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La Cassazione sulle esigenze cautelari che legittimano l’applicazione di misure cautelari personali

Cassazione Penale, Sez. V, sentenza (ud. 13 novembre 2017) 7 febbraio 2018, n. 5821
Presidente Vessichelli, Relatore Borrelli, P.G. Lori

La pronuncia che più sotto alleghiamo appare invero di notevole interesse sul piano processuale, perché lucidamente ricorda alcuni principi con riguardo alle tre esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., che consentono al giudice di disporre misure cautelari personali.

In un ricorso avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame di Milano aveva confermato la misura custodiale in carcere, ritenendo sussistenti i pericoli di inquinamento probatorio, di fuga e di reiterazione del reato, la Cassazione ha, infatti, nettamente respinto tutte le argomentazioni a sostegno della conferma, e conseguentemente annullato l’ordinanza.

Di seguito, dunque, per ciascuna esigenza riportiamo le argomentazioni del Giudice del riesame e del Giudice di legittimità.

  1. Il pericolo di inquinamento probatorio. Art. 274 lett. a)

Il Tribunale. Nell’ordinanza del Tribunale del riesame si argomenta che il pericolo in discorso deriverebbe dalla natura dei reati per cui si procede (i.e. bancarotta per distrazione ed autoriciclaggio, ndr), caratterizzati da fonti prevalentemente documentali e, come tali, facilmente manipolabili; nel provvedimento vi è altresì il generico riferimento alla «già evidenziata temerarietà delle operazioni» che hanno visto protagonista l’indagato.

La Cassazione. Tali notazioni, decisamente prive di specificità, sono insufficienti a ritenere esistente l’esigenza di cautela probatoria che deve essere, a norma di codice, concreta, attuale e fondata su fatti specifici. Secondo una consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, poi, il pericolo di inquinamento probatorio va identificato in tutte quelle situazioni in cui l’indagato abbia dimostrato, con la propria condotta illecita o sulla base della personalità manifestata, di voler inquinare le prove e deve essere ancorato a comportamenti concreti dell’interessato di cui, nel caso di specie, non si dà atto nell’ordinanza. In altre parole, il Tribunale ha svolto un riferimento del tutto apodittico alla vulnerabilità della prova documentale, come tale non sufficiente a fondare un provvedimento restrittivo.

  1. Il pericolo di fuga. Art. 274 lett. b)

Il Tribunale. A supporto di tale esigenza cautelare, il Tribunale del Riesame ha utilizzato due argomentazioni: il radicamento familiare e professionale dell’indagato all’estero ed il quantum di pena, non esiguo, ritenuto pronosticabile, quest’ultimo tale da indurlo ad allontanarsi dal Paese.

La Cassazione. Quanto al primo aspetto, il provvedimento va censurato nella misura in cui attribuisce rilievo sintomatico ad una condizione soggettiva che, di per sé, non costituisce un dato concreto cui ancorare la valutazione di esistenza dell’esigenza cautelare di cui alla lett. b) dell’art. 274, comma 1, c.p.p.. A questo proposito, va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia ripetutamente interpretato la norma suddetta, in casi di collegamento o radicamento all’estero del soggetto sottoposto a misura, nel senso di non ritenere che quest’ultima evenienza sia sufficiente a sostanziare il pericolo di fuga perché priva di concretezza. Partendo dal presupposto che non sia necessaria la presenza di segni di un’attività già in atto, la Corte ha, infatti, chiarito che è pur sempre imprescindibile che vi siano elementi indicativi della volontà dell’indagato di sottrarsi alla giustizia, che non possono essere evinti da una sua particolare condizione soggettiva preesistente, senza condotte concrete cui ancorarsi. Sulla base di questa impostazione, si è escluso che il pericolo di fuga possa fondare sul fatto che un indagato prevalentemente viva ovvero abbia interessi commerciali e professionali in un Paese dell’Unione europea; in altri casi, la Corte ha evidenziato l’irrilevanza contra reo della disponibilità di alloggi e conti correnti, ovvero, ancora, la neutralità della mera residenza oltre confine, quando il trasferimento non sia finalizzato a sottrarsi alle conseguenze giudiziarie del proprio operato. In sintesi, il Tribunale milanese si è limitato ad evidenziare un profilo “statico”, senza indicare dati concreti circa la volontà dell’indagato di allontanarsi.

  1. Il pericolo di reiterazione del reato. Art. 274 lett. c)

Il Tribunale. L’ordinanza di conferma della misura ha valorizzato contra reo: (i.) lo svolgimento dell’attività di commercialista in ambito transfrontaliero, con la presumibile reiterazione di occasioni propizie per perpetrare con sistematicità ulteriori condotte criminose; (ii.) il tentativo di sottrarre al sequestro preventivo alcune partecipazioni societarie mediante la redazione di un falso contratto; (iii.) il trasferimento di ingenti somme dal conto corrente di società riconducibili all’imputato ad altri conti correnti; (iv.) l’ampiezza temporale in cui si è articolata la condotta, che svilirebbe la valenza pro reo del tempo trascorso dall’ultimo atto della vicenda.

La Cassazione. Sul punto va premesso che le modifiche dell’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. dovute alla legge 16 aprile 2015, n. 47 hanno imposto che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, sicché non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere, in termini di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie.
Occorre perciò valutare se permane la situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede. Solo quando il fatto non fornisca elementi idonei ad operare una valutazione sul rischio di recidiva, il giudizio sulla sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. deve fondarsi su elementi concreti e non congetturali, quali la vicinanza ai fatti rivelatori delle potenzialità criminali dell’indagato ovvero la presenza di elementi indicativi dell’effettività di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione.
Orbene, ancorché l’attività professionale svolta dall’indagato e la circostanza che egli operi all’estero, valutata in uno alle caratteristiche concrete del ruolo rivestito dal medesimo nella vicenda, possano fare ritenere altamente probabile che l’occasione di delinquere nuovamente si presenti, non sono stati evidenziati elementi sufficienti per ritenere che, presentatasi l’occasione, sia altrettanto altamente probabile la commissione di reati analoghi.
Quanto al fattore temporale, va osservato che la vicenda si è articolata in alcuni passaggi, l’ultimo dei quali risale al marzo del 2015, quindi ad oltre due anni dalla data del suo arresto in esecuzione dell’ordinanza genetica. Non può essere, di contro, condivisa la visione del Tribunale dell’appello cautelare tendente a ridimensionare il tempo trascorso in ragione dell’ampiezza dell’azione illecita, laddove, come nel caso di specie, tale ampiezza sia legata non già ad una reiterazione di condotte analoghe ma distinte tra loro, ma all’attuazione di un complessivo programma spoliativo, strutturalmente articolato in più passaggi.

Redazione Giurisprudenza Penale

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