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Nuove prospettive di non punibilità dei reati tributari nello schema di decreto legislativo n. 144

in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 4 – ISSN 2499-846X

1. Molte, e di rilievo, le novità che contraddistinguono lo schema di decreto legislativo n. 144 approdato alle Camere il 14 marzo 2024, volto a dare esecuzione alle legge-delega 111/2023 per quanto concerne il ridisegno del sistema sanzionatorio tributario e penal-tributario (di seguito per brevità lo “Schema”) (su cui, tra i primi commenti, per quanto concerne la revisione delle sanzioni tributarie v. A. Giovanardi, Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. dir. trib., suppl. online, 20 aprile 2024; per quanto concerne la revisione delle sanzioni penali, v. F. Di Vizio, L’irrefrenabile funzionalizzazione riscossiva del moderno diritto penale tributario, in Sist. pen., 19 aprile 2024).

Intatti per una volta il comparto dichiarativo e quello legato ai reati di emissione di fatture ed occultamento o distruzione di documenti contabili, l’intervento di riforma spiega invece la sua maggiore forza sul comparto dei delitti in materia di versamento (artt. 10-bis, ter e quater), apportando anche interventi molto significativi sulla parte definitoria del decreto (art. 1) e su una serie di disposizioni comuni (ossia gli articoli in materia di sequestro e confisca, cause di non punibilità e circostanze del reato).

Senza volere qui richiamare pedissequamente lo Schema, ma svolgendo un esercizio di categorizzazione delle novità, sembra possibile ricondurre queste ultime a due macro-gruppi:

i) ripensamento della risposta sanzionatoria penale a fronte di scenari di crisi aziendale, potendosi ricondurre a questo gruppo interventi come il ridisegno della fattispecie tipica degli artt. 10-bis e ter, la codificazione di una nuova causa di non punibilità legata a crisi di liquidità, la codificazione dei criteri di valutazione della particolare tenuità del reato tributario nonché l’estensione del termine per estinguere il debito tributario e godere dei relativi benefici attenuanti alla data di chiusura (e non più di apertura) del dibattimento penale, oltretutto con la possibilità di ottenere una sospensione del processo al fine di agevolare le definizioni rateali;

ii) ridisegno – radicale – della materia delle indebite compensazioni, con una codificazione delle definizioni di non spettanza e inesistenza del credito d’imposta e con l’introduzione di una nuova causa di non punibilità sub 10-quater per obiettiva incertezza della materia.

Sorvolando in questa sede su un’analisi di ciascuna novità, ci si concentrerà in particolare sulle innovazioni che lo Schema introduce nella disciplina delle cause di non punibilità dei reati tributari, tra i due inediti assoluti delle esimenti per crisi di liquidità e per obiettiva incertezza della materia connessa ai crediti d’imposta e l’intervento di precisazione della preesistente causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

2. Interessante, innanzitutto, la causa di non punibilità di cui al nuovo comma 2-bis dell’art. 10-quater: «La punibilità dell’agente per il reato di cui al comma 1 è esclusa quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito».

L’istituto si pone come causa speciale di non punibilità dell’indebita compensazione mediante crediti non spettanti, al ricorrere di condizioni di obiettiva incertezza sugli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito, anche per la natura tecnica delle valutazioni.

Tra i primi commenti si è rilevato trattarsi di una specificazione della causa di non punibilità di cui all’art. 15 d.lgs. 74/2000, con la quale condividerebbe il fondare l’esimente sull’obiettiva incertezza della fattispecie nell’ambito della quale il contribuente è incorso in errore (così E. Belli Contarini, Nuova causa di non punibilità per i crediti R&S contestati, in Il Sole24Ore, 2 aprile 2024, p. 28, nonché F. Di Vizio, op. cit., p. 20, secondo il quale la nuova previsione sarebbe «distonica oltre che ultronea»).

