Trattamento sanzionatorio del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.): depositata la sentenza della Corte costituzionale (83/2025)
Corte costituzionale, 20 giugno 2025, sentenza n. 83
Presidente Amoroso, Relatore Petitti
Come avevamo anticipato, i Tribunali di Taranto, Catania e Bergamo avevano sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, primo e secondo comma, del codice penale, nella parte in cui punisce con la pena della reclusione «da otto a quattordici anni» invece che «da quattro a dodici anni» la condotta di lesioni dalla quale derivi uno sfregio permanente al viso privo di efficacia deformante, nonché nella parte in cui prevede l’automatica applicazione dell’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, in caso di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p.
Con la sentenza n. 83/2025, la Corte costituzionale ha ritenuto le questioni fondate e ha dichiarato:
– l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, primo comma, del codice penale, inserito dall’art. 12, comma 1, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
– l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui dispone «comporta l’interdizione perpetua», anziché «può comportare l’interdizione».
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Pubblichiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa:
Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso: valida la ratio di tutela, ma eccessivamente rigido il trattamento sanzionatorio
Con la sentenza numero 83, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 583-quinquies del codice penale, inserito dalla legge numero 69 del 2019 (“codice rosso”), concernente il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.
In particolare, il primo comma dell’articolo 583-quinquies è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata – reclusione da otto a quattordici anni – sia diminuita, in misura non eccedente un terzo, quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità; il secondo comma dello stesso articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce che la condanna o il patteggiamento per il reato in questione comporta l’interdizione automatica e perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, anziché prevedere che tale pena accessoria sia applicabile facoltativamente dal giudice, in base agli ordinari criteri discrezionali e nel rispetto del limite legale di durata massima di dieci anni.
Accogliendo le censure sollevate dai Giudici dell’udienza preliminare dei Tribunali di Taranto, Bergamo e Catania riguardo al primo comma dell’articolo 583-quinquies, la Corte ha riscontrato la violazione degli articoli 3 e 27, commi primo e terzo, della Costituzione, quanto ai principi di proporzionalità, individualizzazione e finalità rieducativa della pena, per il carattere eccessivamente rigido del trattamento sanzionatorio disposto dalla norma in scrutinio.
La Corte ha sottolineato che l’inasprimento sanzionatorio operato dal legislatore del “codice rosso” con la trasformazione dello sfregio e della deformazione del viso da circostanze aggravanti del reato di lesione a fattispecie delittuosa autonoma corrisponde a una valida ratio di tutela della persona, attesa la dimensione relazionale e identitaria del volto di ciascuno.
Tuttavia, richiamata la propria giurisprudenza sulla necessità costituzionale di una “valvola di sicurezza”, che consenta al giudice di moderare l’applicazione di pene edittali di notevole asprezza, la Corte ha ritenuto che la stessa necessità si ponga per il nuovo titolo di reato, la cui ampiezza descrittiva è in grado di abbracciare anche lesioni relativamente modeste, talora procurate in contesti di aggressività minore e occasionale, e senza dolo intenzionale, come dimostrato dalla varietà delle imputazioni nei giudizi a quibus.
Al cospetto di un minimo edittale molto elevato e di una gamma multiforme di condotte punibili, la mancata previsione di un’attenuante comune per i fatti di lieve entità – ha osservato la Corte – determina il rischio di irrogazione di una pena eccessiva in concreto, quindi insensibile al giudizio sulla personalità del reo e inidonea allo scopo della sua risocializzazione.
Quanto al secondo comma dell’articolo 583-quinquies del codice penale, la Corte ha rilevato che la notevole latitudine della descrizione tipica del reato in questione comporta che possano a essa ricondursi condotte, più tenui delle altre, rispetto alle quali l’applicazione automatica e la durata indefinita della pena accessoria risultino ingiustificate, onde la necessità costituzionale di rimuovere i caratteri di obbligatorietà e perpetuità della sanzione interdittiva.
Roma, 20 giugno 2025