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Estradizione: la Cassazione si pronuncia in tema di “perenzione della misura cautelare” (a seguito di arresto provvisorio) per violazione del termine di 40 giorni ex art. 715 comma 6 c.p.p.

Cassazione Penale, Sez. VI, 16 maggio 2025 (ud. 15 aprile 2025), n. 18954
Presidente Fidelbo, Relatore Capozzi

Segnaliamo ai lettori, in tema di estradizione, la sentenza con cui la sesta sezione penale si è pronunciata in tema di “perenzione della misura cautelare” a seguito di arresto provvisorio a fini estradizionali (ex art. 715 comma 6 c.p.p. nonché artt. 12 e 16 Convenzione Europea di estradizione) prendendo posizione, in particolare, sulla necessità che, tra i documenti che lo Stato richiedente deve trasmettere entro il termine di 40 giorni dall’arresto, vi debba necessariamente essere anche il provvedimento di arresto originario – sulla base del quale l’estradando era stato arrestato, in Italia, a fini estradizionali – non potendo a tale fine essere considerati sufficienti ordini di arresto successivi all’arresto provvisorio (ma precedenti alla presentazione della richiesta estradizionale).

Prima di entrare nel merito della questione, i giudici di legittimità hanno richiamato alcuni principi ormai consolidati nella giurisprudenza, secondo cui:

– in tema di estradizione per l’estero secondo la normativa prevista dalla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, la misura coercitiva provvisoriamente applicata ex 715 cod. proc. pen. deve essere revocata se, allo scadere del termine massimo di quaranta giorni decorrente dall’arresto, la domanda di estradizione, corredata dai documenti giustificativi, non sia stata indirizzata dal Ministero della Giustizia dello Stato richiedente al Ministero della Giustizia italiano, ovvero non sia stata trasmessa per via diplomatica, a nulla rilevando che nel medesimo termine non sia intervenuta anche l’estradizione;

– il mancato arrivo della documentazione allegata alla domanda di estradizione entro il termine di quaranta giorni dall’applicazione della misura cautelare, comporta la revoca del provvedimento coercitivo, senza dispiegare alcun effetto sull’ulteriore corso della procedura estradizionale;

– se si considera che anche l’art. 700 c.p.p. prevede espressamente che l’estradizione è consentita solo se alla domanda risulta allegato il provvedimento giurisdizionale che costituisce il titolo giudiziario della richiesta, deve affermarsi che dalla norma convenzionale e dalle norme codicistiche nazionali si evince il principio generale per cui nella procedura estradizionale, quale che sia la situazione procedimentale che le ha dato in concreto origine, non è mai consentito il protrarsi della misura cautelare oltre i quaranta giorni in mancanza dei documenti indicati dall’art. 700 c.p.p. e art. 12, comma 2 Conv. europea, ed in particolare del titolo giurisdizionale straniero restrittivo;

– l’inosservanza della disposizione contenuta nell’art. 201 disp. att. cod. pen., secondo cui le domande provenienti da un’autorità straniera nonché i relativi atti e documenti sono accompagnati da una traduzione in lingua italiana, non dà a luogo a nullità: ne consegue che è legittima la decisione favorevole all’estradizione richiesta da uno Stato estero, ancorché la domanda e la relativa documentazione non risultino essere stati tradotti nella lingua italiana, osservandosi che la traduzione degli atti nella sola lingua inglese, in luogo di quella italiana, doveva ritenersi consentita dall’art. 23 della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e l’omessa traduzione degli atti trasmessi dallo Stato richiedente non preclude all’autorità giudiziaria italiana di ricorrere all’ausilio di un interprete per colmare le omissioni della traduzione degli atti utili ai fini della decisione da adottare.

I giudici della sesta sezione erano chiamati a pronunciarsi su un ricorso avverso la decisione con cui la Corte di Appello di Milano aveva rigettato una richiesta di revoca della misura cautelare in carcere; richiesta a sua volta fondata sulla ritenuta violazione dell’obbligo di inviare la documentazione richiesta entro i 40 giorni dall’arresto provvisorio, avendo lo Stato richiedente trasmesso, contestualmente alla richiesta di estradizione, un ordine di arresto successivo all’arresto provvisorio (anziché quello precedente).

Ciò premesso, la Corte ha affermato che «la questione posta dal ricorrente, incentrata sulla mancata trasmissione del provvedimento coercitivo alla base della domanda estradizionale, risulta aver decisivo rilievo in relazione all’art. 715, comma 6, cod. proc. pen., dovendosi affrontare la valenza della condizione ivi prevista del pervenimento al Ministero degli affari esteri o a quello della giustizia della “domanda di estradizione e i documenti previsti dall’art. 700“, rispetto alla dedotta mancanza in tale documentazione del titolo cautelare del 28 maggio 2024» (ossia il provvedimento di arresto emesso nello Stato richiedente).

Nell’affermare tale principio, la Corte ha dunque censurato – annullandola con rinvio – la decisione della Corte di Appello di Milano di «non aver risposto» alla richiesta difensiva (basata, appunto, sulla mancata trasmissione dell’ordine di arresto) precisando come tale omissione non potesse ritenersi giustificata:

– né da un «generico riferimento al pervenimento della domanda estradizionale al Ministero della Giustizia» (essendo la questione relativa alla assenza dei documenti allegati alla stessa);

– né dalla mancata traduzione della stessa documentazione in lingua italiana (avendo la Corte di Appello affermato che, essendo i documenti in inglese, avrebbe dovuto aspettare la traduzione in italiano);

– né dal riferimento ad una pretesa corrispondenza dell’atto alle norme di diritto interno della Parte richiedente (trattandosi di argomento «non pertinente», essendo la richiesta difensiva fondata sulla assenza del documento e non sulla sua conformità o meno all’ordinamento interno);

– né, infine, dal riferimento alla possibile esistenza di un istituto di “proroga” della misura cautelare da parte delle autorità dello Stato richiedente (argomento definito «eccentrico» da parte della Suprema Corte).

In conclusione, a fronte di una richiesta difensiva volta a sollecitare il controllo circa la completezza dei documenti trasmessi dallo Stato richiedente entro il termine di 40 giorni dall’arresto dell’estradando – e, in particolare, la necessaria presenza del provvedimento cautelare originario sulla base del quale l’estradando era stato arrestato, pur in presenza di ordini di arresto successivi – «risulta decisivo», ai fini della revoca della misura custodiale, verificare «l’avvenuta trasmissione del provvedimento di cattura (da intendersi come quello originario sulla base del quale era stato chiesto l’arresto provvisorio, ndr) al competente Ministero italiano, in quanto presupposto della domanda estradizionale, stante il concorde disposto dell’art. 16, par. 4, della Convenzione e art. 715, comma 6, cod. proc. pen.».

Redazione Giurisprudenza Penale

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