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Esercizio dell’azione penale per il furto in abitazione e con strappo (art. 624-bis c.p.): l’ordinanza di restituzione degli atti al PM del GIP del Tribunale di Foggia e il ricorso per Cassazione della Procura.

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Tribunale di Foggia, Giudice per le Indagini Preliminari, 24 dicembre 2020
Giudice Dott. Antonio Sicuranza

In tema di furto in abitazione e furto con strappo (art. 624-bis c.p.), segnaliamo ai lettori l’ordinanza con cui il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Foggia, a fronte dalla presentazione da parte della Procura di una richiesta di rinvio a giudizio – anziché dell’esercizio dell’azione penale nelle forme previste dall’art. 550 c.p.p. – ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero.

La richiesta della Procura – si legge nel provvedimento – «si fonda, evidentemente, sull’inasprimento delle pene detentive previste dall’art. 624-bis c.p. ad opera dall’art. 5 comma 1 lett. a) della Legge 36/2019 (con la previsione della pena da 4 a 7 anni di reclusione per il delitto basico di cui al comma 1) e dall’art. 5 comma 1 lett. b) della Legge 36/2019 (con la previsione della pena da 5 a 10 anni di reclusione per il delitto aggravato di cui al successivo comma 4)».

Ebbene, l’innalzamento del massimo edittale fino a 7 anni di reclusione per il delitto di cui all’art. 624-bis comma 1 c.p. (con la previsione, quindi, di un anno in più rispetto al massimo previsto dall’art. 625 comma 1 c.p.) «non può avere alcuna conseguenza circa il thema decidendum», dal momento che la «scelta legislativa di non prevedere l’udienza preliminare per una serie di reati non è stata certamente imposta dagli astratti limiti edittali che, nel corso dei vari periodi, possono inasprirsi o viceversa attenuarsi in ragione dell’allarme sociale di volta in volta ingenerato nella collettività dalla consumazione di determinati delitti».

Quello che viene in rilievo – afferma il GIP – «è la valutazione di tipo economicistico e di funzionalità organizzativa dell’intero processo penale di primo grado che, se non rispettata, importerebbe il certo deficit di funzionalità (se non l’implosione) del modello procedimentale previsto dal legislatore per i reati di attribuzione del Tribunale in composizione collegiale, sicché l’assenza di un preventivo vaglio giudiziale circa l’esercizio dell’azione penale sarebbe in tali casi motivata, anzitutto, dalla necessità di limitare inevitabilmente l’utilizzo delle risorse, sì da “funzionalizzarle” in favore di reati che il legislatore ha ritenuto degni di un più ponderato accesso al dibattimento».

Questa essendo la ratio che informa la scelta legislativa – prosegue l’ordinanza – «non può che  condividersi l’assunto in base la quale non è possibile stabilire un rapporto di proporzionalità diretta tra entità della pena comminata e la complessità dell’accertamento del reato».

Né – si precisa – «il provvedimento di restituzione si espone a censure di abnormità, non comportando questa alcuna stasi processuale (anzi, i tempi si velocizzano) o indebita regressione del procedimento, essendo posto il Pubblico Ministero nelle condizioni di procedere (in quanto tenutovi), nell’esercizio dell’azione penale, in conformità dello schema procedimentale previsto dall’art. 550 c.p.p. anche per il delitto di cui all’art. 624-bis c.p.».

Il Giudice conclude osservando che, «se è vero che la sede naturale per la restituzione degli atti al P.M. appare essere quella dell’udienza preliminare, ciò può valere esclusivamente nel caso di dubbio nell’adozione dello schema procedimentale per l’esercizio dell’azione penale (ad esempio, in ragione della diversa qualificazione giuridica che il Giudice opera, nel contraddittorio tra le parti, del fatto contestato, magari escludendo la esistenza di aggravanti), ma non certamente nel caso di specie, quando il PM ha avanzato richiesta di rinvio a giudizio per un delitto che, di contro, pacificamente richiede lo schema procedimentale “semplificato” della citazione diretta a giudizio di cui all’art. 550 c.p.p.».


Sullo stesso argomento riceviamo, e volentieri pubblichiamo, il ricorso per Cassazione presentato dal Dott. Marco Gambardella, Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Procura di Foggia, avverso un’ordinanza emessa del GUP in diverso procedimento ma dal contenuto sostanzialmente analogo a quella sopra descritta.

Nel ricorso per Cassazione della Procura si evidenzia come «il granitico orientamento autorevolmente espresso dalla elaborazione giurisprudenziale deve oggi essere rivalutato a seguito delle intervenute (recenti) modifiche normative. L’art. 5 co. 1 lett. a) della legge 26.04.2019, n. 36 ha determinato una modifica rilevante della cornice edittale dei reati di cui all’art. 624 bis c.p.: in particolare, il Legislatore del 2019 ha modificato non solo i minimi edittali, bensì anche la pena massima prevista per i reati di furto in abitazione e furto con strappo (da sei a sette anni di reclusione). A seguito di tale modifica normativa è venuto meno del tutto l’allineamento sanzionatorio posto a fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale che, sin dall’anno 2002, ha ricondotto in via interpretativa l’art. 624 bis c.p. alla previsione di cui alla lettera f dell’art. 550 co. 2 c.p.p.»

La novella legislativa – si legge nel ricorso della Procura – «ha comportato una modifica del trattamento sanzionatorio dei reati di cui all’art. 624 bis c.p. estremamente rilevante, tale da consentire (recte, imporre) un mutamento di indirizzo giurisprudenziale: invero, la variazione della pena determinata dall’entrata in vigore dell’art. 5 co. 1 lett. a) della legge n. 36 del 26.04.2019 non può definirsi “limitata”, atteso che determina rilevanti conseguenze di natura sostanziale (ad esempio, i termini di prescrizione del reato, ai sensi dell’art. 157 c.p.) e processuale (si pensi ai termini di durata massima delle misure cautelari: art. 303 co. 1 lett. a n. 2 c.p.p.).»

Le esposte considerazioni – conclude la Procura – «non consentono di supportare ulteriormente una interpretazione estensiva del disposto di cui all’art. 550 co. 2 lett. f c.p.p., che risulterebbe fondata (oggi) essenzialmente su valutazioni (mutuando quanto affermato dalla Suprema Corte) “di tipo economicistico e di funzionalità organizzativa”, a discapito delle garanzie processuali dell’imputato. Appare invero evidente come, diversamente opinando, si determinerebbe il venir meno della garanzia (per l’imputato) di un controllo “preliminare” da parte del Giudice sulla consistenza dell’accusa (nei termini elaborati dalla Consulta, sent. 31 del 02.04.1964), sulla base di una interpretazione giurisprudenziale sganciata (oggi) da un supporto normativo. Del resto, la lettera f dell’art. 550 co. 2 c.p.p. opera espresso riferimento al “furto aggravato a norma dell’articolo 625 del codice penale”, in tal modo raccordandosi alla rubrica dell’art. 624 c.p. (rubricato “Furto”) e al disposto di cui all’art. 625 c.p., il cui incipit recita: “la pena per il fatto previsto dall’art. 624 c.p.”.»

Redazione Giurisprudenza Penale

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