CONTRIBUTIDIRITTO PENALE

Semel reus, semper reus. Breve commento sul diritto all’oblio e sugli istituti di cui al nuovo art. 64-ter disp. att. c.p.p.

in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 3 – ISSN 2499-846X

1. Il diritto all’oblio come diritto costituzionalmente garantito

Il diritto all’oblio, riconosciuto da tempo dalla giurisprudenza civile, è stato consacrato dal punto di vista penalistico soltanto grazie a C. Cost., 22 settembre 2010, n. 287, che ha avviato un processo di graduale affrancamento di tale diritto dal novero dei diritti della personalità (alla riservatezza, all’onore, all’immagine, alla reputazione, ecc.).

Oggi, il diritto all’oblio appartiene senz’altro al catalogo dei diritti fondamentali dell’individuo ex art. 2 Cost., nel cui ambito ha ormai acquisito autonoma rilevanza quale situazione giuridica soggettiva implicita nella Costituzione.

Copertura costituzionale al diritto all’oblio è offerta anche dall’art. 13 Cost., in quanto la diffusione ingiustificata di notizie lesive della personalità sarebbe idonea a comprimere la libertà di autodeterminazione del prosciolto, e, secondo alcuni, anche dall’art. 27 co. 3 Cost., dal momento che la mancata osservanza del diritto all’oblio influirebbe negativamente sulla capacità del soggetto di recuperare o avviare la propria vita personale e/o professionale.

Presupposto fondamentale per l’esercizio del diritto all’oblio è l’emissione di un provvedimento favorevole all’indagato/imputato, che determina la soccombenza del diritto dello Stato a prevenire e reprimere i reati – diritto che, dall’instaurazione del procedimento penale sino alla sentenza definitiva, è stata esigenza prevalente – rispetto al superiore diritto del prosciolto all’oblio.

In seno al bilanciamento tra contrapposti interessi, infatti, il proscioglimento lato sensu inteso importa la prevalenza del diritto all’oblio sui diritti, ormai recessivi, alla repressione criminale e alla cronaca.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità[1] non ha ristretto l’ambito di operatività del diritto all’oblio alla sola definitività del proscioglimento dell’(ex) imputato, estendendola anche a colui che, condannato in via definitiva, abbia integralmente scontato la pena, a condizione che sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo dalla commissione del reato.

Resta fermo che, al di fuori delle ipotesi di proscioglimento (e, a parere della giurisprudenza, anche delle ipotesi di completa esecuzione della pena accompagnata da un congruo trascorso di tempo), è da ritenersi legittima la diffusione di notizie relative al procedimento penale, tanto per finalità investigative quanto per finalità di cronaca, poiché, in questi casi, il diritto all’oblio è indubbiamente secondario.

Il fulcro del diritto all’oblio attiene alla circolazione di notizie non più socialmente rilevanti e che rappresentano una realtà distorta non (più) rispondente al vero: eventualità che si verifica, come sovente accade, quando la notizia del proscioglimento non viene comunicata (o viene comunicata con minor enfasi), lasciando residuare in rete le sole informazioni inerenti alle indagini svolte, all’arresto, alle misure cautelari applicate, ecc.

Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite civili[2], il diritto all’oblio può lasciare spazio al diritto di cronaca (art. 21 Cost.) e, segnatamente, “alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato”, soltanto laddove ricorrano specifici parametri nel caso concreto, come, ad esempio, la sussistenza di un interesse pubblico e attuale alla riproposizione della notizia, il ruolo rivestito dai protagonisti della vicenda, ecc.

Il diritto all’oblio compete, poi, anche a coloro che, seppur mai formalmente indagati e/o imputati, sono stati comunque associati a soggetti coinvolti in un procedimento penale, così da divenire destinatari di un danno connesso al permanere, all’interno della rete Internet, di notizie soggettivamente lesive, pur disancorate da qualsivoglia provvedimento liberatorio (proprio in quanto, come detto, mai ufficialmente interessati dal procedimento penale).

2. La concreta attuazione del diritto all’oblio

La spinta alla concretizzazione legislativa nazionale del diritto all’oblio è venuta dal Regolamento (UE) 2016/679 (c.d. GDPR) che, all’art. 17, prevede il “diritto alla cancellazione (diritto all’oblio)” in capo all’”interessato” di ottenere la cancellazione dei “dati personali che lo riguardano” da parte del “titolare del trattamento” di tali dati.

Il legislatore, successivamente all’emanazione del D. Lgs. n. 188/2021, di rafforzamento della presunzione d’innocenza, nell’esercizio della delega di cui alla Legge delega n. 134/2021, ha introdotto, con il D. Lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), il nuovo art. 64-ter disp. att. c.p.p., rubricato “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”.

In particolare, la norma di nuovo conio prevede due distinti rimedi, il primo di natura preventiva, il secondo configurato secondo una prospettiva post factum:

– preclusione alla indicizzazione; con tale richiesta, rivolta al “giudice che ha emesso il provvedimento”, l’interessato evita in toto l’indicizzazione del provvedimento attraverso un’apposita annotazione sul provvedimento stesso (“Ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, è preclusa l’indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell’istante”) ad opera della cancelleria del giudice che lo ha emesso; il provvedimento è da ritenersi autosufficiente, in quanto l’indicizzazione non è ancora avvenuta, e, soprattutto, vincolante, non lasciando residuare alcuna discrezionalità in capo al destinatario (“È preclusa l’indicizzazione”); si tratta di una cautela ulteriore rispetto all’oscuramento delle generalità su istanza di parte ex 52 co. 1 D. Lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice privacy); la richiesta è rivolta a tutti i siti che dovessero pubblicare il provvedimento (o dovessero riferire in merito), sicché essi saranno tenuti ad adottare tutte le misure idonee “a sottrarlo all’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalista, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante (Parere del Garante Privacy sullo schema di decreto legislativo attuativo della L. 134/2021);

– deindicizzazione (operazione effettuata sulla rete Internet che NON determina la rimozione/cancellazione di un contenuto quanto, piuttosto, l’impossibilità per gli utenti di accedere tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui si trova quel dato contenuto); con tale richiesta, rivolta sempre al “giudice che ha emesso il provvedimento”, l’interessato ottiene che la cancelleria di tale giudice annoti sul provvedimento la seguente dicitura “Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante”; si ritiene che tale provvedimento non sia autosufficiente, dovendosi a tal fine adire il giudice civile[3]. In questo caso, la richiesta di delisting è da indirizzarsi al motore di ricerca responsabile del trattamento.

Il soggetto legittimato attivo rispetto alle richieste ora esposte è il soggetto beneficiario di una sentenza di proscioglimento, di non luogo a procedere oppure di un provvedimento di archiviazione (ordinanza o decreto).

È bene sottolineare come né la preclusione all’indicizzazione né la deindicizzazione sono in grado di garantire la divulgazione delle notizie riguardanti il soggetto e il procedimento penale la cancellazione totale di esse, dal momento che ciò contrasterebbe sia con le caratteristiche tipiche del c.d. ecosistema digitale sia con diritti e valori costituzionali che, pur affievoliti, non possono essere completamente ignorati.

Scopo dei sopracitati istituti è quello di rendere più difficoltosa la ricerca delle notizie, soprattutto partendo dalle parole chiave relative alle generalità e ai dati sulla persona, impedendo che, dall’esterno di un determinato sito, si possa accedere alle notizie, agendo sulla ‘visibilità telematica’ dell’informazione[4].

Tuttavia, ciò che non viene impedito è che si abbia accesso a tali notizie mediante la consultazione dell’archivio storico di giornali, riviste, blog, ecc.

Una soluzione non esclusa dalla legge – e che, anzi, ben può aggiungersi ai rimedi di cui al nuovo art. 64-ter disp. att. c.p.p. – è quella diretta a far aggiungere, in calce all’articolo e/o alla pubblicazione originaria, una postilla di aggiornamento, che dia puntualmente atto dell’intervenuto provvedimento favorevole all’(ex) imputato.


[1] Cass., Sez. II, 14 ottobre 2020, Ndiaye; Cass., Sez. II, 21 marzo 2017, Seck; Cass., Sez. II, 12 gennaio 2016, Diop.
[2] Cass. S.U. civ., 22 luglio 2019, Sent. n. 19681.
[3] F. GALLUZZO, I danni da processo penale. Rimedi preventivi e successivi, in Problemi attuali della giustizia penale, Wolters Kluwer CEDAM, Milano, 2023, p. 163 ss.
[4] M. MARINI, Oblio, deindicizzazione e processo penale: dal diritto eurounitario alla riforma Cartabia, in Sistema penale (web), Fascicolo 1/2023, p. 27 ss.

Come citare il contributo in una bibliografia:
E. Bergonzi, Semel reus, semper reus. Breve commento sul diritto all’oblio e sugli istituti di cui al nuovo art. 64-ter disp. att. c.p.p., in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 3