ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANO

Critiche. Certezze. Perplessità. Osservazioni a prima lettura sul recente decreto legislativo in materia di intercettazioni.

in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 1 – ISSN 2499-846X

E’ stato reso noto il d. lgs. in materia di intercettazione di conversazioni e di comunicazioni.

Come per tutte le leggi le sue sorti sono consegnate nella mani dei suoi protagonisti, polizia giudiziaria, pubblici ministeri, giudici, avvocati, giornalisti, e di come interpreteranno i loro ruoli.

La “prima lettura” suggerisce alcune considerazioni d’impatto.

Una critica: la disciplina del trojan, complice i limiti della legge delega, non affronta le tematiche del suo uso che vada al di là dell’attivazione con microfono su dispositivo portatile. Si lascia, in tal modo, alle procure ed alla giurisprudenza il compito di definire modalità, regole, effetti dell’uso del captatore per le attività di ispezione, perquisizione, sequestro e quant’altro è possibile acquisire con lo strumento de quo.

Una certezza. La disciplina non incide in alcun modo sui poteri di investigazione del pubblico ministero. Se è vero che i reati per i quali è possibile attivare gli strumenti di captazione (ordinari e informatici) non sono intaccati, è vero all’opposto che con riferimento ai reati dei pubblici ufficiali per i reati nei confronti della pubblica amministrazione i poteri di indagini sono stati significativamente ampliati.

Una perplessità. Sicuramente il legislatore ha cercato di tutelare le situazioni di estraneità alle esigenze investigative. In questa prospettiva il ruolo del giudice si configura in termini significativi, dovendo svolgere il ruolo di garante, senza pregiudizio per le istanze investigative, tutelate adeguatamente anche in questo caso.

La garanzia della riferita tutela appare assegnata al c.d. “incidente probatorio” sulle intercettazioni rafforzato dal contraddittorio tra le parti.

Le riferite perplessità riguardano la procedura cautelare. Invero, non esiste un controllo preliminare sulle intercettazioni che il pubblico ministero manda al giudice a sostegno della richiesta delle misure coercitive. Tra queste potrebbero essere ricomprese non solo quelle che il giudice potrebbe ritenere, seppur attinenti ai fatti di cui alle indagini, non significative ai fini delle misure richieste, ma anche i brogliacci contenenti elementi del tutto estranei.

La questione sembra assumere rilievo in considerazione del fatto seppur si prevede ex art. 92, comma 1 bis disp. att. c.p.p. che il giudice, nel caso in cui applichi una misura cautelare, debba restituire al p.m. i verbali delle intercettazioni estranei alle indagini, ai sensi dell’art. 293 c.p.p. si continua a prevedere che alla richiesta del p.m. tutto il materiale allegato debba essere depositato per la difesa con i connessi rischi della loro diffusione.

Da questa prospettiva, non appare sufficiente né il riferimento ai soli brani significativi dei verbali nella richiesta della misura e nell’ordinanza cautelare, nonché nella trasmissione, all’archivio riservato del materiale irrilevante.

A consolidare le critiche va sottolineato che i riferiti verbali estranei, saranno trasmessi, ai sensi del comma 5 dell’art. 309 c.p.p. al tribunale della libertà in caso in cui il soggetto sottoposto a misura coercitiva chieda il riesame, nonché nei successivi passaggi occasionati dal ricorso in cassazione ex art. 311 c.p.p.. Analoghe considerazioni potrebbero essere sviluppate in relazione alla procedura di cui all’art. 310 c.p.p., avviato dal p.m., ove non opera l’art. 92, comma 1 bis, disp. att. c.p.p., non avendo il giudice disposto una misura cautelare.

Non resta che confidare nel senso di responsabilità e di cautela delle procure, per evitare che le esigenze “a sorpresa” delle misure non pregiudichino i diritti dei terzi estranei.

Come citare il contributo in una bibliografia:
G. Spangher, Critiche. Certezze. Perplessità. Osservazioni a prima lettura sul recente decreto legislativo in materia di intercettazioni, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 1