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Banca dati del DNA: tra esigenze pubbliche di sicurezza e tutela dei diritti del singolo

Banca Dati DNA
Foto LaStampa.it

La scoperta dei polimorfismi del DNA ha rappresentato un eccezionale elemento di svolta nei meccanismi di conduzione delle indagini preliminari, tant’è che i risultati fondati su tale tipologia di accertamento costituiscono a tutt’oggi la prova scientifica di più ampia applicazione nell’ambito dei procedimenti penali (sia a fini di identificazione personale che di ricostruzione del fatto storico).

A fronte della straordinaria incidenza che gli strumenti investigativi tecnico-scientifici possiedono in ordine all’accertamento della responsabilità penale – giacché, avendo per lo più ad oggetto attività per loro natura irripetibili, le relative risultanze sono destinate a confluire direttamente nel fascicolo di cui all’art. 431 c.p.p. e quindi a fondare il convincimento del giudice – si pone tuttavia la necessità di stabilire entro quali limiti ed in che misura le esigenze di efficienza del processo penale possano legittimare quelle restrizioni delle garanzie individuali che tali tipologie di indagini inevitabilmente determinano.

All’esigenza di garantire un efficace bilanciamento tra esigenze pubbliche di sicurezza da un lato e tutela della riservatezza dall’altro, sembra ispirarsi la L. n. 85/2009, di autorizzazione all’adesione dell’Italia al Trattato di Prum, la quale – con il preciso obiettivo di porre rimedio alla precedente insufficienza legislativa in materia di impiego processuale del dato genetico – è intervenuta  a disciplinare in maniera compiuta la materia degli “accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale“, nonché a regolamentare per la prima volta in maniera analitica e completa la creazione ed il funzionamento della banca dati del DNA ad uso forense, intesa quale luogo di raccolta di profili genetici a scopo identificativo. Attraverso tale organismo, invero, si è voluto arginare il fenomeno costituito dall’utilizzo di fatto, nella prassi investigativa, di archivi elettronici non ufficiali, ossia non disciplinati dalla legge né circa le modalità di tenuta delle informazioni catalogate, né circa la loro successiva utilizzazione processuale e/o distruzione, pertanto svincolati da qualsiasi controllo.

Due sono gli organismi inediti che il Legislatore del 2009 ha provveduto ad introdurre: la Banca dati nazionale del DNA, istituita presso il Ministero dell’Interno (Dipartimento della pubblica sicurezza) ed il Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, istituito presso il Ministero della Giustizia (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), la prima deputata alla raccolta di profili del DNA e nel raffronto tra tali profili genetici a fini di identificazione, ed il secondo alla tipizzazione del profilo genetico dei soggetti ristretti nella libertà personale (profili successivamente trasmessi alla banca dati), nonché alla conservazione dei campioni biologici da cui sono tipizzati i predetti profili.

Numerose sono le disposizioni contenute nella legge de qua dettate al preciso scopo di garantire la tutela del diritto del singolo a mantenere il controllo sull’utilizzo e sulla circolazione di informazioni attinenti alla propria persona, recte di limitare l’accesso alla conoscenza dei caratteri ereditari del soggetto sottoposto all’esame del DNA e di tuta la sua linea parentale o “cerchia biofamiliare”. Dal momento che il patrimonio genetico di ogni individuo, pur essendo unico, è il risultato della confluenza dei patrimoni genetici di padre e madre e contiene caratteri comuni ad entrambe le linee parentali, infatti, la portata informativa del dato genetico èsuscettibile di estendersi anche a soggetti diversi da quello sottoposto all’accertamento.

A tal fine viene introdotta la previsione di organi e forme di controllo sull’attività dei due predetti organismi: si pensi al Garante per la protezione dei dati che svolge funzione di controllo sulla banca dati del DNA ed al Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV) che vigila sul laboratorio centrale. Ulteriori forme di controllo derivano dalla previsione di un obbligo di informazione al Parlamento da parte dei Ministri dell’Interno e della Giustizia, con frequenza annuale, sulle attività svolte nel periodo di riferimento sia dalla banca dati del DNA e dal laboratorio centrale, nonché da quelle norme che, pur perseguendo propriamente finalità diverse, purtuttavia, conseguono il medesimo risultato pratico di assicurare la tutela della privacy dei soggetti cui si riferisce il profilo genetico. Si pensi, ad esempio, alla disciplina di cui all’art. 11 della legge in parola che prevede, tra le altre cose, che oggetto di analisi siano esclusivamente le sequenze del DNA che non consentono l’identificazione delle patologie da cui può essere affetto l’interessato, o ancora alla disposizione di cui all’art. 12, che introduce una disciplina differenziata per il trattamento e l’accesso ai datiarchiviati nella banca dati del DNA rispetto a quelli contenuti nel laboratorio centrale, in virtù della diversa portata informativa del campione biologico rispetto a quella propria del profilo genetico. I successivi commmi dello stesso art. 12 introducono un meccanismo  finalizzato a consentire la c.d. “tracciabilità”  dei dati e dei campioni biologici, stabilendo che il trattamento e l’accesso ai dati conservati nella banca nazionale e nel laboratorio centrale possono essere effettuati solo da operatori espressamente autorizzati e con modalità tali da assicurare l’identificazione dell’operatore e la registrazione dell’attività; dev’essere inoltre assicurata la registrazione di ogni attività riguardante i campioni bilogici. L’ultimo comma pone, infine, in capo ai soggetti titolari del trattamento dei dati l’obbligo, penalmente sanzionato, del segreto per gli atti, i dati e le informazioni di cui sia venuto a conoscenza a causa o nell’esercizio delle proprie funzioni.  Sono inoltre previsti specifici meccanismi e tempi di cancellazione dei profili genetici dalla banca dati e di distruzione dei relativi campioni biologici conservati nel laboratorio centrale ovvero in laboratori diversi.

E’ dunque evidente l’enorme pregio della normativa introdotta nel 2009 che, tracciando un’inedita regolamentazione processuale del prelievo coattivo di materiale biologico da persona vivente, ha il merito di aver offerto a tale questione delle valide soluzioni – troppo a lungo attese – individuando nell’organo giurisdizionale il baricentro del meccanismo normativo in materia di accertamenti invasivi, e ripristinando quegli equilibri delineati dall’art. 13 Cost. sovvertiti con le modifiche del 2005.

Purtuttavia, la normativa de qua non appare immune da censure ed  imperfezioni: in primis la mancata regolamentazione dei profili genetici archiviati nelle banche dati “non ufficiali” esistenti presso i corpi di polizia. A questo proposito bisogna infatti evidenziare che, a fronte dei continui richiami operati dal Garante per la protezione dei dati personali affinchè tali database si conformino quanto meno alle disposizioni contenute nel c.d. “Codice della privacy”, si è registrato un orientamento di segno opposto della Suprema Corte (Cass., Sez. V, 5 febbraio 2007, n. 4430, Vulicevic ed altro, in Ced. 235969) secondo la quale  “non è inutilizzabile, in mancanza della violazione di un divieto di legge, l’accertamento sull’identità dell’indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti in un archivio informatico che la polizia giudiziaria abbia istituito prescindendo dalle cautele previste dal Codice della privacy“.