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Banca dati del dna: note a prima lettura all’indomani dell’entrata in vigore del DPR 7 Aprile 2016 n. 87

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 9 – ISSN 2499-846X

Premessa

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Matteo Renzi e dei Ministri della giustizia Andrea Orlando, dell’interno Angelino Alfano, della salute Beatrice Lorenzin e del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, ha approvato in data 25.3.2016 in attuazione della legge n. 85 del 2009, in esame definitivo, un decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento che disciplina l’istituzione, le modalità di funzionamento e di organizzazione della Banca dati del DNA e del Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA.

La Banca Dati è stata collocata nel Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, mentre il Laboratorio centrale si trova nel Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Sempre all’interno del Dap, è stato istituito un ufficio a cui sono affidati l’organizzazione e il funzionamento del Laboratorio, le relazioni con l’autorità giudiziaria e i servizi di polizia giudiziaria.[1]. Il regolamento è in vigore dal 10 giugno 2016.

1. Quadro normativo di riferimento; la legge 30 giungo 2009 n.85

La legge n. 85 del 2009, emanata in seguito all’adesione dell’Italia al Trattato di Prum del 2005, ha regolamentato la materia del prelievo coattivo di materiale biologico introducendo all’interno del codice di procedura penale il nuovo art. 224-bis c.p.p.:

«Art. 224-bis. – Provvedimenti del giudice per le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale.
1. Quando si procede per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni e negli altri casi espressamente previsti dalla legge, se per l’esecuzione della perizia è necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su 22 persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici, e non vi è il consenso della persona da sottoporre all’esame del perito, il giudice, anche d’ufficio, ne dispone con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva, se essa risulta assolutamente indispensabile per la prova dei fatti.
2. Oltre a quanto disposto dall’articolo 224, l’ordinanza di cui al comma 1 contiene, a pena di nullità: a) le generalità della persona da sottoporre all’esame e quanto altro valga ad identificarla; b) l’indicazione del reato per cui si procede, con la descrizione sommaria del fatto; c) l’indicazione specifica del prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti; d) l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia; e) l’avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l’accompagnamento coattivo ai sensi del comma 6; f) l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora stabiliti per il compimento dell’atto e delle modalità di compimento.
3. L’ordinanza di cui al comma 1 è notificata all’interessato, all’imputato e al suo difensore nonché alla persona offesa almeno tre giorni prima di quello stabilito per l’esecuzione delle operazioni peritali.
4. Non possono in alcun caso essere disposte operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, ovvero che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità.
5. Le operazioni peritali sono comunque eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto. In ogni caso, a parità di risultato, sono prescelte le tecniche meno invasive.
6. Qualora la persona invitata a presentarsi per i fini di cui al comma 1 non compare senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporre che sia accompagnata, anche coattivamente, nel luogo, nel giorno e nell’ora stabiliti. Se, pur comparendo, rifiuta 23 di prestare il proprio consenso agli accertamenti, il giudice dispone che siano eseguiti coattivamente. L’uso di mezzi di coercizione fisica è consentito per il solo tempo strettamente necessario all’esecuzione del prelievo o dell’accertamento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 132, comma 2.
7. L’atto è nullo se la persona sottoposta al prelievo o agli accertamenti non è assistita dal difensore nominato».

Il nuovo procedimento che disciplina il prelievo coattivo [2] di materiale biologico,  ha messo finalmente la parola fine a tutta una serie di problematiche connesse alla spasmodica ricerca di una sua interpretazione “costituzionalmente orientata” ed a cui la giurisprudenza, nel corsi degli anni, ha dovuto porre rimedio.[3]

Ispirato ai criteri di proporzionalità, residualità e gradualità, il prelievo, infatti, viene limitato a quelle sole ipotesi di reato di gravità medio-alta. L’accertamento, inoltre, viene disposto solo quando sia “assolutamente indispensabile per la prova dei fatti” (c.d. extrema ratio). La norma, infine, ha inteso privilegiare la via dell’accertamento con il consenso dell’indagato e, solo ove questo non sia possibile, disporre l’accertamento meno invasivo.

