Violenza sessuale e sequestro di persona: concorso di reati o assorbimento?
Cassazione Penale, Sez. III, 10 marzo 2016 (ud. 10 gennaio 2016), n. 9937
Presidente Amoresano, Relatore Scarcella
1. Si segnala la sentenza n. 9937/2016, con cui la terza Sezione ha confermato i propri precedenti giurisprudenziali sui rapporti tra il delitto di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e quello di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.).
Nel caso di specie, l’imputato veniva condannato dalla Corte territoriale alla pena ritenuta di giustizia, per i delitti di lesioni aggravate, sequestro di persona e violenza sessuale ai danni della propria moglie, esclusa l’aggravante ex art. 61 n. 2 c.p., concesse le attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti e ritenuta configurabile la continuazione tra gli illeciti ai sensi dell’art. 81 cod. pen.: veniva accertato che l’uomo aveva costretto la donna a salire su un’auto, per trasportarla in un luogo ove ella sarebbe stata vittima di violenza sessuale. A tal fine, l’aveva coartata mediante minaccia di iniettarle del veleno per cani con l’uso di due siringhe, una delle quali con ago spezzato.
Nel ricorso per cassazione, esperito tramite i propri difensori di fiducia, l’imputato contestava la violazione di legge consistita nella fallace applicazione dell’art. 605 cod. pen., atteso che il delitto di sequestro di persona avrebbe dovuto tutt’al più ritenersi assorbito nella diversa fattispecie di violenza sessuale, in quanto strettamente strumentale ad essa.
2. Va incidentalmente rammentato come costituisca sequestro di persona[1] ogni condotta consistente nel privare taluno della libertà fisica e di locomozione[2] per un tempo apprezzabile[3], potendo il reato essere compiuto, oltre che con applicazione di forza fisica, mediante atti di coercizione psichica[4] – anche implicita purché seria – a nulla valendo che il sequestrato non tenti di riacquistare la libertà personale, essendo sufficiente che egli patisca sul piano effettuale una impossibilità di recupero delle capacità di movimento[5].
La giurisprudenza si è spesso confrontata con la tematica delle relazioni che tale illecito intreccia con altre ipotesi criminose le quali cagionino contemporaneamente, i.e. all’atto della propria consumazione, una inevitabile limitazione della libertà di movimento del soggetto passivo.
Tra queste ipotesi figura certamente la violenza sessuale, delitto offensivo di un bene giuridico pur strettamente legato alla nozione largheggiante di “libertà personale” e tuttavia da specificare mediante il ricorso al concetto di autodeterminazione in campo sessuale. Va osservato, infatti, come la violenza sessuale, p. e p. all’art. 609 bis c.p., si fondi sulla costrizione o sull’induzione della vittima, ad opera del soggetto agente, a compiere o subire atti sessuali[6], in questo modo patendo una indebita frustrazione della libertà di determinarsi in ordine ai comportamenti concernenti l’uso della propria corporeità in ambito sessuale. Si rammenti che, secondo la tesi più accreditata nella giurisprudenza di legittimità, l’atto sessuale va identificato nell’azione – posta in essere dal reo, dalla stessa vittima (es. atti di autoerotismo), o anche da un terzo che agisca “per conto” del reo – che vada ad interessare le zone (non tanto o non solo genitali quanto, più ampiamente) erogene del soggetto passivo, e che sia retta dalla finalità di appagamento della libidine sessuale dell’agente[7]. Vanno considerati integranti tale elemento strutturale altresì i c.d. atti repentini, vale a dire azioni fugaci ed estemporanee che aggrediscono la corporeità sessuale altrui in assenza di una violenza o minaccia effettive, e tuttavia evitando ex ante ogni possibilità, per la vittima, di opporre il dissenso, a causa dell’impercettibile tempistica caratterizzante la condotta.
Risulta cristallina l’intrinseca capacità della violenza sessuale di realizzare, sul piano della metodologia di perfezionamento, l’indebita privazione della libertà di movimento, atteso che lo stesso compimento degli atti sessuali, in una situazione di “paralisi” psico-fisica della vittima posta in stato di soggezione, cagiona l’effetto vietato dall’art. 605 c.p.
3. Tuttavia, evidenzia la Corte di legittimità, non ogni privazione della libertà personale, pur latamente connessa in via funzionale e/o cronologica alla consumazione di una violenza carnale, è in grado di costituirne elemento essenziale tanto da restare in essa assorbito in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale.
