La Corte Costituzionale sul conflitto tra Silvio Berlusconi e il Tribunale di Milano
Corte Costituzionale, sentenza n. 168, 1 luglio 2013
Presidente Gallo, Relatore Cassese
Come anticipato sul portale (clicca qui per leggere l’articolo), lo scorso 19 giugno, tramite una nota sul sito della Corte Costituzionale, si era appreso che la Consulta aveva respinto il ricorso per conflitto di attribuzione presentato dall’ex premier Silvio Berlusconi nei confronti del Tribunale di Milano, dove era allora in corso il procedimento cui il legittimo impedimento si riferiva.
La vicenda è nota: nel 2010 l’ex premier doveva partecipare ad un’udienza per il processo Mediaset ma non si era presentato per un Consiglio dei Ministri straordinario.
Ieri sono state depositate le motivazioni.
Il punto su cui la Corte è chiamata ad esprimersi è se il Tribunale ordinario di Milano, sezione I penale, nell’esercizio del proprio potere di valutare in concreto l’impedimento dedotto dall’imputato titolare di cariche governative, abbia leso le prerogative costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri per aver applicato la regola sull’onere di “allegazione” relativa al legittimo impedimento, «senza tenere in debito conto il diritto-dovere» dell’imputato di esercitare la funzione di governo, così violando il principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato.
Dopo aver ribadito che sono tre gli aspetti da considerare (il tipo di impegno di governo dedotto dall’imputato quale legittimo impedimento; le indicazioni fornite dall’imputato circa la necessaria concomitanza dell’impegno con un giorno di udienza da lui precedentemente comunicato come utile per la sua partecipazione; la possibilità di valutare in concreto il carattere assoluto di tale impedimento) la Corte non deve decidere se, nel caso di specie, l’impegno dedotto determinasse in concreto impossibilità assoluta a comparire in udienza, perché non è compito proprio, «ma dei competenti organi della giurisdizione, stabilire i corretti criteri interpretativi e applicativi delle regole processuali» (sentenza n. 225 del 2001). Occorre invece verificare, alla luce del principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, se l’autorità giudiziaria abbia leso le prerogative costituzionali dell’organo esecutivo con un «cattivo esercizio» del proprio potere di valutare in concreto il carattere dell’impedimento.
Senza negare che il tipo di impegno dedotto possa costituire in astratto un legittimo impedimento, si nega tuttavia che esso lo sia in concreto, soffermandosi in particolare sul secondo dei tre aspetti sopra indicati, ossia la mancata allegazione da parte dell’imputato «della specifica inderogabile necessità della sovrapposizione dei due impegni»: cioè, da un lato, l’udienza dibattimentale da tenersi il 1° marzo 2010, giorno precedentemente concordato tra le parti il 25 gennaio 2010, sulla base della comunicazione fornita dall’imputato; dall’altro lato, la riunione del Consiglio dei ministri già convocata per il 26 febbraio 2010 e fissata, in data 24 febbraio 2010, per lo stesso 1° marzo.
La mancanza di “allegazioni” circa la necessità di sovrapposizione tra l’impegno dedotto e il giorno di udienza, a differenza di quanto verificatosi in precedenti occasioni, ha determinato l’impossibilità per il giudice di valutare il carattere assoluto dell’impedimento «in quanto oggettivamente indifferibile e necessariamente concomitante con l’udienza di cui è chiesto il rinvio».
Pertanto, in conclusione, fermo restando che il giudice, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, non può invadere la sfera di competenza riservata al Governo, la mancanza di “allegazioni”, da parte dell’imputato, circa la necessità di partecipare a una riunione del Consiglio dei ministri concomitante con un giorno di udienza precedentemente concordato non ha consentito al Tribunale di considerare assoluta l’impossibilità a comparire determinata dall’impegno dedotto quale impedimento.
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