Ad una prima lettura, la norma ha posto una serie di questioni interpretative; anzitutto va precisato come l’elencazione contenuta nel 1° comma (ovvero peli, capelli, saliva) non debba considerarsi tassativa. Ciò in quanto la norma fa espresso riferimento anche agli “accertamenti medici” e quindi, in generale, apre la strada a tutta una serie di attività che, seppur non meglio specificate,  attengono in ogni caso al carattere medico dell’accertamento che quindi potrà essere disposto su ogni tipo di campione biologico suscettibile di essere prelevato (o semplicemente lasciato/consegnato dal sospettato).

La norma tuttavia non disciplina tutta una serie di particolari ipotesi che potrebbero in qualche modo limitarne l’ammissibilità: si pensi ad esempio l’ipotesi in cui il prelievo abbia ad oggetto donne incite o persone affetta da patologie particolari. Va comunque segnalata la prescrizione, seppur generica, del comma 4,  “Non possono in alcun caso essere disposte operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, ovvero che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità”.

Ci si è interrogati, infine, sulla possibilità di procedere a prelievi coattivi su persone diverse dall’indagato. La risposta non può che essere affermativa; il comma 3 dell’art. 224-bis del c.p.p. distingue infatti tra “persona interessata al prelievo” e “imputato” lasciando chiaramente intendere che l’accertamento non riguardi solo quest’ultimo estendendosi, ove occorra, anche ad atri soggetti seppur non formalmente indagati. Va da se che, in questi casi, l’esperibilità della procedura di prelievo coattivo viene giustificata solo dalla assoluta indispensabilità dell’adempimento e non ad esempio dall’esistenza di  una serie di indizi a carico dell’interessato.

Di particolare interesse è invece la problematica del familial searching, molto in voga negli ultimi anni sorattutto nell’ambito dei processi di alto impatto mediatico; essa, come si intuisce,  consiste nell’ indagine genetica condotta a carico di un soggetto avvalendosi di materiale biologico proveniente dai suoi più stretti congiunti. Sul punto si è osservato come la strada dell’accertamento coatto non appare percorribile. L’ordinamento infatti riconosce al prossimo congiunto una serie di diritti e facoltà[4]  che trovano la proprio ratio nella necessità umana di tutelare il vincolo familiare;  pertanto, una lettura sistematica ci impone di escludere la possibilità dell’accertamento coatto sui prossimi congiunti dell’indagato.

1.2 Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi.

Quanto sopra detto attiene ovviamente alla perizia. Il prelievo coattivo come atto di indagine viene invece disciplinato dal nuovo art. 359-bis c.p.p introdotto sempre della  legge 85 del 2009.

Art. 359-bis. – (Prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi). 
1. Fermo quanto disposto dall’articolo 349, comma 2-bis, quando devono essere eseguite le operazioni di cui all’articolo 224- bis e non vi è il consenso della persona interessata, il pubblico ministero ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che le autorizza con ordinanza quando ricorrono le condizioni ivi previste.
2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato contenente i medesimi elementi previsti dal comma 2 dell’articolo 224-bis, provvedendo a disporre l’accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, ovvero l’esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona comparsa rifiuta di sottoporvisi. Entro le quarantotto ore successive il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari la convalida del decreto e dell’eventuale provvedimento di accompagnamento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone avviso immediatamente al pubblico ministero e al difensore.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, le disposizioni degli articoli 132, comma 2, e 224-bis, commi 2, 4 e 5, si applicano a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità delle informazioni così acquisite. Si applicano le disposizioni di cui al comma 2 dell’articolo 191”.

Trattasi come anticipato di un procedimento messo a disposizione del Pubblico Ministero nel corso delle indagine a scopo “identificativo” e strutturato sulla falsariga del procedimento cautelare personale: l’iniziativa spetta al PM e l’autorizzazione al Giudice per le indagini preliminari.

