Evasione e applicabilità dell’art. 385 comma 3 c.p. all’indagato in regime di arresti domiciliari: depositata la sentenza della Corte costituzionale (n. 107/2025)
Corte costituzionale, 15 luglio 2025, sentenza n. 107
Presidente Amoroso, Relatore Patroni Griffi
Come avevamo anticipato, il Tribunale di Pisa aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 385, comma 3, del codice penale – in relazione all’art. 25 della Costituzione – nella parte in cui il diritto vivente prevede che l’indagato possa essere punito per l’evasione dal regime degli arresti domiciliari, nonostante la lettera della norma faccia riferimento esclusivamente all’imputato.
Con la sentenza n. 107/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato la questione non fondata.
Pubblichiamo, di seguito, il testo del comunicato stampa:
Evasione dagli arresti domiciliari: non può esserci distinzione tra la posizione dell’imputato e quella dell’indagato.
La Corte costituzionale, con la sentenza numero 107, depositata oggi, ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 385, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, prevede che l’indagato possa essere punito per l’evasione dal regime degli arresti domiciliari, nonostante la lettera della disposizione faccia riferimento esclusivamente all’imputato.
La questione non è fondata in quanto, all’epoca della formulazione del terzo comma dell’articolo 385 del codice penale, sostituito dall’articolo 29 della legge numero 532 del 1982, il legislatore non poteva che fare riferimento alla nozione di «imputato» prevista dal codice di rito del 1930 all’epoca vigente, al quale era del tutto sconosciuta la figura della persona sottoposta alle indagini e la distinzione tra la fase delle indagini preliminari e la fase processuale in senso stretto. Imputato era, infatti, colui il quale fosse risultato indiziato di reità in qualsiasi fase del procedimento, compresa quella delle indagini.
Pertanto, nel perimetro coperto dal termine «imputato» utilizzato nella disposizione censurata, rientra, al di là del nomen attribuitogli alla luce del nuovo contesto normativo, il soggetto che, secondo il nuovo codice di procedura penale, assume la denominazione di «indagato».
Sicché nessuna lesione del principio di legalità nei termini dedotti dal rimettente è rinvenibile nella disposizione censurata e nell’applicazione che correntemente se ne fa.
Roma, 15 luglio 2025