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La Cassazione interviene in tema di disastro ambientale “per accumulo” o “mediante immissioni a dinamica progressiva e seriale”

Cassazione Penale, Sez. I, 31 ottobre 2019 (ud. 25 settembre 2018), n. 44528
Presidente Mazzei, Relatore Casa

Con la sentenza allegata, la prima sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a fare il punto sulla riconducibilità alla fattispecie di cui all’art. 434 c.p. del cd. disastro ambientale «per accumulo» o «mediante immissioni a dinamica progressiva e seriale» caratterizzato, cioè, da plurimi e ripetuti microeventi produttivi di effetti permanenti nel tempo.

Nel replicare al motivo di ricorso con cui si chiedeva di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 434 c.p., la Corte ha ricordato che, con la sentenza 30 luglio 2008 n. 327, la Corte Costituzionale, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma per insussistenza del vulnus al principio di determinatezza – denunciato proprio in alcune fattispecie in cui veniva in evidenza la figura del cd. disastro ambientale – ha riconosciuto che il concetto di disastro «si presenta, di per sé, scarsamente definito: traducendosi in una espressione sommaria capace di assumere, nel linguaggio comune, una gamma di significati ampiamente diversificati».

A «precisare la valenza del vocabolo riconducendo la previsione punitiva nei limiti di compatibilità con il precetto costituzionale evocato» – aveva precisato in quell’occasione la Corte Costituzionale – «concorrono la finalità dell’incriminazione e la sua collocazione nel sistema dei delitti contro la pubblica incolumità», per cui, pur auspicandosi l’intervento del legislatore con l’introduzione di specifiche fattispecie criminose, si era affermata la compatibilità costituzionale del reato, sia pure condizionandola ad una interpretazione sistematica coerente con i tratti fondamentali delle singole figure dei delitti compresi nel capo I del titolo VI (inondazione, frana, valanga, disastro aviatorio, disastro ferroviario ecc.), in modo da individuare una nozione unitaria di disastro «sotto un duplice e concorrente profilo: da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi; dall’altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare – in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie in questione (la «pubblica incolumità») – un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti».

Per quanto riguarda l’offesa alla pubblica incolumità – si legge nella pronuncia – «la giurisprudenza di questa Corte, in linea con le affermazioni del Giudice delle leggi, ha individuato tale bene nella tutela della vita e dell’incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, dal momento che il pericolo da esso (disastro, n.d.e.) cagionato deve essere caratterizzato dalla potenzialità di diffondersi ampiamente nello spazio circostante la zona interessata dall’evento e, conseguentemente, ha escluso che, ai fini della configurabilità del reato, si richieda che il fatto abbia direttamente prodotto la morte o la lesione delle persone, in quanto è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone e che l’eccezionalità della dimensione dell’evento desti un esteso senso di allarme, sicché non è richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno ambientale e disastro qualora l’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo».

In conclusione – si legge nella sentenza – «nonostante l’inclusione della fattispecie di cui all’art. 434 cod. pen. nell’ambito normativo che tratta specificamente del crollo, non si richiede che di tale fenomeno il disastro replichi le caratteristiche fenomeniche e naturalistiche, essendo evidente che può farsi concretamente riferimento a un evento di natura eterogenea rispetto a quelli presi in considerazioni dalle altre fattispecie del capo in cui la disposizione in esame è inserita; è, quindi, possibile escludere, in sintonia con la giurisprudenza richiamata, che la riconducibilità dei fenomeni disastrosi a un macroevento di dirompente portata distruttiva costituisca un requisito essenziale per la configurazione del reato di cui all’art. 434 cod. pen. essendo, viceversa, individuabile un evento disastroso anche in un fenomeno persistente, ma impercettibile, di durata pluriennale con le caratteristiche sopra delineate».

Redazione Giurisprudenza Penale

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