In merito all’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne portatore di handicap
Cassazione Penale, Sez. VI, 30 maggio 2013 (ud. 13 febbraio 2013), n. 23581
Presidente Milo, Relatore Carcano, P. G. D’Angelo (concl. diff.)
La massima
In tema di delitti contro l’assistenza familiare, l’inabilità al lavoro che, ai sensi dell’art. 570, comma secondo, cod. proc. pen., impone al genitore l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta negli artt. 2 e 12 della l. n. 118 del 1971, come totale e permanente inabilità lavorativa.
Il commento
L’obbligo, penalmente sanzionato, di prestare i mezzi di sussistenza ha un contenuto più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civili.
Infatti, in sede civile, il genitore separato è obbligato ex articolo 155-quinquies del codice civile a concorrere al mantenimento del figlio anche dopo il raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimo: obbligo che perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica (Sez., I, civile, 8/2/2012, n. 1773; Sez. VI, civile, 15/2/2012, n. 2171); mentre per i figli maggiorenni, portatori di handicap grave, il comma 2 del citato articolo 155-quinquies prevede l’applicazione delle disposizioni stabilite in favore dei figli minori.
Al contrario, integra il reato di cui all’articolo 570, comma 2, n. 2 c.p. la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza ai figli di “età minore” ovvero maggiorenni “inabili al lavoro”, derivandone che l’inabilità al lavoro del figlio maggiorenne è condizione imprescindibile per la configurabilità del reato e, a tal fine, per “inabile al lavoro” deve intendersi colui che risulti avere una riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura pari o superiore al 74 per cento, legge n. 118 del 1971 e decreto legislativo n. 509 del 1988.
Per l’effetto, la Corte ha annullato la condanna evidenziando come non potesse ravvisarsi la violazione penalmente sanzionata, ma semmai un illecito civile, nel mancato versamento dell’assegno in favore della figlia, pur divenuta maggiorenne, risultando che a questa era stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa solo del 46 per cento.
Ricordiamo che il punto n.2 dell’art. 570, 2° comma c.p. (violazione degli obblighi di assistenza famigliare) prevede che le dette pene si applicano congiuntamente a chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Con la citata sentenza la Suprema Corte vuole rilevare come l’inabilità al lavoro del figlio maggiorenne sia elemento imprescindibile e presupposto di legge necessario per l’integrazione del reato ex art. 570 c.p.. Viene evidenziato, inoltre, il disposto del Decreto Legislativo 509/1988 dal quale emerge, in maniera palese, che il parametro di valutazione dell’inabilità al lavoro è oggettivo e non lascia spazio a dubbi di natura ermeneutica. Secondo la disposizione di legge, infatti, la riduzione della capacità lavorativa non deve essere inferiore al 74%.