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Riformulazione della false comunicazioni sociali: la relazione del Massimario della Cassazione

Segnaliamo la pubblicazione, sul sito del Massimario della Corte di Cassazione, della relazione n. 3 del 15-10-2015 dal titolo “La riformulazione della false comunicazioni sociali“.

La questione, secondo le indicazioni della nota del Presidente della Quinta Sezione Penale del 14 settembre 2015, ha ad oggetto la: “interpretazione della nozione di false comunicazioni sociali prevista dai testi degli artt. 2621 e 2622 cod. civ., oggetto della recente riforma introdotta con la legge 27 maggio 2015 n. 69, e sue ricadute sulla attuale configurabilità del reato di bancarotta impropria ex art. 223, comma 2 n. 1, l. fall.”.

Il nuovo assetto dei reati di false comunicazioni sociali a seguito entrata in vigore della l. 27 maggio 2015, n. 69 – si legge nella relazione – è costituito da due fattispecie incriminatrici (artt. 2621 e 2622), caratterizzate entrambe come reati di pericolo e differenziate alla luce della tipologia societaria, e da due norme (artt. 2621 bis e 2621 ter) riferite solo all’art. 2621 e contenenti una cornice di pena più mite per i fatti di “lieve entità” e una causa di non punibilità per la loro “particolare tenuità”.

È stata confermata l’architettura a “piramide punitiva” degli illeciti in materia di false comunicazioni sociali, ma la struttura dell’impianto è fondata da soli delitti, essendosi abbandonato il modello contravvenzionale che caratterizzava la previgente incriminazione contenuta nell’art. 2621 cod. civ. per le aziende non quotate in Borsa, nonché l’illecito amministrativo introdotto nel 2005 all’interno delle figure in questione (l. n. 262 del 2005).

Al livello più basso della piramide si pongono le due meno gravi figure delittuose dei fatti di lieve entità (art. 2621-bis cod. civ.), la cui cornice edittale è da sei mesi a tre anni di reclusione; per la seconda ipotesi di lieve entità, basata sul concetto di imprenditore commerciale non fallibile, è altresì stabilita la procedibilità a querela della società,soci e altri destinatari della comunicazione sociale.

Al gradino intermedio è stato collocato il delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621  cod. civ.

Al vertice della piramide è posto l’art. 2622 cod. civ., con riferimento alle società quotate in Italia o in altri mercati regolamentati dell’Unione Europea (l’art. 2622, comma 2, cod. civ. equipara alle citate società quotate altre tipologie: le società che hanno fatto richiesta di ammissione alla Borsa, le società che emettono strumenti finanziari in un sistema multilaterale di negoziazione, le società controllanti e quelle che fanno appello al pubblico risparmio o lo gestiscono).

La condotta del “nuovo” art. 2621 cod. civ. consiste nella esposizione “nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, (…) fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero” o di omettere “fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore”. In sintesi: i «fatti materiali», non ulteriormente qualificati, sono l’oggetto tipico della sola condotta di esposizione contemplata dall’art. 2622 cod. civ.; diversamente i «fatti materiali rilevanti» costituiscono l’oggetto tipico dell’omessa esposizione nel medesimo art. 2622 cod. civ. e rappresentano anche l’oggetto della condotta tipica – sia nella forma commissiva, sia nella forma omissiva – nell’art. 2621 cod. civ.

Pare fondato ritenere che in posizione centrale delle condotte tipiche vi sia ancora il concetto di “fatti materiali”, ma, a differenza della previgente formulazione è venuto meno – come meglio si dirà nel prosieguo – l’inciso «ancorché oggetto di valutazioni». I “fatti materiali” – oggetto nei tre veicoli (bilanci, relazioni, comunicazioni sociali) della falsità commissiva/omissiva – devono essere connotati altresì sul piano oggettivo della tipicità dal requisito della “idoneità a indurre in errore”, e sul piano soggettivo della tipicità, dal requisito della “consapevolezza” e dalla finalità di conseguire un “ingiusto profitto”.

Per scaricare la relazione, visita il sito del Massimario.

Redazione Giurisprudenza Penale

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