Questa interpretazione però convince solo in parte. Se da un lato è vero che l’errore sulla spettanza del credito può tipicamente riguardare l’errata interpretazione ed applicazione delle norme che la disciplinano (tanto più alla luce della nuova definizione che viene proposta nello Schema per il concetto di “non spettanza”), il riferimento alla natura tecnica delle valutazioni in cui può situarsi l’errore lascia intendere che l’esimente in parola abbia portata più ampia di quella di cui all’art. 15, potendo abbracciare anche ipotesi di errore sul fatto (riconducibili quindi piuttosto all’esimente di cui all’art. 47 c.p.). Se ne deduce che questo nuovo comma 2-bis dell’art. 10-quater, pur se in parte sovrapponibile all’operatività dell’art. 15, non ne condivide a pieno il perimetro e non può quindi ritenersi un mero pleonasmo normativo. Sembra questo l’orientamento prescelto anche nella Relazione accompagnatoria allo Schema, p. 3, ove si legge che l’esimente «non interferisce con l’articolo 15 del decreto legislativo n. 74 del 2000 (…), né con i principi stabiliti in relazione all’articolo 5 del codice penale dalla nota sentenza 364/88 della Corte costituzionale, non incidendo sul tema delle condizioni qualitative della fattispecie obbiettivamente controverse, ma limitandosi a stabilire una regola di giudizio che è mera espressione di specificazione del canone “in dubio pro reo”».

Circa l’ambito oggettivo di applicabilità dell’esimente, essa si riferisce in modo chiaro alle sole indebite compensazioni mediante crediti non spettanti: non contempla quelle mediante crediti inesistenti. La soluzione non sembra particolarmente condivisibile nella sua logica. L’ipotesi di non spettanza del credito d’imposta era già coperta dalla causa di non punibilità di cui all’art. 13 comma 1 d.lgs. 74/2000 e non avvertiva quindi il bisogno di un’ulteriore esimente, dai contorni tra l’altro del tutto nebulosi, come si legge nella proposta di testo.

Viceversa, sull’ipotesi di inesistenza sarebbe parsa più utile l’introduzione di una causa di non punibilità strutturale al d.lgs. 74/2000, dato che la fattispecie dell’art. 10-quater comma 2 rimane una delle poche ed immotivate “cenerentole” della legislazione penal-tributaria ad essere prive di cause esimenti, nonostante la propaganda riscossiva della riforma del 2019 avesse ormai esteso tale opportunità perfino alle dichiarazioni fraudolente. Oltretutto, l’obiettiva incertezza sugli elementi di esistenza del credito d’imposta per via della natura tecnica delle valutazioni avrebbe potuto costituire un efficace terreno esimente per la folta casistica dei crediti d’imposta per Ricerca & Sviluppo, che proprio all’ipotesi di inesistenza vengono stabilmente ricondotti in caso di contestazioni. In materia, invece, si continua a vivere di improvvisazione ed incertezze, con l’istituto del riversamento del credito d’imposta (art. 5 d.l. 146/2021) a rappresentare l’unico possibile percorso di redenzione e non punibilità del contribuente, peraltro con accesso limitato ai termini di decadenza di volta in volta fissati e prorogati dal legislatore.

3. Si intenderebbe collocare invece all’interno dell’art. 13, microcosmo della non punibilità penal-tributaria, le due ulteriori disposizioni in materia di esimenti previste dallo Schema. Tanto per cominciare, al nuovo comma 3-bis dell’art. 13 si intenderebbe prevedere: «I reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi».

La norma riesuma, rielaborandola in modo più approfondito, l’idea che già era stata portata avanti con la proposta di legge n. 3024 del 16 aprile 2021 nel senso di codificare un’esimente da crisi di liquidità per i reati di omesso versamento. Di quella proposta però lo Schema supera la principale debolezza, consistente nella laconicità del dato normativo che si proponeva di introdurre («Non è punibile chi ha commesso il fatto di cui al comma 1 per impossibilità sopravvenuta della prestazione a lui non imputabile»), che avrebbe consentito alla giurisprudenza di persistere nella propria rigorosissima interpretazione della questione.

