ARTICOLIDIRITTO PENALE

Biotestamento: amministratore di sostegno e possibilità di rifiutare, in assenza di DAT, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. Sollevata questione di legittimità costituzionale.

Tribunale di Pavia, Sez. II, 24 marzo 2018
Giudice Tutelare dott.ssa Michela Fenucci

1. Segnaliamo ai lettori – riservandoci la pubblicazione di un contributo più approfondito che ne metta in luce le possibili ricadute da un punto di vista penalistico – l’ordinanza con cui il Tribunale di Pavia ha sollevato una questione di legittimità costituzionale relativa alla possibilità per l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, di rifiutare, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

Si tratta di una materia disciplinata dalla recentissima Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) che, come avevamo anticipato, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2018 ed è in vigore dal 31 gennaio 2018.

2. Il riferimento operato dal Tribunale di Pavia è, in particolare, all’art. 3 comma 4 e 5 della citata Legge, il quale stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato.

Dalla analisi delle disposizioni – si legge nell’ordinanza – «si evince come il rifiuto concerna (anche) i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita; tale conclusione deve considerarsi inequivoca in ragione, da un lato, della limpidezza del dato linguistico-letterale e, dall’altro, del complessivo spirito sistematico della legge. Il rifiuto delle cure può, dunque, interessare tutti i trattamenti sanitari astrattamente oggetto delle DAT».

Dal momento che il rifiuto delle cure – prosegue il giudice – «deve potersi reputare come promanare sostanzialmente dall’interessato incapace, l’intervento dell’amministratore di sostegno deve essere limitato e rigorosamente circoscritto alla individuazione, presidiata da particolari cautele, e alla conseguente trasmissione della volontà dell’interessato». Ebbene, «affinché la decisione sul rifiuto delle cure risulti espressione dell’interessato incapace e non della volontà soggettiva, e perciò irrilevante, dell’amministratore di sostegno, si prospettano due scenari: il ricorso alle disposizioni anticipate di trattamento o, in assenza di quest’ultime, la ricostruzione della volontà del soggetto», in quanto «il solo ed insuperabile parametro di riferimento in ordine alle determinazioni sul rifiuto delle cure deve essere costituito dalla volontà dell’interessato, ora cristallizzata attraverso le disposizioni anticipate di trattamento, ora desunta mediante un’approfondita e puntuale operazione di abduzione».

Ciò posto, «nel caso di assenza di disposizioni anticipate di trattamento, difettando una rappresentazione qualificata di una volontà inequivocabilmente ed appositamente espressa, si pone la delicata questione di ricostruire la volontà dell’interessato attraverso il ricorso ad una pluralità di indici sintomatici, di elementi presuntivi, mediante l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura». Infatti, «se si consentisse all’amministratore di sostegno di ricercare autonomamente la volontà dell’interessato e di assumere in piena libertà le consequenziali determinazioni sul rifiuto delle cure, si sentenzierebbe il concreto annichilimento della natura personalissima del diritto a decidere sulla propria vita; difatti si configurerebbe surrettiziamente, a vantaggio dell’amministratore, il potere di assumere, a fondamento del rifiuto, la propria volontà, contraddicendo in radice la personalissima essenza del diritto di rifiuto delle cure».

E’ per questi motivi – si legge nel provvedimento – che «in mancanza di disposizioni anticipate di trattamento si staglia come indefettibile la sussistenza di una verifica e di un vaglio orientati a saggiare la conformità della dichiarazione di rifiuto proveniente dall’amministratore alla volontà del beneficiario, apprezzamento il quale postula preliminarmente la ricostruzione della volontà medesima ove sia possibile. L’intervento dell’autorità giudiziaria, si precisa, è funzionalizzato alla tutela del carattere personalissimo e della speculare indisponibilità altrui del diritto di rifiuto delle cure e del diritto alla vita».

3. Se questi sono i principi con cui ci si deve confrontare – conclude l’ordinanza – «le modalità d’esercizio di rifiuto delle cure stabilite dalla disposizione censurata per l’Amministratore di sostegno appaiono radicalmente inidonee a salvaguardare compiutamente la natura eminentemente soggettiva del diritto in questione», non apparendo sufficiente l’intervento della autorità giudiziaria nel solo, ipotetico, caso di rifiuto opposto dal medico.

Si ricorda, infatti, che ai sensi del comma 5 dell’art. 3, nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.

Questa possibilità, ad avviso del Tribunale, non serve ad evitare i dubbi di contrasto con la Costituzione, trattandosi di eventualità destinata ad operare solo in caso di ipotetica sussistenza di un dissidio tra rappresentante e medico: «un correttivo dunque eventuale, ma radicalmente inadeguato perché, appunto, solo eventuale e non indefettibile».

Inoltre, a ben vedere, «la disposizione oggetto di contestazione parrebbe aver aderito all’orientamento teso ad assegnare al medico la valutazione finale relativa al rifiuto delle cure», il che «confligge e disconosce la natura soggettiva e personalissima del rifiuto delle cure necessarie al mantenimento in vita. Come potrebbe un’asettica valutazione medica cogliere le intime e profonde riflessioni personali in ordine alla vita, alla morte e alla dignità? Si vorrebbe forse surrogare l’autodeterminazione con un giudizio medico? Come potrebbe il medico verificare ed accertare la conformità del rifiuto alla volontà ricostruita dell’incapace e come potrebbe, prima ancora, ricostruire tale volontà?».

4. In conclusione, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 4 e 5 della legge 219/2017 nella parte in cui stabiliscono che l’amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato, ritenendo le suddette disposizioni in violazione degli articoli 2, 3, 13, 32 della Costituzione.