ARTICOLIDALLA CONSULTADIRITTO PENALEIN PRIMO PIANO

Spaccio di lieve entità: incostituzionale l’esclusione della messa alla prova. Depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 90/2025)

Corte costituzionale, 1° luglio 2025 (ud. 11 giugno 2025), sentenza n. 90
Presidente Amoroso, Relatore Marini

Come avevamo anticipato, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 168-bis del codice penale, 550 del codice di procedura penale e 73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, per violazione degli articoli 3 e 27, comma terzo della Costituzione con riferimento all’esclusione del reato previsto dall’art. 73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 dall’istituto della messa alla prova.

Con la sentenza n. 90/2025, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).


Pubblichiamo, di seguito, il comunicato stampa:

Stupefacenti: sospensione del procedimento e messa alla prova devono essere consentite per il reato di spaccio di lieve entità.
È incostituzionale l’esclusione del reato di spaccio di lieve entità o piccolo spaccio dalla messa alla prova.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 90, depositata oggi, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 168-bis del codice penale, nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, qualificato di lieve entità, previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo unico stupefacenti.
Le questioni sono state sollevate dai Tribunali di Padova e Bolzano, che hanno censurato, in combinato disposto, l’articolo 168-bis, primo comma, del codice penale, l’articolo 550, secondo comma, del codice di procedura penale e l’articolo  3, comma 5, del Testo unico stupefacenti, come modificato dal decreto-legge numero 123 del 2023. Quest’ultimo ha innalzato le sanzioni del reato di piccolo spaccio, prevedendo la reclusione da sei mesi a cinque anni (in luogo dei quattro anni stabiliti in precedenza). Tale innalzamento sanzionatorio ha, così, fissato un massimo edittale superiore alla soglia richiesta dall’articolo 168-bis del codice penale per
l’ammissione alla messa alla prova (istituto che impone, con il consenso dell’imputato, un lavoro annuale o biennale di pubblica utilità, sospendendo il processo penale).
Per i tribunali rimettenti, l’effetto preclusivo determinato dalle norme censurate dovrebbe ritenersi illegittimo per diverse ragioni: sia perché violerebbe il finalismo rieducativo della pena, non permettendo all’imputato di riparare alla propria condotta attraverso un programma appositamente elaborato che riduca il pericolo di reiterazione dell’illecito; sia per disparità di trattamento con il reato di “istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti”. Quest’ultimo reato, nonostante sia sanzionato con una pena detentiva maggiore rispetto al piccolo spaccio nel massimo e nel minimo edittale, rientra, al contrario di questo, tra le fattispecie per cui può
essere disposta la messa alla prova.
La Corte, dopo aver rilevato che la questione non concerne la nuova cornice edittale del reato e aver circoscritto la questione al solo articolo 168-bis, primo comma, del codice penale, l’ha accolta in riferimento all’articolo 3 della Costituzione.
È infatti irragionevole e foriero di disparità di trattamento che, tra i due reati a confronto, l’accesso alla messa alla prova sia precluso per la fattispecie meno grave (il piccolo spaccio), mentre per quella più grave (l’istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti) sia, in astratto, ammissibile. L’esclusione del reato di piccolo spaccio dal perimetro applicativo della messa alla prova ha così determinato un’anomalia, ribaltando la scala di gravità tra le due figure criminose in comparazione, entrambe attinenti alla materia degli stupefacenti e preposte alla tutela dei medesimi beni giuridici.
Peraltro – continua la sentenza – l’esclusione del piccolo spaccio dall’ammissione alla messa alla prova, che coniuga in sé una funzione premiale e una forte vocazione risocializzante, frustra anche le finalità di deflazione giudiziaria che detto istituto persegue, in particolare, per i reati di minore gravità e di facile accertamento, come quello in esame.
Roma, 1° luglio 2025

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com