Infatti, in contrasto con le argomentazioni giuridiche addotte dalla Difesa dell’imputato, il Giudice della nomofilachia, dopo aver constatato l’assoluta idoneità della condotta del reo a cagionare un intenso stato di soggezione psichica in capo alla vittima, rammenta – con la sentenza qui annotata – che i rapporti tra il sequestro di persona e la violenza sessuale vanno indagati distinguendo due ipotesi[8]:
a) nel caso di limitazione della libertà personale, presistente alla violenza sessuale e funzionale a generare le condizioni per commettere il successivo stupro, i due delitti concorrono, in quanto la privazione della libertà non è strettamente necessaria alla consumazione del delitto ex art. 609 bis c.p., protraendosi oltre il tempo occorrente per compierlo. Il concorso di reati, asseriscono i supremi Giudici, è in tal caso reso ancor più palese dalla diversità dei beni giuridici coinvolti, libertà di movimento per quanto attiene al sequestro di persona, libertà in ambito sessuale con riferimento alla violenza sessuale.
b) nel caso di perfetta contestualità tra violenza sessuale e limitazione della libertà personale, vale a dire nell’ipotesi in cui la menomazione della sfera di autodeterminazione della vittima discenda proprio dallo stato di coartazione tipico della violenza sessuale e dalla conseguente incapacità della vittima di sottrarsi all’atto riprendendo il governo di sé, è evidente che l’agente andrà condannato esclusivamente per quest’ultimo delitto, restando il sequestro di persona in esso assorbito poiché “degradante” ad elemento strutturale del delitto sessuale.
[1] Marini, voce Libertà personale (delitti contro la), in Noviss. dig. it., App. IV, Torino, 1983, p. 906; Gallo E., voce Sequestro di Persona, in Enc. giur. Treccani, XXVIII, Roma, 1992; Foladore, Osservazioni in tema di sequestro di persona in danno di soggetti minori o incapaci, in Cass. pen., 2002, p. 1423; Brunelli, Il sequestro di persona con finalità tipica: profili storici e dogmatici, in Indice pen., 1990, p. 549; Dalia, Sequestro di persona e arresto illegale, in Enc. dir., vol. XLII, 1990, p. 193.
[2] Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, t. I, Zanichelli, 2011, p. 188 e ss.; Delpino, Diritto penale. Parte speciale, Napoli, 2011, p. 556.
[3] Cass. 15 novembre 1999, in Cass. pen., 2001, p. 172; contra, Cass. 24 gennaio 2005, in CED Cass., n. 231422, secondo cui sarebbe irrilevante la durata della limitazione alla libertà del soggetto passivo.
[4] Secondo Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Giuffrè, 2008, p. 158, «la privazione della libertà nel senso indicato può essere effettuata nei modi più vari: non solo con la violenza (propria o impropria) e la minaccia, ma anche con l’inganno».
[5] Ex multis, Cass. 26 novembre 2014, n. 15443; Cass. 19 aprile 2013, n. 40779; Cass. 13 aprile 2010, n. 28509; Cass. 9 gennaio 1992.
[6] Sulla nozione di “atto sessuale”, sia consentito rinviare a Lombardi, Autoerotismo indotto e reato di atti sessuali con minorenne, in questa Rivista, 24 novembre 2014; Id., Prostituzione “a distanza”: tra analogia ed esigenze sistematico-evolutive, in Cass. pen., 2015, p. 3240; v. amplius, Costanzo, I reati contro la libertà sessuale. Profili sostanziali, probatori e processuali, Utet, 2008, p. 19 e ss.; Goisis, La violenza sessuale: profili storici e criminologici. Una storia ‘di genere’, in Dir. pen. cont., 31 ottobre 2012, p. 16 e ss.
[7] Cass. pen., sez. III, 12 dicembre 2011, n. 45950, in Dir. e giust., 14 dicembre 2011; Cass. pen., sez. III, 22 aprile 2003, n. 18847, in Cass. pen., 2004, p. 2024 ss. Contra, Cass. pen., sez. III, 30 marzo 2000, n. 1405, in Riv. pen., 2000, p. 687, secondo cui «ai fini della configurabilità del reato ex art. 609 bis c.p., è sufficiente e necessario, sotto il profilo soggettivo, l’ordinario dolo generico inteso quale coscienza e volontà di compiere atti di invasione nella sfera sessuale altrui, senza l’ulteriore necessità di quelle finalità particolari quali il soddisfacimento dell’istinto sessuale che non rientrano nella fattispecie tipica»; conf. Corte App. Firenze, 13 aprile 2000, in Foro toscano, 2000, p. 287.
[8] Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 2015, n. 967, in C.E.D. Cass., n. 261638; Cass., 28 maggio 2013, n. 22940; Cass., 18 luglio 2012, n. 22940; Cass. pen., 1 aprile 2008, n. 20279; Cass. pen., 28 gennaio 2005, n. 6775; Cass. pen., 22 settembre 2004, n. 39936.