È noto infatti come, in sede di legittimità, seppur con varietà di accenti, si sia negli anni affermato un orientamento che tende a riconoscere la valenza esimente della crisi di liquidità solo a fronte di condizioni del tutto eccezionali ed, in pratica, pressoché virtuali: si è affermata per esempio l’irrilevanza del mancato incasso delle fatture cui l’IVA non versata si riferiva, anche ove il debitore inadempiente sia lo Stato od altro ente pubblico, mentre si è posto in capo all’imputato l’onere di dimostrare di avere vanamente esplorato ogni tentativo di risanamento della situazione finanziaria dell’impresa, finanche ricorrendo ad un indebitamento personale (ex multis, Cass. Pen., Sez. III, 11 maggio 2016, n. 30397; Cass. Pen., Sez. III, 6 ottobre 2015, n. 45690; Cass. Pen., Sez. III, 23 giugno 2015, n. 31930; Cass. Pen., Sez. III, 18 giugno 2015, n. 37873; Cass. Pen., Sez. III, 11 novembre 2014, n. 52039; Cass. Pen., Sez. III, 11 novembre 2014, n. 1725).

L’esplicitazione nel testo del comma 3-bis dell’art. 13 della rilevanza esimente di circostanze come l’inesigibilità di crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte della P.A. sembra ora poter rappresentare, invece, un utile baluardo normativo affinché, al ricorrere dei presupposti indicati, l’esclusione della punibilità non possa essere negata. Il passo avanti rispetto al diritto vivente sarebbe dunque tangibile.

L’esimente pare muoversi sul piano dell’inesigibilità della condotta, quale ipotesi speciale riconducibile al genus delle cause di forza maggiore.

Si coglie anche l’aspetto per cui le cause della crisi devono essere sopravvenute all’effettuazione delle ritenute (nel caso dell’art. 10-bis) ovvero all’incasso dell’IVA (nel caso dell’art. 10-ter). Molto rilevante la seconda specificazione, che sembra porsi in contrasto con la fattispecie tipica dell’art. 10-ter che, invece, come noto, individua il presupposto della condotta di omesso versamento nell’avere semplicemente dichiarato l’IVA fatturata, e non anche nell’averla incassata mediante il pagamento delle fatture: pertanto, guardando alla struttura del reato di omesso versamento di IVA, risulta penalmente rilevante anche l’omesso versamento di un’imposta che il contribuente non ha neppure mai percepito a sua volta dal proprio cliente. Benché sia noto che la giurisprudenza di legittimità ha avallato questo principio, affermando appunto che il mancato incasso della fattura sarebbe ininfluente ai fini della penale rilevanza del successivo omesso versamento dell’imposta da parte del contribuente (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 18 giugno 2019, n. 35193; Cass. Pen., Sez. III, 27 giugno 2019, n. 41070), in questo punto pare situarsi una grave criticità della fattispecie, che addossa in effetti al contribuente una responsabilità penale per un fatto a lui non imputabile. Il fatto che l’esimente proposta nello Schema esiga che le cause di crisi siano sopravvenute all’incasso della fattura (e non alla dichiarazione dell’imposta fatturata) sembra invece implicare che tale incasso rappresenti – come in effetti è o dovrebbe essere – un momento essenziale per la manifestazione del pur pallido disvalore della fattispecie. In quest’ottica, anche per evitare l’incoerenza che sorgerebbe tra i testi dell’art. 10-ter e dell’art. 13 comma 3-bis, si apprezzerebbe una modifica del primo nel senso di prevedere che a rilevare penalmente sia solo l’omesso versamento dell’imposta «dovuta in base alla medesima dichiarazione ed effettivamente incassata».

4. Quanto alla codificazione dei criteri di valutazione della particolare tenuità del reato tributario, con lo Schema si propone di introdurre un nuovo comma 3-ter dell’art. 13, prevedendosi che: «Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici: a) l’entità dello scostamento dell’imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; b) salvo quanto previsto al comma 1, l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l’amministrazione finanziaria; c) l’entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione; d) la situazione di crisi ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14».

