Turbativa d’asta: il provvedimento cautelare emesso dal GIP di Lodi nei confronti del Sindaco
Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lodi, Ordinanza del 3 maggio 2016
Dott.ssa Isabella Ciriaco
Si rende noto che l’Ufficio GIP di Lodi ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’attuale Sindaco di Lodi e di un avvocato, consigliere dell’Associazione sportiva risultata formale assegnataria della gestione di due piscine comunali, che di fatto sarebbero state gestite insieme a una seconda associazione (in crisi economica) il cui Presidente ricopriva altresì la carica di consigliere presso l’Associazione risultata assegnataria della gara.
Tenendo conto che le indagini sono attualmente in corso, stando alla ricostruzione dell’Accusa – che ha iscritto la notizia di reato a carico del Sindaco per il delitto di turbativa d’asta ex art. 353 c.p. in concorso con il consigliere dell’Associazione – ci si limita a segnalare, come riportato anche dalle principali testate giornalistiche che si stanno occupando della vicenda, che “le modalità applicate per pubblicare il bando e il contenuto dello stesso, la spropositata prevalenza data, in termini di punteggio, al radicamento sul territorio e al bacino di utenza degli impianti, svuotando di valore la “valenza economica dell’offerta” o il progetto per gli investimenti e recupero degli impianti, dimostrano come tutta la predisposizione del bando e la procedura seguita per l’aggiudicazione dei due impianti comunali – che ne garantisce la gestione per i prossimi sei anni – sia stata dettata da fini particulari e soggettivi a tutto discapito del primario interesse pubblico e della collettività ad avere degli impianti efficienti e ben mantenuti e con la migliore e più fruttuosa gestione possibile, anche per le casse dell’ente proprietario. La manovra attuata ha permesso allo S.L. di ottenere sostanzialmente de plano, dietro una parvenza di gara, la gestione esclusiva e monopolistica di tutti gli impianti natatori della città, con le conseguenze di ottenere costante e sempre nuova linfa economica da spartire con la indebitata W.B.” (p. 22).
A detta del GIP laudense, tali condotte integrano l’art. 353 c.p., il quale può dirsi integrato in presenza di un “accordo collusivo tra il soggetto preposto alla gara ed uno dei partecipanti alla stessa” (p. 22) ove “la collusione va intesa come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte mentre il mezzo fraudolento consiste in qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato, che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale, dato che la fattispecie si qualifica come reato di pericolo” (p. 22).
Non può invece trovare spazio applicativo l’art. 353-bis c.p. introdotto dal legislatore penale “al fine di evitare ogni vuoto di tutela, incriminando anche quei tentativi di condizionamento a monte degli appalti pubblici che risultino, ex post, inidonei ad alterare l’esito delle relative procedure” (p. 22).
Ripercorrendo l’insegnamento di Cass. 47444/14, il GIP di Lodi ribadisce che “i comportamenti precedenti la emissione del bando quando questi siano orientati alla manipolazione dell’atto genetico della gara, trovano l’unico riferimento nell’art. 353 c.p….gli atti volti ad orientare il bando per aderire alle caratteristiche dell’impresa che intende aggiudicarsi l’appalto possono essere considerate estranee all’area di applicazione dell’art. 353 c.p. solo qualora la gara non venga indetta o il bando non si presenti in concreto influenzato dai comportamenti contestati a produrre la turbativa. Diversamente, se il bando viene emesso e risulta coerente con le manipolazioni contestate, il reato previsto dall’art. 353 c.p. deve considerarsi integrato in quanto la libertà di concorrenza che è il bene protetto, patisce un’evidente compressione essendo stato minato fin dalla fase precoce della individuazione dei requisiti per la partecipazione alla gara” (p. 23).
Per quanto la notizia sia di indubbio interesse mediatico, si ritiene tuttavia opportuno non pubblicare il provvedimento di applicazione delle suddette misure, in considerazione della natura cautelare e non definitiva dello stesso, al fine di non ledere il diritto alla riservatezza personale ed il diritto alla difesa degli indagati.