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In tema di errore su legge extrapenale: tra norme integratrici e non integratrici del precetto

Cassazione Penale, Sez. VI, 3 settembre 2012 (ud. 15 giugno 2012), n. 33590
Presidente Agrò, Relatore Di Salvo, P.G. Galasso

Con la pronuncia numero 33590 la sesta sezione penale è tornata a pronunciarsi – aderendo al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità – sull’ambito di applicabilità della disciplina dell’errore su legge diversa da quella penale di cui all’art. 47 comma 3 c.p. ai sensi del quale «l’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato».

Come è noto, tale disposizione ha sempre posto all’interprete il problema di distinguere tra l’errore su legge extrapenale e l’errore sul precetto penale: il problema, in altri termini, di individuare i parametri in base ai quali identificare l’errore su legge extrapenale che si risolve in un errore sul fatto che costituisce reato (al quale si riconoscerà efficacia scusante in base a quanto previsto dall’art. 47 c. 3) e quello che si risolve in un errore sul precetto (al quale si riconoscerà una efficacia scusante limitata in base a quanto previsto dall’art. 5 c.p. nella interpretazione che ne ha fornito la Corte Costituzionale nel 1988).

Con la pronuncia in esame – riguardante l’obbligo di comunicazione alla polizia tributaria delle variazioni patrimoniali da parte del condannato per reati di criminalità organizzata di cui all’art. 30 della legge 13-9-1982 n. 646 – la Cassazione ha nuovamente aderito al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (cd. tesi dell’incorporazione) basato sulla distinzione tra «norme extrapenali integratrici del precetto penale» e «norme extrapenali non integratrici del precetto penale».

Si legge, infatti, nella motivazione come la giurisprudenza abbia tradizionalmente distinto tra  tra norme extrapenali integratrici del precetto (che, essendo in esso incorporate, sono da considerarsi legge penale, per cui l’errore su di esse di regola non scusa, ai sensi dell’art. 5 c.p.) e norme extrapenali non integratrici del precetto (ossia disposizioni destinate in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamate, neppure implicitamente, dalla norma penale) arrivando ad affermare che l’errore che cade su di esse esclude il dolo, generando un errore sul fatto, a norma dell’art. 47 c.p., comma 3 (ex plurimis, Cass., Sez 5 20-2-2001, Martini, Cass. pen. 2002, 3872; Cass, Sez. 6, 18-11-98, Benanti, Cass. pen. 2000, 2636).

Applicando questo criterio al caso di specie – hanno osservato i giudici – anche a voler qualificare l’art. 30 della legge 13-9-1982 n. 646 come una norma extrapenale, appare difficile sostenere che essa non integri il precetto di cui all’art. 31 che non solo la richiama espressamente ma si configura come una norma esclusivamente sanzionatoria della violazione del precetto di cui all’art. 30; ne consegue che la fattispecie incriminatrice risulta dal combinato disposto delle due norme: l’art. 30, norma precettiva, e l’art. 31, norma sanzionatoria.

In conclusione, applicando il criterio della «funzione integratrice del precetto», deve concludersi che l’ignoranza dell’art. 30 della legge 13-9-1982 n. 646 non rileverà come ipotesi di errore su legge extrapenale, bensì come ipotesi di errore su legge penale con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 5 c.p. alla luce della interpretazione fornita dalla nota pronuncia Corte Cost. 364/1988.

Redazione Giurisprudenza Penale

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