Se la lettera a) rappresenta un mero esercizio compilativo di quanto la giurisprudenza già afferma in modo pacifico, ossia che la particolare tenuità del reato tributario potrebbe valutarsi solo a fronte di scostamenti minimi dalle soglie di punibilità (ex multis, Cass. Pen., Sez. III, 30 marzo 2018, n. 14595; Cass. Pen., Sez. III, 24 settembre 2021, n. 35403), le restanti lettere introducono novità reali e dirompenti nel sistema.

Viene infatti affermata a livello normativo la rilevanza, ai fini della valutazione di particolare tenuità, di condotte tenute post factum in senso riparatorio dell’offesa, che formava invece oggetto di un contrasto giurisprudenziale (contraria ad esempio Cass. Pen., Sez. III, 27 settembre 2022, n. 39835; favorevole invece Cass. Pen., Sez. III, 24 maggio 2023, n. 28031).

Se si tiene presente che gli indici di particolare tenuità coniati dal nuovo comma 3-ter sono tra loro alternativi (dato che il giudice può valutarne «uno o più»), si deve trarre la conclusione – davvero dirompente rispetto al sistema della non punibilità penal-tributaria – che la sopravvenuta estinzione del debito tributario mediante integrale adempimento dell’obbligo di pagamento oggetto di un piano di rateazione potrà comportare una nuova ed universale causa di non punibilità per i reati tributari che rispettino, nel resto, i requisiti di operatività posti dall’art. 131-bis c.p. (comunque molto ampi dopo la riforma Cartabia, dato che oggi è sufficiente che il reato sia punito con la reclusione non superiore a due anni nel minimo).

Tale causa di non punibilità sembra operare in modo trasversale al d.lgs. 74/2000, superando i limiti delle esimenti già previste dall’art. 13 e determinando un regime di non punibilità differenziato e graduato:

– per i reati riscossivi, si avrà non punibilità ex 13 comma 1 in caso di pagamento entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado; si potrà avere invece particolare tenuità ex art. 131-bis c.p. in caso di pagamento eseguito dopo, ma prima della sentenza definitiva;

– per i reati dichiarativi, si avrà non punibilità ex 13 comma 2 in caso di pagamento entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ed a seguito di ravvedimento operoso spontaneo; si potrà avere invece particolare tenuità ex art. 131-bis c.p. in caso di ravvedimento eseguito dopo la formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche etc. o comunque di pagamento eseguito oltre il termine dell’apertura del dibattimento.

Se ne ricava che anche per reati tributari dichiarativi e per importi magari sensibilmente sopra soglia, per i quali l’estinzione del debito non avrebbe comportato in passato la non punibilità, potrebbe ora profilarsi una non punibilità per particolare tenuità in caso di estinzione del debito tributario. La novità sarebbe di rilievo soprattutto in materia di omessa dichiarazione: se il reato ad oggi è soggetto all’esimente ex art. 13 comma 2 solo per la presentazione dell’ultima dichiarazione omessa (e quindi con impossibilità di sanare le omesse dichiarazioni di periodi precedenti), il nuovo criterio di valutazione della particolare tenuità sembrerebbe invece poter operare in modo indistinto per tutti i periodi d’imposta.

Il condizionale però è d’obbligo perché, mentre l’art. 13 disciplina delle esimenti legali, l’art. 131-bis c.p. disciplina un’esimente che dipende pur sempre da una valutazione discrezionale dell’offensività del fatto da parte del giudice, che può variare da caso a caso. Anzi, un aspetto di potenziale ostacolo alla tesi qui sostenuta potrebbe risiedere nella natura continuata della maggior parte dei reati tributari, soprattutto dichiarativi: è noto infatti che, secondo parte della giurisprudenza, continuazione e particolare tenuità sarebbero discipline tra loro incompatibili (Cass. Pen., Sez. III, 4 maggio 2018, n. 19159; Cass. Pen., Sez. V, 20 ottobre 2017, n. 48352; contra, nel senso della compatibilità tra le discipline, v. Cass. Pen., Sez. IV, 15 settembre 2021, n. 36534; Cass. Pen., Sez. II, 26 aprile 2017, n. 19932). La tesi opposta e favorevole sembra tuttavia da prediligere perché, nella disciplina della continuazione, è insito un giudizio di attenuato disvalore di quei plurimi reati che, essendo riconducibili ad un unico disegno criminoso, rappresentano anche un’offesa sostanzialmente unitaria all’ordinamento giuridico.

