CONTRIBUTIDiritto Penitenziario

Successione di leggi nel tempo e inefficacia dell’ordine di carcerazione per l’ipotesi aggravata di maltrattamenti ex artt. 572, co. 1, e 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p.

in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 1 – ISSN 2499-846X

Tribunale di Trento, Sezione Incidenti di Esecuzione, Ordinanza, 21 dicembre 2023
Giudici dott. Valeggia (presidente), dott.ssa Schiavo (estensore) e dott.ssa Mancini

Si segnala l’ordinanza del Tribunale di Trento – Sezione Incidenti di Esecuzione del 21 dicembre 2023, con cui i Giudici hanno dichiarato l’inefficacia del provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica di Trento in relazione al titolo di reato di cui all’art. 572, co. 1, c.p., aggravato ai sensi dell’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., con revoca dell’ordine di carcerazione e immediata liberazione del condannato. Secondo il Collegio non è infatti condivisibile la tesi della Procura, vòlta a estendere la portata applicativa dell’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p. oltre le ipotesi tassativamente ivi previste, tra cui quella dell’art. 572, co. 2, c.p.; i titoli di reato preclusivi della sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’art. 656, co. 5, c.p.p. sono, in altri termini, solo quelli indicati dalla lett. a) del comma 9 dell’art. 656 c.p.p., che rimandano o all’art. 4-bis della l. n. 354/1975 o alle ipotesi nominativamente elencate (v. art. 572, co. 2, c.p., 612-bis, co. 3, c.p., 624-bis c.p., per il furto in abitazione).

1. Nel caso di specie il ricorrente era stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv, 572, co. 1, e 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p. alla pena finale di anni due e mesi sei di reclusione. Sulla scorta di tale condanna, quale titolo esecutivo sopraggiunto a un altro già definitivo per mesi quattro di arresto, la Procura ha emesso il provvedimento di unificazione di pene concorrenti, disponendo l’esecuzione della pena complessiva e ordinando la carcerazione del condannato. Secondo la pubblica accusa, l’ipotesi di reato di cui all’art. 572, co. 1, c.p., aggravata dall’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., è da ritenersi ostativa alla sospensione dell’esecuzione della pena, ai sensi della lett. a) del comma 9 dell’art. 656 c.p.p., in quanto vi è sostanziale identità con il diverso comma 2 dell’art. 572 c.p. e, pertanto, nonostante il dettato normativo dell’art. 656, co. 9, lett a), c.p.p. faccia esclusivo riferimento al comma 2, anche il comma 1 dell’art. 572 c.p., purché aggravato dalla circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., risulta essere preclusivo all’accesso alle misure alternative dalla libertà.

2. La sostanziale identità di condotta contenuta nel comma 2 dell’art. 572 c.p. rispetto alla circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p. ha dato origine in effetti a diverse questioni controverse dal punto di vista applicativo e trova la propria genesi in un difetto di coordinamento dovuto al susseguirsi di novelle legislative che hanno interessato più fattispecie dedicate al contrasto della c.d. violenza di genere.

2.1. Il comma 2 dell’art. 572 c.p. veniva applicato, di norma, con un campo limitato, solo alle ipotesi in cui il fatto fosse commesso in danno di persona minore di anni quattordici: con il d.l. n. 93 del 2013, tuttavia, il legislatore, da un lato, eliminò tale comma e, dall’altro, introdusse la diversa e comune circostanza aggravante nel co. 1, n. 11-quinquies dell’art. 61 c.p., che comportava un aumento di pena in caso di commissione del reato di maltrattamenti “in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”.

Avendo abrogato il comma 2 dell’art. 572 c.p., ma nulla avendo disposto il legislatore con riguardo agli effetti di tale abrogazione sulle discipline collaterali, si era creato un vistoso difetto di coordinamento con l’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p., che continuava a disporre, tra le ipotesi preclusive dell’accesso alle misure alternative dalla libertà, proprio l’art. 572, co. 2, c.p.

Per ovviare a tale incongruenza normativa, prassi delle Procure era quella di contestare il nuovo co. 1, n. 11-quinquies dell’art. 61 c.p. e di ritenere tale ipotesi ugualmente ostativa in fase esecutiva, sostenendo che l’abrogazione del comma 2 dell’art. 572 c.p. fosse solo formale, poiché sostituita proprio dalla circostanza aggravante comune prevista dall’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p.

2.2. Sul punto è intervenuta, a più riprese, anche la giurisprudenza di legittimità, che ha evidenziato il diverso tenore letterale dell’art. 572, co. 2, c.p. (“se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici”) rispetto a quello contenuto nell’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p. (“commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”) e ha qualificato come più ampia la condotta descritta dalla circostanza aggravante comune introdotta dal legislatore con il d.l. n. 93 del 2013.

