Un manuale per mettere ordine nel diritto penitenziario e ribadire la sua autonomia. Recensione al Manuale di Diritto Penitenziario di Franco Della Casa e Glauco Giostra.
Da alcune settimane è disponibile nelle librerie il “Manuale di Diritto Penitenziario” di Franco Della Casa e Glauco Giostra. Gli autori, rispettivamente Professore Emerito di diritto processuale penale presso l’Università di Genova e Professore Ordinario di diritto processuale penale presso la Sapienza di Roma, si sono avvalsi della collaborazione di esperti della materia, che hanno contribuito a rendere l’opera preziosa, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per chi volesse avvicinarsi, per la prima volta, allo sconosciuto mondo dell’Esecuzione Penale.
Il libro, partendo dalla cornice nazionale e sovranazionale, affronta le problematiche del trattamento penitenziario e rieducativo, per passare alla tutela dei diritti dei detenuti, all’organizzazione penitenziaria, alle misure alternative alla detenzione e alla liberazione anticipata. Vengono poi trattati e approfonditi i profili processuali, mentre l’ultimo capitolo è dedicato al “neonato” Ordinamento Penitenziario Minorile.
L’autonomia del diritto Penitenziario, rispetto al diritto amministrativo e al diritto penale, è immediatamente enunciata in premessa. Con la Legge 26 luglio 1975, n. 354 – norme sull’Ordinamento Penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà – il Legislatore si proponeva di rispettare i principi costituzionali in materia, con riferimento, tra gli altri, a quello indicato nell’art. 27, comma 3, della nostra Carta. Il percorso rieducativo del condannato deve essere promosso o, comunque, agevolato nel dare esecuzione alla pena.
Come evidenziato nel Manuale, però, dall’entrata in vigore dell’Ordinamento, vi sono stati interventi su alcune norme e nuovi inserimenti, che sono risultati “veri e propri corpi estranei rispetto ai contenuti dell’impianto normativo di riferimento, o perché geneticamente condizionate da ragioni di puro allarme sociale, o perché consistenti in trapianti nei quali si è confusa la natura del diritto Penitenziario con quella, assai diversa, del diritto Penale”.
Il testo, dunque, sottolinea l’incoerenza di molti degli interventi legislativi che hanno modificato l’Ordinamento dal 1975 ad oggi ed evidenzia come, invece, l’azione della Corte Costituzionale, pur con qualche eccezione, si è mostrata in linea con la strada originariamente tracciata.
All’azione legislativa e giurisprudenziale interna si sono aggiunte le sentenze della Corte Europea nei confronti nel nostro Paese, che hanno costretto il Legislatore a ulteriori modifiche, che solo in minima parte hanno consentito il rispetto dei parametri di civiltà indicati nelle Convenzioni Internazionali.
L’insieme di tutti questi elementi, unitamente all’annunciata riforma – che si è concretizzata solo in minima parte, tradendo le aspettative da tempo coltivate – ha contribuito a “disordinare” l’Ordinamento Penitenziario che, da un insieme di norme raccolte in maniera sistematica, ha subito una molteplicità d’infiltrazioni di diversa provenienza, particolarmente numerose negli ultimi anni.
Queste le condivisibili ragioni che hanno indotto gli autori a scrivere il Manuale, per riorganizzare una materia che, è bene non dimenticare, deve essere autonoma e indipendente da quella penale, rispondendo ad esigenze forse complementari, ma certamente del tutto diverse.
Del libro, che espone nel dettaglio ed in maniera esauriente le nozioni fondamentali e necessarie del diritto penitenziario, ci piace fare riferimento a quanto scritto su “Essere e dover essere nell’esecuzione Penitenziaria “, perché rappresenta un’ incisiva critica politica, rigorosamente in linea con la nostra Costituzione e ancora attuale.
Gli autori evidenziano come “la storia della questione Penitenziaria dimostra che, nel nostro Paese, vi é sempre uno scarto, di entità mutevole nel tempo, tra le norme costituzionali e sovranazionali, da un lato , e la disciplina legislativa dell’Esecuzione Penitenziaria, dall’altro, nonché tra questa e la realtà carceraria.”.
Il primo divario dipende dalla circostanza che la politica preferisce “imboccare la via meno impegnativa ed elettoralmente più redditizia dell’inasprimento sanzionatorio e del rigore carcerario, propagandati quali strumenti per contrastare la criminalità . Come dimostrano storia, statistiche e buonsenso, si tratta di fallace promessa. Fallace, ma spesso destinata a far presa sull’opinione pubblica e preziosa per procacciare consensi. Pur di seguire questo obiettivo , il populismo penale, cioè l’uso demagogico della risposta sanzionatoria dello Stato, non si fa scrupolo di esondare dall’ alveo della Costituzione e della Convenzione Europea. L’unica controspinta, allora, è rappresentata dalle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo , che, sia pure in modo asistematico ed episodico, faticosamente ripristinano gli argini della superiore legalità”.
Le cause del secondo divario sono da ravvisarsi nel “quotidiano carcerario, lontano dal suo dover essere”. Il mondo del carcere “vive in un cono d’ombra , al di fuori dell’angolo visuale dell’opinione pubblica e, quindi, dal suo controllo; é un mondo chiuso in cui illegalità, prevaricazioni e arbitrii rimangono lontani da qualsiasi forma di vigilanza democratica “ .
L’unico auspicio – concludono gli autori – è “che la strada venga presto ritrovata per riprendere l’unico cammino in grado di assicurare al condannato, come vuole la nostra Costituzione, dignità e speranza. Che poi è un cammino lungo con il quale progredisce l’intera società, poiché la condizione delle carceri, cioè il luogo dove l’individuo è sotto la completa soggezione del potere statale, é da sempre un infallibile referto del grado di civiltà di un Paese”.
Un libro, dunque, di fondamentale importanza per apprendere o, comunque, perfezionare la conoscenza del diritto penitenziario ed anche come bussola da seguire nel difficile e sempre più accidentato cammino della Giustizia nel nostro Paese. Da consigliare, anche e soprattutto, a coloro che, nelle stanze del potere, troppo spesso, perdono ogni riferimento Costituzionale.
di Riccardo Polidoro (Responsabile dell’ Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane)