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Reati ostativi (art. 4-bis O.P.) e preclusione alla concessione di pene sostitutive delle pene detentive brevi: depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 139/2025)

Corte costituzionale, 29 luglio 2025, n. 139
Presidente Amoroso, Relatore Viganò

Segnaliamo ai lettori la sentenza con cui la Corte costituzionale si è pronunciata – ritenendole infondate – sulle questioni, sollevate dal GUP di Firenze e dalla Corte d’appello di Firenze, dell’art. 59 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, «laddove la norma prevede, in via assoluta, che la pena detentiva non possa essere sostituita nei confronti di imputati infraventunenni di reati di cui all’art. 609 bis c.p. anche quando il giudice ritenga che il rischio di recidiva possa essere salvaguardato dall’applicazione d[i] una sanzione sostitutiva» nonché nella parte in cui «non consente la sostituzione della pena detentiva nei confronti dell’imputato di uno dei reati di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis, secondo comma, c.p.».


Pubblichiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa:

Non è costituzionalmente illegittimo escludere i condannati per reati ostativi dalle pene sostitutive, ma l’esecuzione delle pene detentive deve essere conforme ai principi di rieducazione e di umanità imposti dalla Costituzione.
Rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta, compiuta dalla riforma Cartabia, di non consentire l’applicazione di pene sostitutive alla detenzione ai condannati per i reati indicati nell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (i cosiddetti “reati ostativi”); ma il legislatore e l’amministrazione penitenziaria hanno il “preciso dovere” di assicurare a tutti i condannati a pene detentive “condizioni rispettose della dignità della persona e del principio di umanità della pena”.
Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza numero 139, depositata oggi, che ha giudicato non fondate le questioni sollevate da una giudice per l’udienza preliminare e dalla Corte d’appello di Firenze sull’articolo 59 della legge numero 689 del 1981, come modificata dalla riforma Cartabia.
I giudici dei procedimenti principali dovevano decidere della responsabilità penale di due imputati di violenza sessuale in un caso, e di violenza sessuale di gruppo in concorso con pornografia minorile nell’altro. Dal momento che, in entrambi i casi, la pena applicata in concreto non superava i quattro anni di reclusione, gli imputati – attualmente non sottoposti a misure cautelari – avrebbero potuto beneficiare dell’applicazione di pene sostitutive alla detenzione, se non fosse stato per la preclusione stabilita dalla norma censurata in relazione a tutti i reati ostativi, tra i quali rientrano anche quelli di cui gli imputati sono stati ritenuti colpevoli.
La Corte ha ritenuto anzitutto che la riforma Cartabia, attuata con decreto legislativo, non abbia violato i principi e i criteri direttivi stabiliti nella legge di delega parlamentare, che aveva impegnato il Governo ad assicurare il coordinamento tra l’accesso alle nuove pene sostitutive e le preclusioni stabilite dall’ordinamento penitenziario.
Ha quindi escluso che la disciplina censurata violasse il principio di eguaglianza. Il legislatore ha certamente la possibilità di stabilire, entro i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, a quali tipologie di reato le nuove pene sostitutive possono trovare applicazione. In ogni caso, non può ritenersi vietato al legislatore escludere dalle pene alternative la generalità dei reati ostativi, che sono in via generale di significativa gravità e di particolare allarme sociale; né impedire l’accesso alle pene sostitutive ai condannati per gli specifici reati contestati nei procedimenti principali, in cui non veniva neppure in considerazione la circostanza attenuante della minore gravità del fatto.
Infine, la Corte ha escluso la violazione del principio della finalità rieducativa della pena. Questo principio impone che la pena sia sempre funzionale al reinserimento sociale del condannato, qualunque sia la gravità del reato commesso; ma non esclude che la pena sia funzionale anche ad altre finalità, come la tutela della società contro la residua pericolosità del condannato e la prevenzione generale dei reati. In particolare quest’ultima finalità può giustificare, dal punto di vista costituzionale, l’esecuzione della pena detentiva anche nei confronti di cui non sia (più) giudicato socialmente pericoloso.
La Corte ha peraltro sottolineato come “l’ampliamento del novero delle pene sostitutive e il deciso allargamento delle possibilità di accedervi realizzato con la riforma del 2022 costituisca un passo significativo nella direzione dell’inveramento, da parte dello stesso legislatore, dell’insieme dei principi costituzionali in materia di pena”. Infatti, le pene sostitutive sono “tendenzialmente più funzionali ad assicurare l’obiettivo della rieducazione del condannato: evitando gli effetti desocializzanti del carcere e, assieme, accompagnandolo in un percorso che valorizza lavoro, educazione, rafforzamento dei legami familiari e sociali, occasioni di ripensamento critico del proprio passato, ed eventualmente di riconciliazione con la vittima del reato”.
Un simile percorso legislativo non può però “che procedere gradualmente, anche attraverso sperimentazioni successive”, coinvolgendo “anzitutto i reati meno gravi [e] lasciando al margine quelli che il legislatore – con valutazione non arbitraria né discriminatoria – reputi maggiormente offensivi”. Resta ferma in ogni caso – ha concluso la Corte – la necessità che anche per i condannati per questi reati “la pena detentiva sia eseguita in condizioni e con modalità tali da incentivare o rendere comunque praticabile il percorso rieducativo”.
Condizioni non sempre assicurate, oggi, nelle carceri italiane, dove la situazione di sovraffollamento “rende particolarmente arduo il perseguimento della finalità rieducativa, oltre che lo stesso mantenimento di standard minimi di umanità della pena”.
Roma, 29 luglio 2025

Redazione Giurisprudenza Penale

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