In relazione a tali profili, si è formato un contrasto giurisprudenziale, all’interno della stessa Prima Sezione Penale. La Corte di Cassazione ha affermato che: “la continuità normativa tra l’originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., comma 2, e quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni 14, unico terreno comune ad entrambe le aggravanti. Invece, non rientrano nell’originaria previsione né possono ritenersi richiamate in forma “mobile” o formale, ai fini di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte con l’art. 61 c.p. n. 11 quinquies, trattandosi di nuove ipotesi di responsabilità aggravata, quindi soggette ai principi di tassatività e di irretroattività della legge penale” (Cass., Sez. I, ud. 24.01.2019, dep. 21.03.2019, n. 12653; v. anche Cass., Sez. I, ud. 16.07.2021, dep. 26.10.2021, n. 38359).

Seguendo il ragionamento della Cassazione, nel caso di condanna per il reato di maltrattamenti le Procure avrebbero dovuto emettere l’ordine di carcerazione solo se il fatto, aggravato dall’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., fosse stato commesso “ai danni di minore di anni 14”; al contrario, nel caso più comune di maltrattamenti, aggravato dalla sola circostanza di essere stato commesso “in presenza di minore”, gli organi dell’accusa avrebbero dovuto emettere ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione dell’esecuzione penale, non essendo tale ultima ipotesi ostativa.

Il c.d. “Codice Rosso”, con l. n. 69 del 2019, è intervenuto nuovamente sul reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, apportando due modifiche rilevanti: l’inasprimento delle pene sia del reato base sia delle ipotesi aggravate e la reintroduzione dell’art. 572, co. 2, c.p., in parte riportando il contenuto dell’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., senza, però, coordinare le due fattispecie, ugualmente esistenti e applicabili, e, per di più, senza alterare le disposizioni contenute in discipline collaterali, come – per l’appunto – l’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p.

3. In ragione delle conseguenze sul ricorrente, tra libertà e carcere, è evidente l’interesse nel comprendere l’esatta portata applicativa della lett. a) del comma 9 dell’art. 656 c.p.p. in relazione alla fattispecie aggravata di cui all’art. 572, co. 2, c.p.: nel caso di accoglimento della tesi del c.d. rinvio mobile o formale alla diversa circostanza aggravante comune di cui al co. 1, n. 11-quinquies dell’art. 61 c.p. conseguirà la diretta incarcerazione del condannato con la preclusione dell’accesso da libero alle misure alternative; con l’adesione, invece, alla tesi contraria si avrà l’applicazione della regola di favore di cui al comma 5 dell’art. 656 c.p.p. con la sospensione dell’esecuzione della pena e l’accesso alle misure alternative, senza il passaggio dal carcere.

3.1. Secondo le argomentazioni addotte dalla difesa si tratta di una questione di corretta esegesi del principio di legalità di cui al comma 2 dell’art. 25 Cost. e del parametro convenzionale di cui all’art. 7 CEDU.

Con ordinanza della Corte d’Appello di Bologna si era posta la questione all’attenzione della Corte costituzionale, lamentando l’illegittimità di un’interpretazione estensiva dell’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p. a tutti quei fatti commessi in data precedente all’entrata in vigore della l. n. 69 del 2019 per i quali non era vigente il comma 2 dell’art. 572 c.p.p.: «in riferimento agli art.li 3,13, 25 co. 2, 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU […] dell’art. 656 co. 9 lett. a) c.p.p. nella parte in cui, richiamando l’art. 572 comma 2 c.p., come riformato dall’art. 9 Legge 69/2019, prevede che il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori è ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile tale norma solo ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della Legge 69/2019» (v., sulla questione di legittimità costituzionale avanzata dalla Corte d’Appello Bologna, Sez. I, ordinanza, ud. 26.11.2019, dep. 16.12.2019). In modo analogo a quanto successo per la l. n. 3 del 2019, in tema dei delitti di pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, e il difetto di una previsione intertemporale, con sentenza n. 32 del 2020 la Corte costituzionale ha qualificato come norma sostanziale e coperta dal comma 2 dell’art. 25 Cost. l’art. 656 c.p.p., nei commi 5 e 9, nella misura in cui concorrono a definire la qualità della pena e stabiliscono il confine tra la libertà e il carcere e come tale non può essere suscettibile di interpretazioni sfavorevoli.

A livello convenzionale, l’art. 7 CEDU sancisce il principio della legalità in materia penale e impone di non applicare la legge penale in maniera estensiva a scapito dell’imputato, soprattutto per analogia (v. Corte EDU, Kokkinakis c. Grecia, § 52). L’esercizio della discrezionalità in malam partem contrasta con il principio di legalità convenzionale e tale divieto vale sia per il legislatore sia per la giurisprudenza, che non può applicare retroattivamente una legge di sfavore per reati o pene non previsti dalla legge. Sia le previsioni normative sia le interpretazioni giurisprudenziali devono, inoltre, rispondere a requisiti qualitativi, tra cui quelli dell’accessibilità e della prevedibilità (v. Corte EDU, G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia (merito) [GC], § 242; Corte EDU, Cantoni c. Francia, § 29; Corte EDU, Kafkaris c. Cipro [GC], § 140; Corte EDU, Del Río Prada c. Spagna [GC], § 91; Corte EDU, Perinçek c. Svizzera [GC], § 134). Tali condizioni riguardano sia la definizione del reato e il suo momento astratto, sia la pena, nella sua applicazione concreta (v. Corte EDU, Kafkaris c. Cipro [GC], §§ 150 e 152).

