ARTICOLIdelitti contro la pubblica amministrazioneDIRITTO PENALEParte speciale

Sul reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente: è reato di pericolo

Cassazione Penale, Sez. VI, 7 novembre 2013 (ud. 22 ottobre 2013), n. 44896
Presidente De Roberto, Relatore Garribba

Depositata il 7 novembre scorso la pronuncia numero 44896 della sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione in tema di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente ex art. 353 bis c.p.

Questi i fatti: l’imputato – sindaco di un comune – aveva ordinato senza successo alla funzionaria responsabile dell’Ufficio lavori pubblici di predisporre un bando di gara conforme ad una bozza frutto di collusioni con un imprenditore che gli aveva assicurato il suo appoggio nella successiva campagna elettorale; la funzionaria non aveva però accettato l’imposizione e aveva predisposto il bando di gara in maniera autonoma.
Il Tribunale di primo grado, in funzione di giudice del riesame, aveva preliminarmente sgombrato il campo dal dubbio di violazione del principio di irretroattività della legge penale osservando che le azioni tese ad interferire nella formazione del bando, pur innestate in un accordo risalente all’anno 2009, erano proseguite anche dopo il 7 settembre 2010 – data di entrata in vigore della legge che ha introdotto il reato di cui all’art. 353 bis cod.pen. – e, pertanto, non era stato violato il principio di irretroattività. Inoltre, quanto alla forma di manifestazione del reato, doveva considerarsi come consumato anche se la funzionaria non aveva poi ceduto alle indebite pressioni, poiché gli indagati, a prescindere dalla realizzazione dell’intento perseguito, avevano oggettivamente turbato il procedimento di formazione del bando.
Ricorreva per Cassazione l’imputato lamentando – per ciò che qui interessa – erronea applicazione dell’art. 353 bis c.p: posto che la condotta incriminata dalla norma penale deve risolversi in una turbativa del procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando – osservava la difesa – l’insussistenza del reato emergerebbe dalla stessa formulazione dell’accusa, là dove qualifica le condotte turbative “non foriere dei reali effetti voluti, alla luce della ferma opposizione opposta dal funzionario amministrativo“.
In altri termini, il fatto che la funzionaria, impermeabile alle pressioni, abbia preparato il bando in piena autonomia, dovrebbe portare alla conclusione che non si è verificata alcuna turbativa del procedimento; al più – si osservava – potrebbe ravvisarsi il reato nella forma tentata.

La Suprema Corte ha ritenuto il motivo non fondato.
Il delitto previsto dall’art. 353 bis c.p. – si legge in motivazione – è infatti costruito sulla falsariga di quello previsto dall’art. 353 come reato di pericolo.
L’azione consiste nel turbare mediante atti predeterminati il procedimento amministrativo di formazione del bando, allo scopo di condizionare la scelta del contraente: poichè il condizionamento del contenuto del bando è il fine dell’azione, è evidente che il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine medesimo.
Per integrare il delitto, in conclusione, non è necessario che il contenuto del bando venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente, nè, a maggior ragione, che la scelta del contraente venga effettivamente condizionata. E’ sufficiente, invece, che si verifichi un turbamento del processo amministrativo, ossia che la correttezza della procedura di predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo.
Nel caso di specie, il sindaco ha consegnato la bozza del bando, frutto di collusione, al funzionario responsabile ordinando che fosse convertita senza modificazioni nel bando pubblico; la disobbedienza del funzionario che rifiutò l’imposizione, ha impedito l’inquinamento del bando ma non ha cancellato la turbativa oggettivamente arrecata al procedimento amministrativo mediante l’intervento diretto del sindaco sul funzionario a quel procedimento preposto.
Trattandosi di reato con evento di pericolo – si conclude – non v’è spazio per ravvisare il tentativo.

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Redazione Giurisprudenza Penale

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