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Successione di leggi nel tempo ed esposizione ad amianto: si applica il (più favorevole) regime di prescrizione anteriore all’entrata in vigore della ‘ex cirielli’

in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 5 – ISSN 2499-846X

Cassazione Penale, Sez. IV, 29 marzo 2019 (ud. 23 gennaio 2019), n. 13582
Presidente Ciampi, Relatore Bellini

La presente pronuncia presenta profili di notevole interesse estendendo al settore delle malattie asbesto-correlate il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 40986/2018, in forza del quale «in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole concernente la disciplina della prescrizione e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la disciplina sulla prescrizione vigente al momento della cessazione della condotta (nella specie trattasi di omicidio colposo plurimo, con inosservanza della normativa antinfortunistica in materia di amianto, cui è conseguito il decesso di lavoratori nella vigente della attuale normativa sulla prescrizione (art. 157 cod.pen. come sostituito dalla L. 5.12.2005 n.251)». (p. 37)

Orbene, rilevanti sono le conseguenze pratiche che scaturiscono dall’applicazione di tale principio, solo se tiene conto che la pressoché unanimità delle esposizioni penalmente rilevanti sono state poste in essere «molto tempo prima che entrasse in vigore la nuova disciplina del termine prescrizionale» e molto tempo prima dell’evento lesivo in danno dei lavoratori esposti.

Ragion per cui risulta«necessario verificare quale sia il regime prescrizionale più favorevole nel suo complesso alla luce delle modifiche normative succedutesi tra l’epoca della condotta e dell’evento» fornendo una lettura sistematica delle modifiche normative che hanno coinvolto sia la struttura dell’art. 589 c.p. sia l’istituto della prescrizione.

Esaminando l’evoluzione normativa della prima norma richiamata, occorre subito rilevare che sino al 2006, l’art. 589 c.p. si componeva di tre commi: nel primo era descritta l’ipotesi ‘base’, caratterizzata dal cagionare la morte di una persona; la pena prevista era quella della reclusione da sei mesi a cinque anni, mentre il secondo comma prevedeva un inasprimento del trattamento sanzionatorio, limitato al minimo edittale (la pena, infatti, si elevava al minimo di un anno di reclusione, fermo il massimo di cinque anni) se il fatto era commesso con violazione delle norme sulla disciplina stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Il terzo comma considerava infine l’ipotesi della morte di più persone e quella delle morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, definendo la pena per il concorso formale di reati che così veniva a profilarsi.

Con l’art. 2 della legge 21/02/2006, n. 102, si intervenne sul secondo comma dell’art. 589 c.p., elevando la pena minima prevista per il caso che il fatto fosse commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; tale pena venne fissata in due anni di reclusione, ancora fermo il massimo di cinque anni di reclusione.

Infine, con l’art. 1 d.l. 23/05/2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2008, si elevò invece la pena massima prevista dal secondo comma dell’art. 589 c.p., fissandola in sette anni di reclusione nell’ipotesi in cui il fatto venga commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

In parallelo a tali modifiche, si sono registrate le note modifiche in tema di prescrizione in forza della legge n. 251/2005 (cd. ex-Cirielli), che hanno comportato una rilettura dei termini e delle modalità di computo dei termini prescrizionali.

In questo scenario, non resta che prendere atto che il principio sancito dalla sentenza c.d. Pittalà comporta la necessaria applicazione del (più favorevole) regime prescrizionale vigente all’epoca delle esposizioni penalmente rilevanti, senza che rivesta alcuna rilevanza la normativa vigente al momento dell’evento lesivo.

Di conseguenza, in presenza di esposizioni ad amianto poste in essere in epoca anteriore alla Legge ex Cirielli a cui è conseguito il decesso di lavoratori nella vigenza dell’attuale normativa, i termini di prescrizione non dovranno essere computati secondo il regime dettato dalla l. 5.12.2005, n. 251 [il cui termine si attesta in anni 12, a cui deve essere sommato l’eventuale (ed ulteriore) termine di tre anni in presenza di atti interruttivi], ma piuttosto troverà applicazione il (più) favorevole regime in vigore in epoca anteriore alla ex Cirielli, secondo cui  il termine prescrizionale – previo riconoscimento della prevalenza della circostanza attenuante ex art. 62-bis c.p. sull’aggravante prevista dall’art. 589, comma 2 c.p. – risulta a 7 anni e 6 mesi (cinque anni più due anni e mezzo in caso di atti interruttivi) decorrenti dall’evento morte.

