sia nell’ambito civile sia in quello ecclesiale, per evitare ogni possibile compromesso – che si presuppone involontario – con queste degenerazioni.
4. Il lawfare. Si verifica periodicamente che si faccia ricorso a imputazioni false contro dirigenti politici, avanzate di concerto da mezzi di comunicazione, avversari e organi giudiziari colonizzati[5]. In questo modo, con gli strumenti propri del lawfare, si strumentalizza la lotta, sempre necessaria, contro la corruzione col fine di combattere governi non graditi, ridurre i diritti sociali[6] e promuovere un sentimento di antipolitica del quale beneficiano coloro che aspirano a esercitare un potere autoritario.
E nello stesso tempo, è curioso che il ricorso ai paradisi fiscali, espediente che serve a nascondere ogni sorta di delitti, non sia percepita come un fatto di corruzione e di criminalità organizzata[7]. Analogamente, fenomeni massicci di appropriazione di fondi pubblici passano inosservati o sono minimizzati come se fossero meri conflitti di interesse. Invito tutti a riflettere a questo riguardo.
Appello alla responsabilità
Desidero rivolgere un invito a tutti voi, studiosi del diritto penale, e a quanti, nei diversi ruoli, sono chiamati ad assolvere funzioni concernenti l’applicazione della legge penale. Tenendo presente che scopo fondamentale del diritto penale è tutelare i beni giuridici di maggiore importanza per la collettività, ogni compito e ogni incarico in questo ambito ha sempre una risonanza pubblica, un impatto sulla collettività. Questo richiede e implica al tempo stesso una più grave responsabilità per l’operatore di giustizia, in qualunque grado esso si trovi, dal giudice, al funzionario di cancelleria, all’agente della forza pubblica.
Ogni persona chiamata ad assolvere un compito in questo ambito dovrà tenere continuamente presente, da un lato, il rispetto della legge, le cui prescrizioni sono da osservare con un’attenzione e un dovere di coscienza adeguati alla gravità delle conseguenze. D’altro lato, occorre ricordare che la legge da sola non può mai realizzare gli scopi della funzione penale; occorre anche che la sua applicazione avvenga in vista del bene effettivo delle persone interessate. Questo adeguamento della legge alla concretezza dei casi e delle persone è un esercizio tanto essenziale quanto difficile. Affinché la funzione giudiziaria penale non diventi un meccanismo cinico e impersonale, occorrono persone equilibrate e preparate, ma soprattutto appassionate – appassionate! – della giustizia, consapevoli del grave dovere e della grande responsabilità che assolvono. Solo così la legge – ogni legge, non solo quella penale – non sarà fine a sé stessa, ma al servizio delle persone coinvolte, siano essi i responsabili dei reati o coloro che sono stati offesi. Al tempo stesso, operando come strumento di giustizia sostanziale e non solo formale, la legge penale potrà assolvere il compito di presidio reale ed efficace dei beni giuridici essenziali della collettività. E dobbiamo andare, certamente, verso una giustizia penale restaurativa.
Verso una giustizia penale restaurativa
In ogni delitto c’è una parte lesa e ci sono due legami danneggiati: quello del responsabile del fatto con la sua vittima e quello dello stesso con la società. Ho segnalato che tra la pena e il delitto esiste una asimmetria[8] e che il compimento di un male non giustifica l’imposizione di un altro male come risposta. Si tratta di fare giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore.
Nella visione cristiana del mondo, il modello della giustizia trova perfetta incarnazione nella vita di Gesù, il quale, dopo essere stato trattato con disprezzo e addirittura con violenza che lo portò alla morte, in ultima istanza, nella sua risurrezione, porta un messaggio di pace, perdono e riconciliazione. Questi sono valori difficili da raggiungere ma necessari per la vita buona di tutti. E riprendo le parole che ha detto la Professoressa Severino sulle carceri: le carceri devono avere sempre una “finestra”, cioè un orizzonte. Guardare ad un reinserimento. E si deve, su questo, pensare a fondo al modo di gestire un carcere, al modo di seminare speranza di reinserimento; e pensare se la pena è capace di portare lì questa persona; e anche l’accompagnamento a questo. E ripensare sul serio l’ergastolo.
Le nostre società sono chiamate ad avanzare verso un modello di giustizia fondato sul dialogo, sull’incontro, perché là dove possibile siano restaurati i legami intaccati dal delitto e riparato il danno recato. Non credo che sia un’utopia, ma certo è una grande sfida. Una sfida che dobbiamo affrontare tutti se vogliamo trattare i problemi della nostra convivenza civile in modo razionale, pacifico e democratico.
Cari amici, vi ringrazio per tre cose: per la vostra doppia pazienza: di aspettare un’ora e, l’altra pazienza, di ascoltare questo lungo discorso. E vi ringrazio per questo incontro. Grazie. Vi assicuro che continuerò a esservi vicino in questo arduo lavoro al servizio dell’uomo nell’ambito della giustizia. Non c’è dubbio che, per coloro che tra voi sono chiamati a vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo è un campo privilegiato di animazione evangelica del mondo. Tutti, anche coloro che tra di voi non sono cristiani, abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio, sorgente di ogni ragione e giustizia. Invoco per ognuno di voi, per intercessione della Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo. Vi benedico di cuore e, per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.
[1] Cfr Discorso alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, 23 ottobre de 2014.
[2] Cfr Documento finale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale, 26 ottobre 2019, 82.
[3] Cfr Discorso alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, 23 ottobre 2014.
[4] Cfr Discorso del Santo Padre Francesco alla Delegazione della Commissione Internazionale contro la Pena di Morte, 17 dicembre 2018.
[5] Cfr Omelia, 17 maggio 2018. L’Osservatore Romano (17 maggio 2018).
[6] Cfr Discorso al Vertice dei Giudici Panamericani sui diritti sociali e la dottrina francescana, 4 giugno 2019.
[7] Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico su alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, 30.
[8] Cfr Lettera ai partecipanti al XIX Congresso Internazionale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale e al III Congresso dell’Associazione Latinoamericana di Diritto Penale e Criminologia, 30 maggio 2014.