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Online il fascicolo 2021/1-bis – “Responsabilità degli enti: problematiche e prospettive di riforma a venti anni dal D. Lgs. 231/2001”

Compie 20 anni uno dei provvedimenti legislativi che più di altri hanno rivoluzionato il recente diritto penale: il D. Lgs. 231/2001 avente ad oggetto la “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridiche a norma dell’art. 11 legge 29 settembre 2000, n. 300”.

Come è noto, con la legge delega n. 300/2000 e, successivamente, con il D. Lgs. 231/2001, il legislatore ha abbandonato il tabù del “societas delinquere non potest” introducendo nel nostro ordinamento un modello generale di responsabilità da reato degli enti collettivi, sulla cui natura – amministrativa, penale, tertium genus – moltissimo è stato scritto.

La svolta epocale del 2001 è, in realtà, il punto di approdo di un processo risalente a decenni prima, caratterizzato dalla presa d’atto dello sviluppo di vere e proprie forme di “criminalità d’impresa” (più che del singolo), con riferimento alle quali – come scriveva il prof. Carlo Enrico Paliero già nel 1996 – «evocare, in politica criminale, il vecchio brocardo “societas delinquere non potest” più che irrealistico sembra, oggi, surreale…».

Nato con un ambito di applicazione ridotto a pochi delitti dolosi – al dichiarato fine di «favorire il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità che, se imposta ex abrupto con riferimento ad un ampio novero di reati, potrebbe fatalmente provocare non trascurabili difficoltà di adattamento» – il D. Lgs. 231/2001 ha visto negli anni aumentare significativamente le fattispecie di reato in grado di determinare una responsabilità dell’ente e l’elenco dei “reati presupposto” comprende oggi una pluralità di fattispecie: dai reati societari ai reati contro l’ambiente, dai reati informatici ai reati contro la pubblica amministrazione, dagli infortuni sul lavoro agli abusi di mercato.

Si pensi, poi, alla recente introduzione – da tempo invocata – dei reati tributari nel D. Lgs. 231/2001 nonché alla presenza di fattispecie, quale quella associativa, potenzialmente in grado di estendere la responsabilità dell’ente a qualunque fattispecie di reato, anche “fuori catalogo”.

Tra i meriti riconosciuti al D. Lgs. 231/2001 vi è senz’altro quello di aver dato il via ad una vera e propria “svolta modernizzatrice”, avendo stimolato l’attenzione da parte delle aziende alla adozione e attuazione di un efficace sistema di compliance interna e avendo favorito un generale processo di ammodernamento aziendale utile, oltre che alla stessa operatività in termini di raggiungimento degli obiettivi, alla prevenzione di reati da parte dei propri apicali e dipendenti.

Con il passare degli anni, le aziende – soprattutto quelle di dimensioni medio-grandi e le multinazionali – hanno preso sempre maggior consapevolezza dell’utilità della implementazione di un modello organizzativo e di sistemi di compliance; si pensi a quanto emerge dall’indagine condotta da Confindustria nel 2017, secondo cui tutte le imprese di grandi dimensioni prese in considerazione (con oltre 250 dipendenti o fatturato superiore ai 250 milioni di euro) si erano dotate di un modello 231 e che solo il 12% delle imprese considerate riteneva l’adozione di un modello poco utile per prevenire la commissione di reati.

Al tempo stesso, tuttavia, è opinione diffusa quella secondo cui, nei suoi primi venti anni di vita, il D. Lgs. 231/2001 non sembra aver raggiunto risultati entusiasmanti in termini di concreta applicazione, smentendo coloro i quali avevano pronosticato che la responsabilità degli enti sarebbe diventato un «problema di quotidiana amministrazione della giustizia».

Basti pensare alla scarsa applicazione giudiziale della normativa, testimoniata dal fatto che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano – senz’altro una delle più sensibili sul punto – nel 2017 abbia registrato solo 29 iscrizioni di enti (-37% rispetto al 2016 e -23,7% rispetto al 2015) con uno spread tra i reati presupposto e le iscrizioni dell’ente pari all’85% nel 2016. Con riferimento a questa tendenza – si legge nel Bilancio di Responsabilità Sociale della Procura di Milano del 2016 – «la ragione di fondo è che l’iscrizione della persona giuridica è ritenuta ancora una valutazione discrezionale, non apparendo congruo il ragionamento che sino ad oggi si è fatto che, per effettuare l’iscrizione, il PM deve prima verificare l’interesse o l’utilità dell’ente, dovendo tale valutazione seguire e non precedere l’iscrizione (anche per permettere all’ente di difendersi)». La stessa Procura di Milano, nel commentare il calo di iscrizioni del 2017, richiamava l’attenzione sul rischio di «portare al fallimento, a 17 anni dall’entrata in vigore della norma, un istituto importante e decisivo che ha svolto un indubbio ruolo di ammodernamento del sistema delle imprese, dovendosi intervenire sulla scelta originaria del legislatore della responsabilità amministrativa che lascia ampio spazio alla discrezionalità delle iscrizioni».

Da ultimo, si segnala quanto evidenziato nella relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione sulla legge 19 dicembre 2019, n. 157 (avente ad oggetto la conversione del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124 “Disposizione urgenti in materia fiscale a per esigenze indifferibili”, a seguito della quale alcuni reati tributari sono stati inseriti tra i reati-presupposto della responsabilità degli enti) nella quale si dedica ampio spazio al tema della responsabilità degli enti. Tra i tanti punti toccati, nella relazione si invitano le persone giuridiche che hanno adottato un modello organizzativo ad «aggiornarne i contenuti al fine di implementare efficaci sistemi di gestione del rischio fiscale», ricordando come, secondo la giurisprudenza di legittimità, «non è idoneo ad esimere l’ente da responsabilità da reato il modello organizzativo che preveda un Organismo di Vigilanza non provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo e che risulti sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato».

In questo scenario di crescente attenzione sul tema, la call for papers si propone di approfondire le principali questioni interpretative che si sono poste all’attenzione degli interpreti sul D. Lgs. 231/2001 nonché le possibili prospettive di riforma.

Tanti i temi affrontati dagli Autori, che il lettore troverà – ordinati per aree tematiche e numerati progressivamente – nei 32 contributi che compongono il presente fascicolo: dalla recente introduzione dei reati tributari tra i cd. reati presupposto al ruolo e alle responsabilità dell’Organismo di Vigilanza; dai profili di responsabilità in tema di privacy al ruolo che potrà ricoprire nel prossimo futuro l’intelligenza artificiale; dalle vicende modificative dell’ente alle condotte riparatorie; dal “nuovo” modello di gestione e organizzazione per il comparto alimentare al ruolo dell’ente nel contrasto al “caporalato”.

Conclude il fascicolo un contributo proposto dall’Osservatorio 231 dell’Unione delle Camere Penali Italiane, il quale ha voluto fare il punto sulle nozioni di interesse e colpa di organizzazione dell’ente.

Il risultato finale è, a parere di chi scrive, un’opera dagli alti standard qualitativi, nella quale riflessioni su temi “classici” della 231 si combinano perfettamente con analisi innovative e proposte di riforma: un prodotto che non sia un punto di arrivo, ma di partenza, per avviare una discussione costruttiva sulle sfide che aspettano tutti gli operatori del D. Lgs. 231/2001 nei prossimi anni.

Buona lettura!