Tolleranza abituale e favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata: la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate la questioni sollevate dal Tribunale di Reggio Emilia
Corte Costituzionale, 20 dicembre 2019, sentenza n. 278
Presidente Carosi, Relatore Modugno
Come avevamo anticipato, con ordinanza del 31 gennaio 2019, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Reggio Emilia aveva dubitato, sotto due distinti profili, della legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, numeri 3) e 8), prima parte, della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), che puniscono, rispettivamente, la tolleranza abituale e il favoreggiamento della prostituzione.
Con sentenza n. 278 del 2019, la Corte Costituzionale ha ritenuto le questioni non fondate.
I giudici, dopo aver richiamato quanto già affermato dalla stessa Consulta nella sentenza n. 141 del 2019 (pronunciata nel cd. caso Tarantini) in punto di favoreggiamento, hanno ricordato come «quando pure non si sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata, la scelta di “vendere sesso” trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali»: fattori non solo di ordine economico, ma legati anche a situazioni di disagio sul piano affettivo o delle relazioni familiari e sociali.
Tali considerazioni – si legge nella decisione – «risultano estensibili anche alla fattispecie della tolleranza abituale dell’esercizio della prostituzione, che l’odierno rimettente coinvolge nella verifica di compatibilità con il principio di offensività unitamente a quella del favoreggiamento, già in precedenza scrutinata da questa Corte. A mente dell’art. 3, primo comma, numero 3), della legge n. 75 del 1958, risponde di tale reato «chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si dànno alla prostituzione».
La previsione punitiva «si colloca specificamente nell’ambito della terna di figure criminose poste a presidio del divieto di esercizio delle case di prostituzione. Il numero 1) dell’art. 3 punisce la costituzione di case di prostituzione; il numero 2), la cessione di un locale a tale scopo; il numero 3) – oggi in esame – il consentire, per acquiescenza abituale dell’esercente, che la prostituzione si svolga all’interno di un pubblico esercizio. La norma incriminatrice censurata costituisce, pertanto, anch’essa espressione della strategia d’intervento, dianzi indicata, che ispira la legge n. 75 del 1958: strategia alla quale è globalmente riferibile la valutazione già operata da questa Corte, in punto di esclusione del contrasto con il principio di offensività».