Tornando alla fisionomia generale, va detto che l’efficacia delle relative garanzie resta pregiudicata dall’inciso iniziale della norma: “fermo quanto disposto all’art. 349 comma 2-bis”. Quindi la polizia giudiziaria può ancora prelevare materiale biologico coattivamente, fuori da ogni necessità urgente, in base alla mera autorizzazione del PM e senza alcuna convalida giudiziale.

2. Schedatura genetica di una persona. Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA. Il nuovo regolamento ( DPR 7 aprile 2016, n. 87)

2.1 I soggetti passivi dell’accertamento e lo modalità esecutive.

All’indomani dell’entrata in vigore del regolamento la percezione che si ha è quella di una vera e propria rivoluzione copernicana che ha l’evidente ambizione di modificare il concetto di indagini per come lo conosciamo oggi. Alla stregua delle più avvincenti criminal series l’idea di fonda da cui muove il legislatore è quella “schedare” in via preventiva una parte della popolazione, sulla base dei criteri di cui all’art.9 della legge che individuano una sorta di  presunzione di responsabilità, al fine di consentire una più efficiente e  rapida attività investigativa nel prossimo futuro.

La schedatura genetica riguarderà infatti:
a) i soggetti ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari;
b) i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto;
c) i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;
d) i soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo;
e) i soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva.

Viene infine precisato come il prelievo di cui sopra  potrà essere effettuato esclusivamente se si procede nei confronti dei predetti soggetti per delitti non colposi e per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza. Il comma 2 stabilisce, infine, tutta una serie di esclusioni al quale si rinvia.

L’impostazione di fondo, pertanto, vede nella condizione detentiva cautelare o precautelare, per un fatto accertato solo a livello di gravità indiziaria, l’occasione per schedare una parte della popolazione per finalità preventive.[5] Tra l’altro non va sottaciuto che questo è solo uno dei canali di approvvigionamento della Banca dati, che viene implementata anche con profili riguardanti persone del tutto “incolpevoli”. Vale la pena richiamare ancora una volta i reperti acquisiti nell’ambito di qualunque procedimento penale, che non riguardano necessariamente l’indagato (che a sua volta potrebbe essere assolto), e che perfino nei confronti dei terzi possono essere acquisiti coattivamente.

Di fatti l’art. 10 della legge prevede che raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali (artt. 10 e 17) vengano ugualmente trasmessi ed inseriti nella Banca dati. Inoltre, come anticipato, tutti i vari archivi “domestici” già esistenti presso singole forze di polizia e sviluppatisi quindi in una situazione di discutibile legittimità, verranno ugualmente trasferiti alla Banca dati nazionale secondo quanto statuito dall’art. 17[6] del regolamento.

Elemento di novità del regolamento di attuazione in commento è poi la previsione secondo cui ai soggetti sottoposti all’accertamento venga effettuato il prelievo di due campioni di mucosa orale (non più uno) allo scopo di consentire l’eventuale ripetizione della tipizzazione del DNA. E’ previsto, infine, che al prelievo proceda il personale di Polizia Penitenziaria, specificamente formato e addestrato o, nel caso di esecuzione di una misura cautelare, di fermo o arresto e di applicazione di una misura di sicurezza il personale della forza di polizia delegata  all’esecuzione del provvedimento restrittivo, sempre specificamente formato e addestrato[7].

2.2 Accesso alla Banca Dati.

Per quanto riguarda la banca dati, l’accesso è consentito alla polizia giudiziaria e all’autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale, nonché per le finalità di collaborazione internazionale di polizia. Invece l’accesso ai dati contenuti nel laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, pur essendo consentito ai medesimi soggetti e per le medesime finalità, richiede la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Tutti i soggetti in questione non accedono direttamente al sistema, ma interloquiscono per le proprie ricerche con personale autorizzato, che è tenuto al segreto circa le operazioni compiute. Naturalmente ogni accesso deve essere tracciato.[8]

2.3 Cancellazione del profilo genetico.

La cancellazione dei profili del DNA e la distruzione dei campioni biologici è prevista nei seguenti casi: assoluzione con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste, perché l’imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato; a seguito di identificazione di cadavere o di resti cadaverici, e del ritrovamento di persona scomparsa; quando le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione delle disposizioni previste dall’art. 9 L. 85/2009 in tema di prelievo di campione biologico e tipizzazione del profilo del DNA; decorsi i termini stabiliti dall’art. 25 del Regolamento sui tempi di conservazione dei profili del DNA.

