ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro la personaDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANOParte speciale

Elementi idonei ad integrare il reato di stalking. Breve analisi di un reato di nuova configurazione.

cortedicassazione10Cassazione Penale, Sez. III, 11 febbraio 2014 (ud. 20 novembre 2013), n. 6384
Presidente Fiale, Relatore Orilia, P.G. Izzo

Massima

Il delitto di atti persecutori – cosiddetto “stalking” (art. 612 bis c.p.) – è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

Il commento

1. La sentenza che si annota contribuisce a definire gli elementi che caratterizzano ed integrano un reato relativamente di nuova creazione, vale a dire il delitto di Atti persecutori, di cui all’art. 612 bis del codice penale.
La decisione trae origine dal ricorso presentato dal Pubblico Ministero avverso un’ordinanza del Tribunale di Brescia con cui si respingeva la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla parte offesa, nell’ambito di un procedimento in cui all’imputato venivano contestate delle condotte integranti, a parere del PM, il reato di cui all’art. 612 bis. Il giudice di merito, infatti, pur riconoscendo un comportamento molesto dell’imputato, posto in essere col mezzo del telefono e caratterizzato dalla molteplicità di chiamate e sms, anche a contenuto minatorio o da atteggiamenti ossessivi, aveva escluso la sussistenza di uno stato di ansia e paura in capo alla vittima in considerazione delle chiamate effettuate anche da quest’ultima all’imputato, suo ex coniuge, e del contesto conflittuale in cui i due versavano, originato dalla crisi della relazione di coppia. La mancanza di tale elemento non permetteva di configurare il reato de quo e di conseguenza di applicare la misura cautelare richiesta dal PM.
La Suprema Corte, basandosi anche sulle sue precedenti pronunce, in particolare una in cui si ribadiva che “la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno” (Cass. Pen, sez. V, 7 maggio 2010, n. 17698), ritiene il ricorso del PM fondato. Secondo gli ermellini, invero, il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.
La sentenza costituisce lo spunto per sviluppare una breve analisi sul reato di cui si discute, ossia quello di Atti persecutori (c.d. stalking).

