La Cassazione chiarisce e applica il principio di causalità della colpa nell’ambito degli infortuni sul lavoro.
[a cura di Lorenzo Roccatagliata]
Cass. pen., Sez. IV, Sent. 1 ottobre 2020 (ud. 16 settembre 2020), n. 27242
Presidente Piccialli, Relatore Pezzella
Con la sentenza che qui si annota, la Sezione quarta della Corte di cassazione si è misurata con un caso di infortunio sul luogo di lavoro nell’ambito di una attività di taglio di alberi e piante, cui era conseguita la morte di un lavoratore. In questa occasione la Corte ha ribadito e applicato alcuni importanti principi in tema di responsabilità colposa del datore di lavoro per infortuni del lavoratore, con particolare riferimento alla nozione di causalità della colpa.
Preliminarmente, visto che l’infortunio de quo era avvenuto in una società cooperativa a responsabilità limitata (cd. Scarl), la Corte ha precisato che “non c’è alcun dubbio (…) che, in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni, ai sensi dell’art. 2 D. Lgs. n. 626 del 1994 (poi trasposto nell’art. 2, d. lgs. n. 81/2008, ndr), i soci delle cooperative sono equiparati ai lavoratori subordinati e la definizione di “datore di lavoro”, riferendosi a chi ha la responsabilità della impresa o dell’unità produttiva, comprende il legale rappresentante di un’impresa cooperativa”.
Sotto altro profilo, la Corte si è misurata con il principio della cd. causalità della colpa, secondo cui “il rimprovero colposo deve riguardare la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Dal che si profila il versante più oggettivo della colpa, nel senso che, per potere affermare una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare … ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare. Occorre, cioè, che il risultato offensivo sia la concretizzazione del pericolo preso in considerazione dalla norma cautelare; ovvero, in altri termini, che l’evento lesivo rientri nella classe di eventi alla cui prevenzione era destinata la norma cautelare. Si evidenzia così la cd. causalità della colpa e cioè il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non è di per sé sufficiente per affermare la responsabilità di questo per l’evento dannoso verificatosi, se non si dimostri l’esistenza in concreto del nesso causale tra la condotta violatrice e l’evento”.
Nel caso di specie, in cui l’infortunio era stato determinato da una non corretta procedura di taglio di alberi, la Corte ha ritenuto applicabile il suddetto principio, così confermando la responsabilità del datore cui erano state contestate (i.) l’omessa indicazione, nel documento di valutazione dei rischi lavorativi, delle idonee misure di prevenzione e protezione da attuare in relazione alla mansione di operaio addetto all’abbattimento piante (art. 28, comma 2, lett. b, D. Lgs. n. 81/08), nonché in relazione alle lavorazioni di abbattimento piante (art. 28, comma 2, lett. d, D. Lgs. n. 81/08); (ii.) l’omessa fornitura al lavoratore delle necessarie informazioni e della adeguata formazione in merito ai rischi e alle procedure da adottare relativamente alla mansione di operaio addetto all’abbattimento piante (art. 37, comma 1, D. Lgs. n. 81/08).
Infatti, ha in primo luogo riconosciuto il Collegio che “l’infortunio (…) è stato determinato dall’esecuzione dell’operazione di taglio del pioppo in un’area in pendenza ed in prossimità di un corso d’acqua, senza una corretta preventiva valutazione delle necessarie vie di fuga, risultando che, dopo che la vittima aveva ultimato le operazioni di taglio ed il figlio aveva iniziato a trainare il tronco con il verricello montato sul semovente, la pianta aveva cambiato la direzione di caduta per aver urtato una pianta affianco e aveva colpito violentemente con la parte terminale del fusto [il lavoratore, che] per la difficile percorribilità di terreno, non si era allontanato a sufficienza dall’area di taglio. Logica appare pertanto la conclusione, cui era pervenuto il giudice di primo grado proprio in termini di quella causalità della colpa che il ricorrente lamenta essere stata trascurata, che l’infortunio sia avvenuto, in primis, proprio in conseguenza di una non corretta analisi dei rischi connessi all’esercizio della rischiosa attività di abbattimento delle piante e di una non corretta formazione del lavoratore, che svolgeva funzioni di capo squadra ed era incaricato del taglio degli alberi e non ha operato in sicurezza”.
In secondo luogo la Corte ha ritenuto “decisivo (…) rispetto al realizzarsi della tragedia che ci occupa, il rilievo (…) che il lavoratore deceduto (…), nonostante avesse una lunga esperienza lavorativa, non era stato avvisato e formato circa la necessità di allontanarsi dalla zona del taglio quando il collega procedeva a tirare con il verricello la pianta, ma si fermava sul posto, per ultimare il taglio nel momento in cui la pianta si trovava adeguatamente tirata verso il semovente.(…). In altre parole [il lavoratore] non aveva ricevuto alcuna istruzione e formazione sul punto e aveva adottato una tecnica operativa rischiosa che l’azienda per cui lavorava non aveva curato in alcun modo di modificare”.
Ha poi ulteriormente chiarito il Supremo Collegio che “Non può (…) venire in soccorso del datore di lavoro (…) il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi”.