Ebbene anche qui, come può intuirsi, non mancano alcuni punti critici dovuti ad una elencazione non proprio felice. Si evidenzia, infatti, come il c.d. diritto alla cancellazione e distruzione del campione è collegato alle sole sentenze di proscioglimento con le tassative formule poc’anzi segnalate. Quindi seguendo l’elencazione fatta dal legislatore, ad esempio, una sentenza “di non doversi procedere”, pur non essendo una sentenza di condanna, non darebbe diritto all’attivazione di tale garanzia. Ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi nell’ipotesi di annullamento di misura cautelare a seguito di riesame.

In ogni caso, e quindi a prescindere dai provvedimenti giudiziari conclusi con formule assolutorie, il termine massimo entro il quale va comunque cancellato il profilo del Dna dall’archivio nazionale è di 30 o 40 anni. Un limite che scende a “non oltre 20 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo”. Le evidenti e connesse problematiche relative alla questione “privacy” sono state, negli ultimi anni, il terreno di maggior scontro per avviare questo nuovo strumento a disposizione degli inquirenti ed è proprio per tale ragione che la Banca Dati è comunque sottoposta al controllo del Garante per la privacy.

Conclusioni

Concludendo e fermo restando alcuni punti critici qui solo accennati, nonché quelli che sicuramente emergeranno nella prima fase c.d. di “rodaggio” , la novella va certamente salutata con favore.

Ad un’attenta analisi criminologica e considerato l’alto tasso di recidiva criminale, la Banca dati andrà infatti a raccogliere proprio i profili di quelle persone tendenzialmente più esposte ad essere coinvolte in futuri reati. Pertanto, vista sotto questa nuova ottica, la nuova Banca dati si presterà non solo a perseguire finalità investigative ma anche finalità di deterrenza; chi verrà sottoposto a misura privativa della libertà personale (sia in base a una sentenza definitiva sia semplicemente in applicazione di una misura cautelare ), subirà come conseguenza automatica anche il prelievo coattivo del DNA e, pertanto, sarà consapevole (o almeno si spera) che nell’ipotesi un cui dovesse commettere un altro reato nell’ambito del quale sarà possibile lasciare sulla scena del crimine tracce biologiche, sarà piuttosto facile accertarne la colpevolezza.

In questo senso non appare revocabile in dubbio come venga in essere una peculiare forma di deterrenza special-preventiva, ovvero diretta ad evitare che il soggetto autore di reati ne commetta ulteriori.

Tuttavia, la principale innovazione rispetto al passato è costituita dalla possibilità di procedere ad una indagine comparativa del profilo genetico anche nell’ipotesi in cui non vi sia nemmeno un sospettato. Nel prossimo futuro, infatti, i campioni biologici rinvenuti sulla scena del crimine potranno essere “comparati” con tutti i profili del DNA presenti nel database della Banca Dati. Evidentemente, l’efficacia della Banca dati sarà direttamente proporzionale alla quantità di dati in essa contenuti per l’ovvia considerazione che all’aumentare di tali dati corrisponde l’incremento delle probabilità di rinvenirvi una corrispondenza.

Pertanto, solo nei prossimi anni, con l’inserimento nella Banca Dati di nuovi profili genetici criminali e nella speranza che non vi siano incidenti di percorso “made in italy”, potremmo valutare l’efficacia di questo nuovo e rivoluzionario strumento di indagini, già da diversi anni in funzione in altri stati membri.


