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Mutamento del giudice e rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale: sollevata questione di legittimità costituzionale per violazione del principio della ragionevole durata del processo

Tribunale di Siracusa, Ordinanza, 12 marzo 2018
Presidente Estensore Frau

1. Si segnala l’ordinanza con cui il Tribunale di Siracusa ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in tema di mutamento del giudice e rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

Il Tribunale prende le mosse indicando quale sia – a suo avviso – la lettura costituzionalmente orientata degli articoli 525 comma 2 e 526 comma 1 c.p.p., i quali devono essere interpretati tenendo a mente che i principi di oralità ed immediatezza (i quali, come è noto, impongono la rinnovazione dell’istruttoria nel caso di mutamento del giudice persona fisica) «non sono gli unici su cui si fonda il diritto processual-penalistico e,  pertanto, talvolta possono entrare  in conflitto con altri interessi fondamentali dell’ordinamento».

Nel caso concreto, tali principi possono entrare «in netto contrasto con l’art. 111, comma 2 Cost., ovvero  con il principio della ragionevole durata del processo. In altri termini, l’attuale interpretazione delle citate  disposizioni  del  codice  di procedura penale, pur ossequiosa della volontà del  legislatore  del 1989 e rispettosa di alcuni principi fondamentali desumibili  in  via interpretativa, permette che, a seguito dei potenzialmente infiniti mutamenti del giudice persona fisica, il processo debba ripartire dall’apertura del  dibattimento un infinito numero di volte e, pertanto, che esso abbia una durata infinita, in pieno contrasto con l’art. 111, comma 2 della Costituzione».

Essendo questa una situazione – continua il Tribunale – che «l’ordinamento non  può  tollerare», si rende necessaria una lettura costituzionalmente orientata degli articoli 525 comma 2 e 526 comma 1 c.p.p attraverso un bilanciamento che consenta di «salvaguardare i principi di  oralità  ed  immediatezza, nel rispetto della ragionevole durata del processo penale».

Tale bilanciamento verrebbe garantito – si legge nell’ordinanza – soltanto qualora «a seguito del mutamento del giudice persona fisica, sia possibile (ed  anzi  doveroso) sentire  nuovamente  i testimoni già sentiti dinanzi al precedente giudicante, purché sia salvaguardata la ragionevole durata del processo e, dunque, sia rispettato il limite massimo dei tre anni del processo. Una volta superato tale limite, la prova testimoniale (già validamente assunta nel contraddittorio delle  parti  dinanzi  ad  un  giudice  terzo  ed imparziale) non potrà essere ripetuta e di essa dovrà  essere  data lettura ex art. 511 cpp (articolo che  disciplina  uno  dei  modi  di legittima formazione della prova)».

D’altronde, non può non tenersi in considerazione che «il rispetto dell’oralità e dell’immediatezza, secondo la attuale impostazione ermeneutica, è solo formale e tutt’altro che effettivo. Considerando,  infatti,  che, il testimone viene nuovamente convocato per essere sentito a distanza di più di tre anni dall’inizio del processo (e, dunque, di un  lasso di tempo molto superiore dal verificarsi dei  fatti), non vi potrà essere alcuna effettiva oralità ed immediatezza, specie se si  tiene conto della circostanza che spesso l’audizione del  testimone è un mero confermare integralmente quanto già in precedenza dichiarato».

2. Il Tribunale passa poi ad analizzare la «realtà di fatto», osservando che «nelle realtà periferiche del Paese come la  presente,  la persona fisica del giudice  cambia  continuamente  specie  se  si  fa riferimento alla composizione del collegio; il fatto  che  i  giudici siano solitamente di prima nomina e,  maturato  il  termine,  vengano trasferiti altrove, la circostanza che vi siano  continuamente  vuoti da coprire e dunque spostamenti interni per fare fronte alle  diverse emergenze , le maternità che giocano  un  ruolo  determinante  nelle piccole sedi con giudici di prima nomina; sono tutte circostanze  che fanno  sì  che  sia  sostanzialmente  impossibile  che  un  processo complesso possa essere iniziato e  portato  a  termine  dagli  stessi giudici; il rispetto formale e categorico del principio dell’oralità in queste  realtà  determina  la  oggettiva  impossibilità  che  il processo venga portato a termine, con inevitabile  pregiudizio  delle ragioni delle persone  offese  e  con  inutile  enorme  dispendio  di attività processuali».

Alla luce di tale oggettiva  compromissione  della  funzione  del giudizio – conclude la Corte –  «il  principio  codicistico  dell’oralità  deve  ritenersi subvalente  non  solo  rispetto  al  principio  costituzionale  della ragionevole durata posto al  comma  2  dell’art.  111,  ma  anche  al principio della effettività del giudizio, implicito nel comma 1  che recita “la giurisdizione si attua”; in una situazione  di  fatto  che non consente la permanenza dello stesso giudice  persona  fisica  per più di qualche anno, il  rispetto  rigoroso  dell’oralità  comporta matematicamente che “la giurisdizione non si attua».

3. In conclusione, il Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 525 comma 2, 526 comma 1 e 511 c.p.p. affinché la Corte valuti se i medesimi siano costituzionalmente illegittimi, in relazione all’art. 111 della Costituzione, se interpretati nel senso che ad ogni mutamento della persona fisica di un giudice la prova possa ritenersi legittimamente assunta solo se i testimoni già sentiti nel dibattimento depongano nuovamente in aula davanti al giudice-persona fisica che deve deliberare sulle medesime circostanze o se invece ciò debba valere solo allorquando non siano violati i principi costituzionali della effettività e della ragionevole durata del processo.

L’ordinanza è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 12 settembre 2018.

Ad oggi, non è stato designato il giudice relatore e non risulta fissata la data dell’udienza davanti alla Corte  Costituzionale.

Redazione Giurisprudenza Penale

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