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Caso Almasri: l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale

Corte di Appello di Roma, Sez. IV, Ordinanza, 30 ottobre 2025
Presidente dott. Flavio Monteleone, Giudici dott. Francesco Neri – Aldo Morgigni

Segnaliamo ai lettori, con riferimento al caso Almasri, l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4, 11 e 13 della Legge 20 dicembre 2012, n. 237 (Norme per l’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale), nella parte in cui non prevedono che il Procuratore generale debba formulare le sue richieste e la Corte di appello di Roma debba deliberare sulle stesse anche a seguito di diretta trasmissione delle medesime richieste di cooperazione della Corte.

La questione riguarda, più in particolare, il fatto che, “in mancanza di un atto del Ministro della giustizia che dia seguito alla richiesta della Corte Penale Internazionale di arresto e consegna – trasmettendo gli atti al Procuratore generale – non si consente a quest’ultimo di adempiere all’obbligo di cooperazione con la CPI chiedendo nei confronti della persona ricercata i provvedimenti indicati nella richiesta di cooperazione“.

Tale vulnus all’obbligo di cooperazione con la CPI – si legge nell’ordinanza “non consente a questa Corte di deliberare sulle medesime richieste, che non possono essere presentate dal Procuratore generale non essendo state tramesse dal Ministro della giustizia, sebbene nel caso in esame la richiesta della CPI sia stata oggetto di trasmissione diretta all’Autorità giudiziaria per il tramite dell’INTERPOL“.

La questione di legittimità costituzionale è rilevante, “dovendo essere adottata una decisione per definire il procedimento riguardante una richiesta di cooperazione della CPI non formalmente trasmessa dal Ministro della giustizia ma comunque pervenuta. L’assenza di rimedi – quali quello della possibilità di procedere anche nei casi di trasmissione diretta dandone notizia al Ministro della giustizia – è particolarmente rilevante in considerazione dell’eccezionale gravità dei reati per i quali procede la CPI, trattandosi di crimini di guerra e contro l’umanità che – come nel caso in esame – sono di regola relativi a migliaia di vittime“.

È bene sottolineare – conclude la Corte – “che, per quanto consta dagli altri procedimenti di cooperazione pendenti e definiti presso questa Corte su richiesta della CPI, il Ministro della giustizia ha sempre trasmesso tempestivamente le richieste di assistenza giudiziaria previste dallo Statuto, con la conseguenza che la situazione creatasi nel presente procedimento si pone come un unicum che ne impedisce la definizione, in mancanza della possibilità giuridica di adottare qualsiasi deliberazione in relazione ad un eventuale titolo detentivo riguardante il prevenuto che, ove rientrasse in Italia, non sarebbe assoggettato o assoggettabile ad alcun provvedimento de libertate per giustizia internazionale“.

In conclusione, “la situazione di stallo procedimentale non solo determina le evidenziate violazioni dello Statuto di Roma, ma potrebbe anche costituire una violazione del principio di soggezione del giudice alla sola legge previsto dall’art. 101 secondo comma Cost., in quanto l’attribuzione della discrezionalità politica al Ministro della giustizia nella procedura in esame (conformemente a quanto ritenuto dalla Camera dei Deputati nel diritto vivente dovuto all’esegesi nata dal sopra detto diniego dell’autorizzazione a procedere) assoggetta il giudice ad una scelta discrezionale di natura politica, inibendone l’attività giurisdizionale di adempimento degli obblighi internazionali previsti dallo Statuto di Roma“.

Redazione Giurisprudenza Penale

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