[1]   In Italia da anni esistono delle banche dati di profili genetici istituite autonomamente dalle forze dell’ordine (RIS) e per questo definite “domestiche”. Questi archivi contengono pochi dati, perché sono per lo più relativi al solo materiale raccolto sulla scena del crimine. Inoltre, si tratta di dati spesso anonimi (non associabili ad alcuna identità). Tali banche dati hanno operato fin ora al di fuori delle cautele previste dal Garante per la privacy e senza alcuna regolamentazione normativa (Cfr. Moludrottu – Cangiano “Il prelievo del dna nell’ambiente penitenziario, profili tecnici” in Dottrina e Dibattiti).
[2] Da ora in avanti, per maggiore brevità, semplicemente “prelievo”.
[3] Sull’argomento per approfondimenti si segnalano gli “Appunti per la Relazione” del convegno  “IL PRELIEVO COATTIVO DI MATERIALE BIOLOGICO”  svoltosi dell’ambito “Incontro di Studi Paolo Borsellino Roma 4-8 Luglio 2011” di  Guglielmo Leo.
[4] Si pensi alla facoltà del prossimo congiunto dell’imputato di astenersi dal rendere la testimonianza.
[5] A ben vedere, considerato l’alto tasso di recidiva criminale, la banca dati andrà a raccogliere i profili proprio delle persone tendenzialmente più esposte a essere coinvolte in futuri reati. Ecco perché questa banca dati si presta non solo a perseguire finalità investigative ma anche indirettamente finalità di deterrenza. Chi è sottoposto a misura privativa della libertà personale in base a una sentenza definitiva saprà che, oltre a scontare una pena, subirà il prelievo del DNA e che, se commette un altro reato in cui viene in rilievo la sfera corporale del soggetto attivo, sarà piuttosto facile accertarne la colpevolezza.
[6] Norma che per altro non indica direttamente “gli archivi”, riferendosi piuttosto a singoli profili estratti nel corso di procedimenti penali, così da lasciare spazi per la conservazione di banche dati “parallele” presso le stesse forze di polizia o presso i laboratori più frequentemente incaricati delle indagini genetiche.
[7] Sono previste specifiche modalità di esecuzione : anzitutto il personale che effettua il prelievo ha l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale ; il prelievo viene effettuato tramite un tampone orale a  secco che viene strofinato sulla parte interna della guancia  ovvero  sulle gengive per un tempo adeguato; ogni campione biologico e’ posto in un contenitore separato;  il campione biologico e’ conservato a temperatura ambiente; Infine entrambi  i  campioni  biologici  sono  inviati  al  laboratorio centrale nel piu’ breve tempo possibile in un unico plico chiuso  con sigillo antieffrazione.
[8] La dottrina ha puntualmente posto il problema dell’accesso difensivo, che è questione naturalmente diversa da quella, pure assai seria, del diritto dei singoli di conoscere quale informazioni sulla propria persona sono raccolte, ed a che fine (diritto cd. all’auto-determinazione informativa, che in altri Paesi ha assunto rango costituzionale). Il materiale biologico, secondo alcuni, dovrebbe essere accessibile, come ogni altro reperto in sequestro, a norma del comma 1-bis dell’art. 253 c.p.p. Quindi, il pubblico ministero dovrebbe consentire l’accesso di fronte ad una argomentata richiesta difensiva, e nel caso di rigetto il difensore avrebbe possibilità di proporre ricorso al giudice (TONINI). Quanto ai profili genetici, altri (FANUELE) hanno ritenuto applicabile la norma sulla richiesta di dati alla pubblica amministrazione per finalità di indagini difensive (art. 391- quater). Il regolamento ha risolto la questione introducendo l’art. 33 che concede all’interessato i diritti di cui all’art. 10 della legge 121 del 1981 (Cfr Appunti per la Relazione” del convegno  “IL PRELIEVO COATTIVO DI MATERIALE BIOLOGICO”  svoltosi dell’ambito “Incontro di Studi Paolo Borsellino Roma 4-8 Luglio 2011” di  Guglielmo Leo.

Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Nigro, Banca dati del dna: note a prima lettura all’indomani dell’entrata in vigore del DPR 7 Aprile 2016 n. 87, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 9