Il concorso esterno in associazione mafiosa dopo la sentenza Contrada (GIP Catania, 12/2/2016)
Tribunale di Catania, Giudice delle Indagini Preliminari, 12 febbraio 2016, ud. 21 dicembre 2015, n. 1077/2015
Dott.ssa Gaetana Bernabò Distefano
Segnaliamo alla attenzione dei lettori la sentenza pronunciata dal GIP del Tribunale di Catania il 21 dicembre 2015 (depositata il 12 febbraio 2016) in tema di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il Giudice, dopo aver riepilogato lo stato della giurisprudenza in tema di concorso esterno, si sofferma su due rilevanti pronunce del 2015 (la pronuncia della Corte Costituzionale numero 48/2015 e la sentenza Contrada della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) ponendosi il quesito se, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, «possa dirsi esistente nell’ordinamento giuridico italiano il cosiddetto concorso esterno in associazione mafiosa».
A tale quesito il Giudice fornisce risposta negativa per le ragioni di seguito sintetizzate (rinviamo, per un approfondimento, alla lettura delle motivazioni).
Segnaliamo al lettore – come si apprende da alcuni articoli di stampa – che la pronuncia in annotazione ha fatto discutere sin da subito all’interno dello stesso Tribunale che l’ha pronunciata, al punto che il presidente dell’Ufficio GIP del Tribunale di Catania ne ha preso pubblicamente le distanze osservando che «la negazione del reato di concorso esterno è una decisione del tutto personale e isolata, poiché tutti gli altri giudici della sezione» lo ritengono «sicuramente ipotizzabile, come più volte stabilito dalla Corte di Cassazione».
Il GIP prende le mosse dalla sentenza Contrada. Nell’ambito del fondamentale principio di legalità, la sentenza CEDU, richiamando la violazione dell’ articolo 7, ha indicato che tale fattispecie di reato è «frutto di una complessa evoluzione giurisprudenziale posteriore all’epoca dei fatti» e ha considerato, inoltre, «il pacifico riconoscimento delle parti del concorso esterno in associazione mafiosa quale figura criminosa di origine giurisprudenziale». Da qui, ha incentrato il proprio ragionamento sul concetto di prevedibilità del reato da parte dell’ imputato all’epoca dei fatti contestati ed ha posto a fondamento della propria decisione la più volte citata sentenza Demitry del 1994.
La sentenza CEDU – si legge in sentenza – ripropone oggi in termini di concreta attualità la tematica della esistenza o meno della figura del reato di concorso esterno in associazione mafiosa all’interno dell’ ordinamento giuridico italiano oppure, come dalla stessa postulato, se tale figura sia una figura di creazione giurisprudenziale, come tale, pacificamente ammessa dalle parti del giudizio europeo. La distinzione è di fondamentale importanza, perché accedendo alla tesi della CEDU deve dichiararsi che non esiste il reato contestato all’imputato per il principio di legalità, essendo il sistema giuridico italiano un sistema di civil law e non già di common law.
Dopo la sentenza CEDU del 2015 – si domanda il Giudice – è dunque possibile ancora oggi parlare di concorso esterno? La risposta che viene fornita, come detto, è negativa.
«La prima volta che tale reato viene citato è nell’ordinanza-sentenza del primo maxi processo contro cosa nostra, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fattispecie ottenuta sommando gli articoli 110 e 416 bis del codice penale, onde perseguire i cosiddetti “colletti bianchi”, soggetti che apportano dei concreti contributi alla attività mafiosa, tra cui Vito Ciancimino. Il riferimento storico non è di poco momento se si considera che l’articolo 416 bis c.p. viene introdotto nel 1982 e il grandissimo intuito di Falcone aveva portato a coprire una zona meritevole di tutela giurisdizionale».
Nel 2015, però, «ci si trova di fronte ad una situazione diversa che ha avuto una notevole evoluzione nel tempo», non potendosi non osservare che «sono passati oltre trent’ anni senza che il legislatore abbia inteso disciplinare questa delicatissima materia nonostante siano stati proposti diversi progetti di legge»
E allora – continua al sentenza – «se i giudici sono soggetti soltanto alla legge occorre una norma di legge affinché il giudice adotti un provvedimento giurisdizionale motivato».
«L’intuizione di Giovanni Falcone e la conseguente creazione di una fattispecie di reato che potesse coprire la zona grigia della collusione con la mafia, oggi non può che essere demandata al legislatore il quale deve farsi carico di stabilire i confini di tali figure di reato secondo precisi criteri di ermeneutica giuridica. Una volta individuata legislativamente tale fattispecie, sarà allora compito dell’interprete capire se il comportamento del singolo individuo vada ricompreso nella figura dell’associato di cui all’articolo 416 bis o meno: il problema non è di poco momento. Soprattutto perché lascia all’interprete il compito di definire qualcosa che, allo stato, non è definibile».
Anzi – afferma il Giudice – «la creazione del cosiddetto concorso esterno, appare (purtroppo) una figura che si potrebbe definire quasi “idealizzata” nell’ambito di un illecito penale così grave per la collettività. Invero, la figura del concorso esterno è stata definita quale “mezza-mafia” con ciò volendosi intendere che un professionista, o addirittura un appartenente alle istituzioni, non possa ontologicamente essere considerato un mafioso, ma un mezzo mafioso si. Un qualcosa di mafia c’è in lui ma non così tanto da volerlo considerare inserito nella compagine criminosa mafiosa, tanto che nei suoi confronti non scatta la presunzione assoluta ai fini della custodia in carcere, per come indicato dalla sentenza Corte Cost., n. 47-2015».
Per avvalorare il ragionamento, il Giudice cita la recente pronuncia della Corte di Cassazione nel processo “Mafia Capitale” (Cass. 21 aprile 2015, n. 34147), la quale ha evidenziato la “nebulosa applicazione” dei canoni individuati dalla giurisprudenza, giungendo ad affermare che “detti canoni, astrattamente ineccepibili, possono in concreto, risultare di nebulosa applicazione“; e che associazione mafiosa e concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi tra loro, concretandosi, nel secondo caso, le condotte in un ausilio occasionale all’associazione.