2. Procediamo con ordine.
Il termine “stalking” è stato importato dal linguaggio venatorio e, letteralmente, si traduce con l’espressione “inseguire furtivamente (la preda)”. In italiano, la definizione più corretta di stalking è stata offerta da Curci, Galeazzi e Secchi nel 2003: “sindrome della molestie assillanti”. Le caratteristiche che devono essere presenti per definire questa sindrome verranno analizzate in seguito. Intanto, risulta evidente a prima facie la peculiarità principale che differenzia questo reato da tutti gli altri: si tratta di un crimine, per così dire, “soggettivo”, cioè che viene descritto dalla percezione che la vittima ha di essere molestata.
La definizione di stalking usata più frequentemente è quella di “una serie di comportamenti diretti ad una specifica persona, tesi alla ricerca ripetitiva di un contatto visivo o fisico, comunicazioni non consensuali, minacce verbali o scritte o una combinazione di comportamenti che causano paura (in almeno due o più occasioni)”.
Tale fenomeno, a ben vedere, non è recente ma anzi assai risalente nel tempo; tuttavia è stato per lungo tempo sminuito dalla società contemporanea e poco considerato, in quanto sottovalutato, dai giuristi. Ultimamente però, a causa della sua diffusività e del forte impatto sociale e mediatico che ha generato, si è iniziato a disciplinarlo e sanzionarlo con delle disposizioni specifiche (DE LUCA, MACRI’, ZOLA, Anatomia del crimine in Italia, Giuffré Editore, Milano, 2013).
Da un punto di vista “storico”, il primo Stato a promulgare una specifica legge di contrasto allo stalking è stato la California, nel 1990. Per quanto riguarda il nostro Paese, invece, sino all’entrata in vigore del d.l. 23 febbraio 2009 n.11, il legislatore italiano non criminalizzava tale reato come autonoma fattispecie di reato: l’unica fattispecie richiamabile – a meno che il comportamento persecutorio non fosse degradato in altri delitti quali, ad esempio, la calunnia (art. 368 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.), le ingiurie (art.594 c.p.), ecc. – era quella prevista dall’art. 660 c.p., rubricato Molestia o disturbo alle persone, in virtù del quale “chiunque, in un luogo aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 616 euro”. Trattasi, pertanto, com’è evidente, di una mera contravvenzione sanzionata con pena alternativa e, di conseguenza, anche oblazionabile ai sensi dell’art. 162 bis c.p. Se ne deduce facilmente la poca efficacia deterrente della norma stessa e della relativa sanzione.
Invero, per circa un decennio, sono stati all’esame del Parlamento italiano diversi disegni di legge aventi come obiettivo la tipizzazione della fattispecie di cui si discute, sul modello delle legislazioni straniere e transoceaniche soprattutto. Da ultimo, il Consiglio dei Ministri aveva approvato, il 22 dicembre 2006, il d.d.l. 2169 recante Misure di sensibilizzazione, prevenzione e repressione contro le violenze e le discriminazioni ai danni di soggetti deboli, il cui testo, inoltre, accoglieva le sollecitazioni contro le discriminazioni di genere e le forme di violenza alle donne ed ai bambini derivanti dalla Raccomandazione del comitato dei ministri degli Stati membri dell’Unione Europea, in materia di protezione delle donne del 30 aprile 2002, nonché la delibera del Parlamento Europeo del 21 aprile 2004 finalizzato all’avviamento di un piano di azione comunitario contro la violenza in generale.
Invero, nella prassi giudiziaria giornaliera, la mancanza di una norma incriminatrice ad hoc, non consentiva di tutelare in maniera adeguata le vittime di atti persecutori, in particolar modo nei casi in cui le condotte moleste poste in essere erano prive, in senso stretto, di componenti minacciose e violente (MABERINO, MABERINO, Lo stalking, in: Il risarcimento del danno non patrimoniale, Parte Speciale Tomo II, UTET Giuridica, Torino, 2009)
Nel 2008 il Governo, su iniziativa del Ministro delle Pari opportunità e di quello della Giustizia, ha presentato un d.d.l. recante Misure contro gli atti persecutori. Ebbene, tale d.d.l. è stato, infine, incluso nel d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, recante per l’appunto Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, convertito nella legge 23.04.2009 n.38.
Il nocciolo della novella è rappresentato dall’art. 7 di tale normativa, il quale, al 1° co., introduce nel codice penale l’art. 612 bis, rubricato appunto Atti persecutori.
Da un punto di vista sistematico, dunque, la disposizione è stata inserita nel codice fra i delitti contro la persona, vale a dire quei delitti la cui repressione mira a tutelare, come bene giuridico, l’incolumità e la libertà morale degli individui: tali beni costituiscono, pertanto, l’oggetto giuridico del reato.
In considerazione della necessarietà di una reiterazione delle condotte ai fini della sussistenza stessa del delitto in esame, quest’ultimo deve essere ricondotto alla tipologia del reato abituale c.d. proprio. Quest’ultimo implica, per l’appunto, per la sua configurazione, la ripetizione di condotte, le quali, qualora poste in essere singolarmente, realizzano un reato diverso (minaccia o molestia, solitamente) e non, come anche si è sostenuto da parte di alcuni, del reato necessariamente abituale, in cui le singole condotte sono, invece, penalmente irrilevanti.
Il reato, ad ogni modo, è di evento: questo vuol dire che occorre verificare l’esistenza di un nesso di causalità fra le reiterate condotte di minaccia o molestia e tre possibili conseguenze alternative, ognuna delle quali è sufficiente a delineare il delitto in parola ma che, se realizzate cumulativamente, fanno parte pur sempre nella medesima fattispecie incriminatrice: la prima condotta consiste nel cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura; la seconda si realizza ingenerando un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da relazione affettiva; la terza ed ultima si estrinseca nel costringere la vittima ad alterare le proprie scelte o abitudini di vita. Il primo tipo di evento presenta il profilo più problematico. Infatti, per soddisfare il requisito di determinatezza, si ritiene debbano essere accertate delle vere e proprie situazioni di disequilibrio psicologico di tipo patologico, dunque obiettivo.
Tenuto conto della natura abituale di tale reato, di cui si è detto poc’anzi, va da sé che il perfezionamento dello stesso si avrà nel momento in cui la condotta reiterata e quella/e precedente/i unitamente saranno idonee a configurare la fattispecie. Ciò porta alla conclusione secondo cui saremo in presenza del reato perfetto qualora il numero delle condotte (uguale o superiore almeno a due) sarà tale da aver provocato le conseguenze previste: ed il tutto rimesso, ovviamente, alla valutazione discrezionale del Giudicante.
Non risolta è, invece, la questione concernente il tempus commissi delicti. Due gli orientamenti sul punto: da un lato, vi è chi identifica il momento della consumazione con quello della prima condotta; dall’altro, chi lo fa coincidere con quello dell’ultimo atto. Il problema, invero, non è di non poco conto poiché non meramente dogmatico ma legato alla questione della successione delle leggi nel tempo. Infatti, ci si domanda se, trattandosi di un reato abituale, tutte le condotte debbano essere commesse dopo tale data o solamente l’ultima, ossia quella decisiva che, unita alle altre commesse in precedenza, tutte insieme vanno a costituire la fattispecie disciplinata dal codice. La seconda soluzione è quella che riceve maggiori consensi.
Non vi sono invece dubbi sulla configurabilità del tentativo: è certamente concepibile il caso dello stalker che, dopo una o più condotte persecutorie, viene bloccato mentre si accinge, con atti idonei e diretti in modo non equivoco, a compiere l’ultima condotta che, unita alle precedenti, configurerebbe il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. (tentativo incompiuto), ovvero, se pure commessa, allorché non si è verificato l’evento ivi previsto (tentativo compiuto).
Uno cenno va fatto all’incipit della norma “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, clausola di sussidiarietà in virtù della quale l’illecito caratterizzato da un maggior disvalore penale viene ad assorbire quello degli atti persecutori. Inutile ricordare che deve trattarsi del medesimo fatto oggetto delle due disposizioni, in cui, appunto, il disvalore della fattispecie più grave assorbe quello della meno grave: in caso contrario troveranno applicazione le note regole che disciplinano il concorso di reati.
Infine, secondo l’archetipo del reato complesso, come disciplinato dall’art. 84 c.p., in virtù del quale “non si applicano le disposizioni sul concorso di reati quando la legge considera come elementi costitutivi (o come circostanze aggravanti) di un solo reato fatti che costituirebbero per se stessi reato”, i reati di minaccia (art. 612 c.p.) e di molestie (art. 660 c.p.) vengono assorbiti nel delitto di atti persecutori (PITTARO, Lo stalking in: Trattato dei Nuovi Danni, diretto da P. Cedon, Vo. 3, CEDAM, Padova, 2011).