Infatti, «sulla base del regime vigente al momento della consumazione del reato il termine necessario a prescrivere, ai sensi dell’art.157 I, II e VI commi cod.pen. a seguito delle introduzione della legge 5.12.2005 n.251, risulta pari a 12 anni, cui deve essere sommato il termine di tre anni in virtù degli atti interruttivi ai sensi dell’art.161 II comma cod.proc.pen. A tale risultato si arriva partendo dal termine minimo prescrizionale per i delitti stabilito dall’art.157 I comma cod.pen. in quanto la ipotesi aggravata ad effetti speciali di omicidio colposo con inosservanza della disciplina prevenzionistica degli infortuni, che pure assumerebbe rilievo ai sensi dell’art.157 II comma cod.pen., risultava all’epoca (2007) punita con pena non superiore a detto limite. Il termine di sei anni deve peraltro essere raddoppiato ai sensi dell’art.157 VI comma cod.pen. che contempla il reato di omicidio colposo aggravato di cui all’art.589 II comma cod.pen. tra le ipotesi meritevoli di detta rafforzata garanzia volta a impedire la prescrizione di specifici delitti rispetto ai quali è riconosciuto un preminente interesse alla perseguibilità» (pp. 35-36).

«Diverse conclusioni devono invece trarsi con riferimento al regime sul termine prescrizionale riconducibile alla originaria formulazione dell’art. 157 cod.pen. La previgente normativa, con riferimento ai reati puniti con pena non inferiore a cinque anni, come quello in esame, prevedeva un termine prescrizionale di dieci anni che, in ragione dell’aumento massimo previsto per gli atti interruttivi sulla base della medesima disciplina positiva dell’epoca (aumento fino alla metà indicato dall’art.160 cod.pen.), non avrebbe, di per sé, determinato il compimento del termine prescrizionale. Peraltro l’art. 157 II comma cod.pen. nel testo anteriore alle modifiche dell’anno 2005 stabiliva che per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, tenendo altresì conto degli aumenti per le circostanze aggravanti e delle diminuzioni per le circostanze attenuanti e (III comma) in ipotesi di concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti si applicano anche, ai fini del computo della prescrizione, le regole del giudizio di valenza fissate dall’art.69 cod. pen. Dalla applicazione di tale disciplina consegue che, avendo il giudice di appello valutato le circostanze attenuanti (generiche e dell’intervenuto risarcimento del danno) prevalenti rispetto alla circostanza aggravante contestata di cui all’art.589 II comma cod.pen., la pena massima su cui determinare il tempo necessario a prescrivere non deve più essere ricondotta a quella di cinque anni, ma a pena inferiore a cinque anni perché la pena massima irrogabile subisce la riduzione dovuta al giudizio di valenza tra circostanze di segno opposto (nel senso della prevalenza delle circostanze attenuanti che riduce, anche di un solo giorno il limite di cinque anni). Trattandosi quindi di pena inferiore a cinque anni il termine prescrizionale di riferimento non è più di quello dieci anni di cui all’art. 157 n.3 cod.pen., ma quello di cinque anni di cui all’art. 157 n.4 cod.pen. e, tenuto conto dell’aumento della metà previsto per gli atti interruttivi, il termine necessario a prescrivere per la disciplina prescrizionale previgente, risulta pari a sette anni e mesi sei (per una analoga declinazione della relazione tra vecchia e nuova normativa sulla prescrizione, sez.IV, 4.10.2016, n.47082)» (p. 36).

Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Miglio, Successione di leggi nel tempo ed esposizione ad amianto: si applica il (più favorevole) regime di prescrizione anteriore all’entrata in vigore della ‘ex cirielli’, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 5