A quanto sin qui sostenuto si potrebbe obiettare che, se fosse consentito alla particolare tenuità di imperversare in questo modo nel d.lgs. 74/2000, negando post factum la punibilità della maggior parte dei reati tributari a fronte del semplice pagamento del dovuto, si svilirebbero la portata dell’art. 13 ed i limiti di operatività delle esimenti in esso previsti, oltre a venire seriamente posta in discussione la funzione generalpreventiva della pena. Tuttavia, ciò è vero solo in apparenza: sarebbe vero, cioè, se tramite una declaratoria di particolare tenuità il contribuente-imputato pervenisse al medesimo risultato dell’esimente di cui all’art. 13 ed all’infuori dei limiti ivi previsti.

Così però non è, perché, esaminando in parallelo le due esimenti, si ricava immediatamente che la particolare tenuità ha un contenuto meno favorevole per l’imputato rispetto alla non punibilità ex art. 13, potendosi quindi ritenere complessivamente ragionevole che il suo riconoscimento possa operare su basi più ampie. Va infatti considerato cha la declaratoria di cui all’art. 131-bis c.p. accede ad un proprio regime specifico che ne fa non tanto un’esimente tout court, quanto un provvedimento di clemenza rispetto ad un accertamento di responsabilità penale che è comunque compiuto e pieno: non a caso, il proscioglimento o l’archiviazione per particolare tenuità vengono iscritti nel casellario giudiziale (ex multis Cass. Pen., Sez. Un., 24 settembre 2019, n. 38954) e l’avvenuto riconoscimento della tenuità in un’occasione può risultare ostativo a riconoscimenti successivi, mentre la causa di non punibilità ex art. 13 non è soggetta ad alcuna iscrizione e può essere concessa tante volte quanti sono i reati per i quali le condizioni premiali vengono raggiunte.

È quindi senza dubbio deteriore la condizione dell’autore del reato dichiarato particolarmente tenue rispetto alla condizione dell’autore del reato dichiarato non punibile ex art. 13: un maggiore spazio di operatività della prima esimente, pertanto, risponderebbe a criteri di razionalità del sistema, oltre che alla voluntas legis che emerge dallo Schema.

Sul punto, trattandosi come detto di causa di non punibilità rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, una presa di coscienza e sensibilità giurisprudenziale sul punto sarebbe comunque imprescindibile. Del resto, se l’indirizzo ormai inequivocabilmente (seppur non condivisibilmente) preso dalla legislazione penal-tributaria è quello di una “funzionalizzazione riscossiva” (così F. Di Vizio, op. cit.) della materia, sempre più visibile ed ulteriormente accentuata dallo Schema qui in commento, sarà necessario che la giurisprudenza prenda atto della tendenza riconoscendo al contribuente collaborativo anche tutte le conseguenze premiali che un sistema così congegnato impone.

Superfluo soffermarsi oltre sullo svilimento dei canoni penalistici generali che ciò comporta: a volerlo fare, si ritornerebbe immediatamente alle condivisibili conclusioni che un Padre del diritto penale-tributario aveva già raggiunto oltre un decennio fa (I. Caraccioli, Riflessioni sui reati di omissione propria e sulle cause di non punibilità suscitate dalle Sezioni Unite della cassazione, in Riv. dir. trib., 2013, p. 256), ed alla constatazione che, più che occuparsi continuamente di come arginare la portata iniqua delle fattispecie di reato di omesso versamento, rientrate estemporaneamente nel d.lgs. 74/2000 a seguito del ripensamento legislativo di metà anni Duemila, converrebbe riflettere sull’opportunità della loro abolizione.

Come citare il contributo in una bibliografia:
R. Lucev, Nuove prospettive di non punibilità dei reati tributari nello schema di decreto legislativo n. 144, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 4