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La Corte di Appello di Perugia si pronuncia sulla legittimazione del Procuratore Generale a proporre appello dopo la pronuncia delle Sezioni Unite (21716/2023)

Corte di Appello di Perugia, Sezione Penale
Ordinanza, 23 giugno 2023 

Segnaliamo ai lettori l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Perugia si è pronunciata sulla legittimazione del Procuratore Generale a proporre appello a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 21716/2023.

Cassazione Penale, Sezioni Unite, 22 maggio 2023 (ud. 23 febbraio 2023), n. 21716

Quesiti:
1 – quali presupposti legittimino il procuratore generale ad appellare la sentenza al sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen.
2 – se l’acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento (art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen.) sia riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado.
3 – se, in assenza delle condizioni per l’appello del procuratore generale di cui all’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione dello stesso possa essere qualificato come ricorso immediato ex art. 569 cod. proc. pen. ovvero come ricorso ordinario ai sensi degli artt. 606, comma 2, e 608 cod. proc. pen. 

Soluzioni:
1 – la legittimazione del procuratore generale a proporre appello avverso le sentenze di primo grado consegue soltanto all’acquiescenza del procuratore della Repubblica quale risultato delle intese o delle altre forme di coordinamento richieste dall’art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen. che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del procuratore della Repubblica in merito all’Impugnazione della singola sentenza.
2 – negativa.
3 – in assenza delle condizioni per presentare appello ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., il procuratore generale non è legittimato a proporre ricorso immediato per cassazione ex art. 569 cod. proc. pen. né ricorso ordinario ai sensi degli artt. 606, comma 2, e 608 cod. proc. pen.

Il principio affermato dal massimo organo di nomofilachia – si legge nell’ordinanza – “è nel senso che la legittimazione del Procuratore generale a proporre appello avverso sentenze di primo grado, qualora non derivi da casi di avocazione ma presupponga l’acquiescenza del Procuratore della Repubblica, consegue necessariamente a intese o altre forme di coordinamento, ai sensi dell’art. 166-bis disp.att, del codice di rito“.

Sia il principio appena ricordato, sia il combinato disposto delle norme richiamate (in primis, l’art. 593-bis cod. proc. pen.), “si fondano sulla ratio evidentemente perseguita dal legislatore: evitare che su una stessa pronuncia vengano a cumularsi atti di impugnazione della parte pubblica, in ipotesi confliggenti o comunque tali da determinare un ingiustificato aggravio nell’organizzazione del lavoro degli uffici giudicanti di secondo grado. Che esistano intese o forme di coordinamento, con modalità e contenuti non preventivabili né sindacabili (come le stesse Sezioni Unite affermano, in sostanza, nell’affrontare la questione devoluta), è tuttavia da considerare indefettibile laddove una possibilità di cumulo di atti di appello sia – ancora – possibile, non già quando si tratti di evenienza esclusa per facia concludentia“.

Ciò chiarito – prosegue la Corte di Appello – nel caso di specie “la sentenza di primo grado fu emessa il 19/02/2021, con termine per il deposito della motivazione fissato in sessanta giorni. Detto termine fu rispettato, con la conseguenza che il P.M. si trovò legittimato a proporre impugnazione entro il 04/06/2021. Nel frattempo, l’avviso al P.g. ai sensi dell’art. 548 cod. proc. pen. avvenne il 26/05/2021, il che comportò per quell’Ufficio la facoltà di impugnare entro i successivi quarantacinque giorni (non oltre il 10 luglio)“. Ciò comporta, ad avviso della Corte, che “se il P.g. avesse voluto appellare la sentenza in esame prima del 4 giugno, sarebbe stato doveroso dare corso a intese o formalizzazioni di ipotesi di coordinamento con il Procuratore della Repubblica, vuoi sulla base di protocolli precedentemente stilati vuoi in relazione al caso singolo: in concreto, dunque, un eventuale atto di impugnazione del Procuratore generale presentato ad esempio il 31 maggio, senza la possibilità di dimostrare l’esistenza di accordi con il P.M. presso il giudice di primo grado, sarebbe stato comunque inammissibile“.

Ma così non è, “giacché l’appello del P.g. fu avanzato il 29 giugno. D’altro canto, è più che ragionevole ipotizzare che lo stesso Procuratore generale prese contezza materiale ed effettiva del contenuto della pronuncia e dei presupposti atti processuali, sulla base dell’organizzazione del lavoro del Sostituto assegnatario, già in data successiva allo spirare del termine per impugnare per il Procuratore della Repubblica: con il risultato di rendere di fatto impercorribile qualsiasi forma di intesa o accordo, dopo quella data, con un P.M. di primo grado che aveva innegabilmente e – appunto, per facta concludentia – prestato acquiescenza al decisum del Tribunale. Esattamente come confermato dal rappresentante del P.g. alla scorsa udienza, quando si limitò a evidenziare di aver preso atto che un appello da parte del Procuratore della Repubblica non vi era stato (e non sarebbe stato più possibile che venisse formalizzato)“.

Sulla base di tali argomentazioni è stata rigettata l’istanza difensiva volta a far dichiarare inammissibile l’appello presentato dal Procuratore Generale.

Redazione Giurisprudenza Penale

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