3. A conclusione di questa breve disamina, probabilmente vale la pena evidenziare qualche dato epidemiologico e statistico, che conferma la sopraggiunta pervasività del fenomeno. Innanzitutto, va detto che la relazione esistente tra l’autore delle molestie e la vittima può essere estremamente varia: i due soggetti possono già conoscersi, con livelli di intimità diversi, oppure possono essere perfetti estranei l’uno per l’altro, con una “scelta” della vittima puramente casuale. Anche le condotte ed i modi di agire intrusivi e ripetuti che si configurano come molestie possono essere notevolmente differenziati da caso a caso: il dato che accomuna i comportamenti posti in essere è quindi dato dalla fonte di disagio e disturbo quanto mai concreta e reale che colpisce, nel corso della vita, una considerevole fetta di popolazione (dal 2 al 15%).
L’analisi e lo studio delle variabili sociodemografiche realizzata dall’Osservatorio Nazionale Stalking ha mostrato una totale trasversalità del fenomeno. Le percentuali più di rilievo sono il sesso delle vittime: l’80% sono di sesso femminile e quello dei persecutori: circa il 70% di sesso maschile.
La gran parte dei comportamenti petulanti e molesti vengono posti in essere da partner o ex partner, con un’età che oscilla tra i 18 ed i 25 anni (il 55% dei casi) nei casi in cui il motivo scaturente la condotta è un abbandono o un amore rifiutato, ed è superiore ai 55 anni qualora si tratti, invece, di una separazione o di un divorzio.
Nondimeno, sempre l’Osservatorio Nazionale Stalking ha accertato che, in Italia, su trecento delitti commessi fra partner o ex partner, nel 39 % dei casi si tratta di crimini, per così dire, “già dichiarati” in quanto aventi come prologo un periodo più o meno lungo di atti di stalking (MUSCATIELLO, Il cosiddetto stalking, in: Scritti in memoria di Giuliano Marini, a cura di Sergio Vinciguerra e Francesco Dassano, Ed. Scientifica Italiane, Roma, 2010).

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