La prevedibilità dell’interpretazione giurisprudenziale deve, quindi, coprire tutti gli elementi costitutivi del reato (v. Corte EDU, Pessino c. Francia, §§ 35-36; Corte EDU, Dragotoniu e Militaru-Pidhorni c. Romania, §§ 43-47; Corte EDU, Dallas c. Regno Unito, §§ 72-77) e della pena applicabile (v. Corte EDU, Alimuçaj c. Albania, §§ 154-162; Corte EDU, Del Río Prada c. Spagna [GC], §§ 111-117).

3.2. Nel caso di specie, il Collegio, a fronte delle argomentazioni difensive, ha rilevato che l’ordine di carcerazione è stato emesso non per l’entità della pena comminata ma per il titolo di reato, avendo la pubblica accusa aderito all’orientamento giurisprudenziale per cui sussiste continuità normativa tra il comma 2 dell’art. 572 c.p. e il comma 1 aggravato dalla circostanza di cui all’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., e, pertanto, entrambe le fattispecie sono da ritenersi ugualmente e indifferentemente ostative alla sospensione dell’esecuzione della pena. Tale interpretazione è stata sostenuta di recente anche dalla Sesta Sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale “in tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi, stante la natura abituale del reato, che si consuma con la cessazione delle condotte vessatorie, è sufficiente che anche solo una di esse sia stata posta in essere alla presenza di un minore dopo l’entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69, perché trovi applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 572, comma secondo, cod. pen., introdotta da tale legge, in luogo di quella, previgente, di cui all’art. 61, comma primo, n. 11-quinquies, cod. pen.” (Cass., Sez. VI, ud. 05.05.2023, dep. 22.05.2023, n. 21998).

Preso atto di tale indirizzo, secondo i Giudici risulta più aderente ai principi costituzionali in materia penale aderire al diverso e contrario orientamento, anche se più risalente, per cui “il reato di maltrattamenti, aggravato dalla circostanza dell’essere stato commesso alla presenza di un minore, prevista dall’art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., si differenzia dal reato di maltrattamenti in famiglia in danno di minore, vittima di violenza cd. assistita, perché, ai soli fini della configurabilità dell’aggravante, non è necessario che gli atti di sopraffazione posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell’abitualità” (Cass., Sez. VI, ud. 09.02.2021, dep. 02.03.2021, n. 8323).

È necessario, quindi, distinguere i casi in cui le condotte di violenza assistita siano commesse anche ai danni del minore, venendo in questo caso in rilievo l’ipotesi di cui all’art. 572, co. 2, c.p., dai casi in cui vi sia la mera presenza del minore, senza che vi sia un effettivo e autonomo pregiudizio per lo stesso, che saranno sussunti nell’ipotesi di cui agli artt. 572, co. 1, e 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p.

Sulla scorta di tali ragioni il Collegio ha dichiarato inefficace il provvedimento di unificazione delle pene concorrenti, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento, con revoca del conseguente ordine di carcerazione e ha disposto l’immediata liberazione del detenuto.

4. Con tale pronuncia, il Collegio ha aderito all’orientamento giurisprudenziale che non ritiene perfettamente sovrapponibili le due circostanze aggravanti e che attribuisce alle Procure l’onere di verificare con maggiore precisione il confine di estensione dei fatti aggravati per cui si dà origine all’esecuzione. Le ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 572 c.p., così come riformato e reintrodotto dalla l. n. 69 del 2019, non sono infatti perfettamente sovrapponibili a quelle inserite nell’art. 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p. ex d.l. n. 93 del 2013 e non sussiste integrale continuità normativa tra le due fattispecie.

Pur ritenendo condivisibili le conclusioni raggiunte dal Collegio, si sostiene che il piano su cui si dovrebbe risolvere in radice la questione interpretativa risieda ancora una volta nella corretta esegesi del principio di legalità che, in mancanza di un intervento del legislatore, in termini di interpretazione autentica o quanto meno giurisprudenziale a livello di Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dovrebbe imporre sempre massima cautela e dare luogo ad applicazioni estremamente rigorose nel rispetto della tassatività della disposizione normativa, senza dare adito ad applicazioni in malam partem non consentite in materia penale.

Come citare il contributo in una bibliografia:
A. Secco, Successione di leggi nel tempo e inefficacia dell’ordine di carcerazione per l’ipotesi aggravata di maltrattamenti ex artt. 572, co. 1, e 61, co. 1, n. 11-quinquies, c.p., in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 1